Il Litorale • 14/2019
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ANNO XIX - N° 14 - 1/31 AGOSTO 2019 Il Litorale Pag. 35
S i m p o s i o
LIBERO INCONTRO ARTISTICO CULTURALE
siamo scambiati, quante risate ci siamo fatte! Ce ne andavamo bighellonando in mac-
china ora al Simposio, ora al Museo, ora alla Cantina Bacco (ma tu dicevi che il vino
migliore era quello di un’altra cantina), ora ai paesi dei dintorni.
Con gli amici ci si vedeva il sabato a parlare di poesia e del più e del meno.
Le tue, dicevi, non erano poesie ma pensierini; non è vero, erano bellissime poesie,
ma le più belle non le hai mai lette, quelle le leggevi solo a me, anzi le facevi leggere
a me perché tu ti emozionavi e non eri capace di declamarle per intero!
Quelle poesie mi mancano sai? Come mi machi tu! Mi manca la tua satira, la tua cri-
tica; quanto criticavi tu! Ti chiamavo “Brontolo” ricordi? Non ti stava bene mai nien-
te, ma avevi ragione perché mai una volta le tue “reprimenda” erano sbagliate; avevi
un sesto senso nel rimarcare le inadeguatezze, le cadute di stile, gli errori in ogni am-
bito culturale; mai una vota che le tue critiche fossero state malevoli, eri un esteta na-
to! Ridevamo di tutto, tranne che dei ricordi, quelli no, quelli facevano male!
Ce li scambiavamo con rabbia, come ad esorcizzare la pena che ci portavamo dentro,
i nostri amori passati e le nostre fantasie presenti, la perdita delle nostre consorti; si
quelli erano momenti tristi ma anche belli, belli perché avevamo di fronte a noi, reci-
procamente, un amico che ci capiva!
L’amico! Chi è l’amico se non colui a cui possiamo aprire il nostro animo, sicuri di
essere compresi! Una moglie, un marito? No! No, perché certe debolezze, certi segre-
ti, certi tradimenti non si confidano ad un partner, ad un amico invece si! Ad un ami-
co gli si confida tutto! Quella sera ci sono tornato su quella terrazza!
Stessi tavoli, stesso mare! Era di sera, c’era la musica, c’erano altri comuni amici, al-
tre amiche; ma tu non c’eri, o forse sì, ci guardavi dall’alto di dove tu ora stai! Stava-
mo ad un tavolo d’angolo, vicino a quello su cui, normalmente, ci sedevamo noi!
Ho vagato con la memoria a quei momenti ma l’immagine che mi si è formata nella
mente è stata quel tuo corpo, sfinito, con le flebo infilate nel braccio, mi sei sembrato
allora Cristo in croce! Eri la passione di un uomo arrivato alla fine.
Mi sono ricordato delle tue ultime parole: “annate a magna’ dar cinese”! Dopo nem-
meno mezza giornata non c’eri più!
“Non vojio fiori, li sordi annateveli a magna’ alla memoria mia” erano le parole che
mi avevi detto quella volta in macchina quando, celiando, mi confidasti: “me piace-
rebbe vede’ er funerale mio, pe’ vede’ e senti’ quello che dicheno l’amichi mia e poi,
sorti’ fori e salutalli tutti”! Questo eri tu Alessandro! Si! Ci andremo a mangiare dal
“Cinese”! E ti saluterò con un brindisi vecchio di mille anni; ci alzeremo tutti in piedi
e, sollevato il calice, citerò quel bellissimo passo di Omar Khayyam: “Amico, noi sia-
mo polvere, dispersi nella sabbia del deserto, quando tu liberai, versa una goccia del
tuo vino su questa sabbia, affinché anch’io posa libare assieme a te”!
Ciao Brontolo!
Maurizio Stasi
Un distinguo, per cominciare
Sempre più si va diffondendo nella nostra stampa l’uso della parola meme che sta ad
indicare la diffusione virale (attraverso tweet, blog, forum, hashtag, selfies, ecc.) di
giudizi, atteggiamenti, critiche o plauso per persone o eventi. Questo uso si riferisce a
quelli che vengono definiti in inglese internet memes (memi digitali) e prescinde
dall’origine scientifica del termine. Cerchiamo di fare chiarezza.
