Il Litorale • 19/2019
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Del nuovo porto di Anzio e della
società Capo d’Anzio, costituita
per realizzarlo e gestirlo, se ne
parla da decenni senza venirne a
capo. Una buona parte della citta-
dinanza è convinta sia una que-
stione superata e sepolta, eppure,
ancora oggi la faccenda è tutt’al-
tro che risolta, tanto che nel pros-
simo consiglio comunale nel vo-
tare il bilancio consolidato (in
estrema sintesi il contributo al bi-
lancio del comune che danno le
società partecipate dall’Ente) af-
fronteremo ancora una volta la
questione della società Capo
d’Anzio, del suo disastroso bilan-
cio e del futuro del Porto, il cuore
della città.
Vale la pena allora inquadrare la
questione, ripercorrere le tappe
fondamentali che ci hanno portato
alla situazione attuale di pericolo-
so stalloe capire i possibili scena-
ri, perchéla conseguenza di questo
fallimento non è ‘solo’ un nulla di
fatto, rispetto al quale siamo pur-
troppo abituati, ma la trasforma-
zione dell’attuale porto in un par-
cheggio privato di barche (vedi la
vicina Nettuno), in cui il valore
prodotto dalla città viene incame-
rato da pochissimi privati e gli
abitanti sono dispossessati di uno
dei loro beni più preziosi. Tenterò
una sintesi, ma la questione è lun-
ga e complessa e alcuni aspetti
non possono essere ignorati.Non
sono un giornalista ma un politi-
co, quindi la mia prospettiva sarà
di parte, che non significa ideolo-
gica, strumentale o preconcetta,
ma posizionata rispetto ad un’idea
di città.
Alla fine degli anni ’90, in un pe-
riodo storico di crescita e forti
possibilità economiche, l’allora
amministrazione di centro sinistra
(l’ultima nella storia della città e
che durò pochi mesi) decise di
portare all’attenzione della Regio-
ne Lazio, l’Ente che ha ‘possiede’
il Porto, la proposta di amplia-
mento che veniva direttamente
dagli operatori portuali, i quali
chiedevano sostanzialmente di
avere più spazio.Il contesto eco-
nomico era favorevole, il progetto
già faraoinco. Fu un errore? Con
tutta probabilità sì, mami sembra
un tantino facile attribuire tutta la
colpa a chi ha governato pochi
mesi, in una fase esplorativa di
un’idea progettuale, rispetto al-
l’insistenza dei venti anni succes-
sivi.
Nel 1998 infatti si avvia la stagio-
ne del centro destra, mai interrotta
fino ad oggi, che fa del nuovo
porto il suo cavallo di battaglia
tanto da inserirlo come punto fon-
dante del nuovo piano regolatore
approvato nel 2005 e riproporlo
come promessa di sviluppo della
città ad ogni campagna elettorale,
compresa l’ultima. Si costituisce
una società per azioni inizialmen-
te tutta pubblica, partecipata dal
Comune al 61% e da una società
del Ministero dello sviluppo eco-
nomico per il restante 39%, la
quale aveva l’obiettivo di reperire
i capitali necessari alla realizza-
zione dell’opera.
Nei 13 anni successivi nulla di
fatto. Oggi il centro destra attri-
buisce la colpa di questo al centro
sinistra regionale, accusandolo di
aver bloccato il porto di Anzio in
favore di quello di Fiumicino. Se
ciò sia accaduto non sono in gra-
do di dirlo, so solo che alla Re-
gione c’è stata nel tempo una no-
tevole alternanza di colori politici,
con 5 anni di Storace Presidente.
Mi interessano poco poi alcune
vicende del passato (peraltro ho
più volte criticato in prima perso-
na il centro sinistra regionale), le
riporto solo perché puntualmente
in maggioranza usano queste ar-
gomentazioni per screditarci, tan-
to vale dirle subito.
Nel 2011, nel pieno crisi econo-
mica, con la giunta Polverini si
firma la concessione tra Regione
e Comune per un’opera da 190
milioni di euro. I manifesti della
Polverini e dell’ex Sindaco Bru-
schini trionfanti invadono la città,
mail bando in project financing
(un privato investe e poi gestisce i
posti barca per rientrare dei capi-
tali e fare profitti) va ovviamente
deserto. Il mercato boccia l’opera.
Nel frattempo, tanto per compli-
care la situazione, a seguito di una
serie di operazioni di ingegneria
societaria il 39% di quote della
società del Ministero finiscono
nelle mani di una società privata
di proprietà dell’ingegner Marco-
ni che detiene una grande rete di
Marine (parcheggi di barche, non
porti) in tutto il mediterraneo.