Tra sociologia e genetica
Nel 1976 l’etologo e saggista britannico Richard Dawkins pubblicava il volume Il ge-
ne egoista. In questo scritto enunciava la nozione di meme, un corrispondente socio-
logico del gene che presenta analoghe modalità di replica, mutazione e selezione.
Dawkins descrive il meme come un’unità di informazione, uno schema di comporta-
mento che può influenzare l’ambiente in cui si trova (attraverso coloro che ne sono
portatori) e si può propagare (attraverso la trasmissione culturale). La polvere da spa-
ro, ad esempio, è stata inventata in Cina nel IX secolo allo scopo di creare i fuochi ar-
tificiali: questi servivano ad allontanare il mostro Nian che ogni 12 mesi usciva dalla
sua tana per cibarsi di esseri umani. Ma, in Europa, la polvere da sparo non è mai sta-
ta usata per celebrare la festa di primavera, ha subito una mutazione ed è divenuta
uno strumento di guerra, di dominio. Due mondi, due visioni: la mutazione di una vi-
sione culturale e delle finalità del meme che la identifica.
La memetica…
La nozione individuata da Dawkins ha dato origine a un’intera scienza che è stata de-
finita memetica. Come accade sempre più di frequente, questa disciplina è stata vitti-
ma dell’onnipresenza “culturale” di internet. Parole e nozioni nuove nascono spesso
in inglese, sia perché molti paesi anglofoni dispongono di grandi mezzi per favorire
la ricerca, sia perché questa lingua tentacolare viene ormai impiegata da studiosi di
tutto il mondo che la usano per garantirsi una platea più vasta. Abbiamo discusso ulti-
mamente in questa rubrica del termine narrazione, che deriva dall’inglese giornalisti-
co narrative, per descrivere una forma di comunicazione che riflette al meglio la pro-
pria visione, i propri valori e i propri obiettivi. Il nuovo concetto è stato tradotto in
italiano con il neologismo narrazione (e non narrativa che è un genere letterario).
… come snaturare una scienza
Allo stesso modo, il web si è impossessato del termine meme, impiegato oggi in in-
glese per indicare una diffusione virale, una replica mediante retweeting (retwittare,
in anglo-italiano!). Questa nozione tiene conto soltanto della velocità di trasmissione,
condivisione ed influsso delle notizie e non più dello stretto legame darwiniano che
Dawkins assegnava a geni e memi. Un gene (e un meme culturale) sono sottoposti a
meccanismi di mutazione e selezione che sono, però, falsati nel meme digitale. La se-
lezione naturale darwiniana prevede la scomparsa di alcune caratteristiche che la na-
tura ritiene inutili o dannose, i memi digitali, invece, si estinguono perché hanno una
vita necessariamente breve, incalzati da nuovi memi, o perché stroncati da un rigoro-
so fact-checking (verifica dei fatti e delle fonti).
I memi digitali
I memi digitali sono nati come espressioni di ilarità, prese in giro o stigmatizzazioni
giocose dei comportamenti di personaggi illustri. Ma - era destino - hanno anche as-
Da tempo la più accreditata storiografia artistica riconosce in Girolamo Siciolante
(Sermoneta 1521–Roma 1575) uno dei principali protagonisti del Manierismo roma-
no, stagione artistica tra le più felici per l’Urbe pontificia e per l’intero Lazio. Nel ter-
ritorio pontino, a Sermoneta sua città natale e a Bassiano, si conservano alcune im-
portanti opere, che già da sole restituiscono un’immagine più che eloquente di un ar-
tista la cui valentia fu ben presto riconosciuta oltre le possenti mura del Borgo natio.
Siciolante fu un pittore che già in vita godette di un notevole successo che lo portò ad
essere prediletto interprete presso numerose ed influenti famiglie dell’aristocrazia
pontificia. Nell’ultimo decennio di vita fu tra i massimi esponenti dell’ambiente arti-
stico romano grazie ad un linguaggio sostanzialmente privo di eccessi, in cui i marca-
ti accenti della Maniera toscana venivano stemperati da una rassicurante matrice clas-
sicista.
Di Siciolante, ancora in vita, se ne occupò il pittore e storico aretino Giorgio Vasari
che, nella seconda edizione delle Vite (1568), aprì il capitolo dedicato ai Diversi Arte-
fici Italiani, proprio con una estesa narrazione dedicata al Siciolante,: l’artista è de-
scritto come “molto eccellente nella sua professione” oltre che “valoroso pittore”.
Con lui vengono ricordati artisti del livello di Marcello Venusti, Jacopino del Conte,
Cesare Nebbia ed il Pomarancio, tutti attivi a Roma nella seconda metà del XVI seco-
lo.
Molto più recentemente, negli anni Cinquanta del secolo scorso, il grande storico del-
l’arte Federico Zeri rilevava come “a Girolamo Siciolante spetti un’attenzione meno
scarsa di quella che meritano i pittori cui viene abitualmente considerato in fascio”.
Il Redentore è un dipinto ad olio
su tavola (cm 59x46) databile alla
seconda metà dagli anni Sessanta
del XVI secolo. La finezza dell’e-
secuzione, la perfetta impagina-
zione e il brillante cromatismo ti-
pico della tarda Maniera romana,
fanno sì che la tavola di Bassiano
possa essere annoverata tra le più
belle creazioni dell’intera produ-
zione del Siciolante ermoneta.
L’opera viene ricordata nel 1766
da Pietro Pantanelli nel suo mano-
scritto Notizie istoriche (edito nel
1911) esposta “nella collegiata
chiesa di S. Nicola in Bassiano”.
Il Redentore è quindi citato da
Gaetano Moroni (Dizionario, vol.
LXXXIX, 1858) che annota come
nella chiesa di S. Nicola a Bassia-
no vi sia “una tavola col Salvatore
di Sicciolante [sic]”.
Nella seconda metà del Novecen-
to Federico Zeri, (Pittura e Con-
troriforma, 1957) ritiene il Reden-
tore opera “in cui lo spiccato clas-
sicismo delle opere giovanili cede
gradualmente ad un accento squi-
sitamente mistico” e lo data intorno 1560. Più tardi John Hunter (Girolamo Siciolan-
te, 1996), rilevando alcune somiglianze con il Cristo benedicente di Palestrina, lo col-
loca nel triennio 1566-1568.
A quegli stessi anni si fa solitamente risalire la grande Incoronazione della Vergine
(Museo diocesano di Sermoneta), che presenta interessanti analogie col Redentore di
Bassiano sia nel volto della maestosa figura di Cristo sia negli intensi gialli e rosa del
luminoso fondale.
BASSIANO – Collegiata chiesa di S. Nicola
27 - 13 luglio ore 9.00 – 13.00 15.00 -18.00 – Ingresso libero
sunto valenza politica, di critica o condivisione ideologica. Si diffondono con le vi-
sualizzazioni, e le condivisioni in rete, con l’invio ad amici e come risposta agli hash-
tag che popolano la rete. Alla selezione si contrappone la moltiplicazione e la muta-
zione si esaurisce in iraconde risposte ai tweet degli avversari. Senza voler fare nomi
né esempi, mi riferisco all’asfissiante propaganda con cui alcune figure in vista, in
Italia e nel mondo, difendono i propri punti di vista o attaccano i propri avversari con-
tando sulla diffusione virale di poche righe di tweet e sul plauso di (numerosi) segua-
ci.
L’orologiaio cieco
Dawkins presenta un’ipotesi molto suggestiva della selezione naturale. Il meccanismo
evolutivo è visto come l’opera di un orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi
a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine. Eppure, i risultati della se-
lezione naturale ci danno un’impressione molto efficace dell’esistenza di un disegno
intenzionale di un maestro orologiaio (*).
Questa cecità è l’unica analogia fra il meme culturale di Dawkins e i memi di inter-
net. Ma mentre i memi culturali hanno prodotto un irraggiamento della conoscenza,
l’apprendimento di usanze, modi di essere e di pensare, affinando e ampliando i nostri
orizzonti (sono i casi in cui internet si rivela utile), i memi digitali non selezionano
nuove capacità, non ci insegnano nulla e producono maldicenza. L’orologiaio cieco è
diventato un goffo parolaio. Pensavamo che la nozione “ideologia” fosse stata bandita
per sempre ma eccola ripresentarsi in una forma vitale quanto pericolosa!!
(*) https://www.uaar.it/libri/orologiaio-cieco/
STORIA DELL’ARTE
con Vincenzo Scozzarella
GIROLAMO SICIOLANTE
un artista alla corte dei Caetani
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi di tutti gli interessati
COS’È UN MEME?
E COSA È DIVENTATO?
di Giancarlo Marchesini
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