Il centro destra, invece di prende-
re atto del fallimento e lavorare al
ridimensionamento del progetto
bocciato anche dal mercato insi-
ste. Con la complicità della Re-
gione (questa volta di centro sini-
stra, a dir poco accondiscendente)
stralcia 30 milioni di opere pub-
bliche dal progetto, caccia gli or-
meggiatori storici dopo un lungo
contenzioso, inizia a gestire il
porto esistente (e quindi a inca-
merare i proventi provenienti dal-
l’affitto dei posti barca) e tenta di
realizzare il raddoppioper fasi, fi-
nanziando l’opera direttamente:
prima la trasformazione del baci-
no interno per il diporto (20 mi-
lioni stimati) e poi il braccio nuo-
vo a sud che dovrebbe ospitare la
pesca, la cantieristica e il traspor-
to passeggeri (per icirca 140 mi-
lioni mancanti).
In questa fase il comportamento
nei confronti del socio privato-
non-voluto è schizofrenico: da un
lato si vota all’unanimità un ordi-
ne del giorno in consiglio comu-
nale per far intraprendere al co-
mune una causa per riacquistare il
100% della società (la società pri-
ma pubblica poi passata ‘magica-
mente’ ad un privato non ha ri-
spettato i patti tra soci non avendo
fornito per tempo i finanziamen-
ti), dall’altro si firma la road map
con questa per la realizzazione del
porto per fasi.
Ma qual è il problema della socie-
tà privata in questione? Le forme
di partenariato pubblico privato si
fanno in tutto il mondo e se ben
gestite funzionano anche. Cosa
non va in questo caso? Semplice:
il privato ha dimostrato nel tempo
(sia ad Anzio sia in altri comuni
con situazioni analoghe) di non
aver interesse a compartecipare
alla realizzazione di un’opera
mettendo in campo capitali e
competenze in cambio dei profitti
sulla quota parte di partecipazione
nella società. Il privato vuole ac-
cumulare credito nei confronti del
comune, mettere questo in diffi-
coltà dal punto di vista economi-
co finanziario e poi comprare a ri-
basso tutta la società con la con-
cessione, ovvero il porto, per farlo
diventare l’ennesima marina da
annettere alla sua rete. Potrebbero
sembrare congetture, ma la propo-
sta fatta dal socio privato al co-
mune un anno fa, quella di acqui-
stare il totale delle quote della so-
cietà e quindi il porto a meno di 5
milioni di euro, la dice lunga.
Inutile perdersi in mille altri det-
tagli: nel 2019 il bando per l’affi-
damento dei lavori per la prima
fase (20 milioni) va deserto. La
causa avviata contro il privato ar-
riva a sentenza dopo svariati anni
(‘casualmente’ a ridosso della
pubblicazione della gara) e vede il
comune vincitore: il porto può
tornare al 100% pubblico, ma la
sentenza è costitutiva e non ese-
cutiva.Il comune pur avendo vin-
to la causa non può rientrare in
possesso delle sue quote che il
privato nel frattempo ha spostato
in un’altra società di sua proprie-
tà.
Ad oggi la situazione è questa:
-non è stato messo un mattone;
-la concessione, come il piano re-
golatore portuale, resta legata
all’opera faraonica assolutamente
fuori mercato;
-la concessione prevedeva tempi
di realizzazione dell’opera. Tempi
assolutamente superati;
-la società capo d’Anzio non ha
un presidente in rappresentanza
del comune da mesi;
-la stessa società ha registrato nel
2018 un risultato di esercizio di -
73.000 euro ed il suo patrimonio
netto è sceso a 18.680 euro, al di
sotto della soglia minima per lo
scioglimento ai sensi del codice
civile: andrebbe ricapitalizzata
con soldi anche pubblici, ma non
registra utili;
-Il comune non è materialmente
in possesso del 100% delle quote;
Inutile girarci intorno: stante la si-
tuazione a cui si è arrivati le pos-
sibilità di azione del comune oggi
sono tutte rischiose e difficili, ma
siamo chiamati a prendere una de-
cisione per la città e vale la pensa
avviare un confronto pubblico su
questo.
IPOTESI 1: si fa pace con il pri-
vato, si lasciano perdere le cause
e si firmano nuovi patti parasocia-
li in cui il comune decide e il pri-
vato esegue. ? quanto ipotizzato
dal Sindaco in consiglio comuna-
le. Non sono d’accordo. Primo, il
privato è scaltro e competente,
non si farà limitare così, ha altre
mire: con operatori economici
parassitari di questo tipo non vor-
rei averci più niente a che fare.
Secondo, che ne sarà del proget-
to? Sembra non fregare più niente
a nessuno, ma allo stato attuale è
comunque irrealizzabile, insoste-
nibile e inadeguato. Non riuscia-
mo a fare attivi oggi, riusciremo a
farli per coprire 160 milioni di in-
vestimenti? Riusciremo ad affitta-
re a regime l’86% di oltre mille
posti barca come previsto dal pia-
no economico finanziario redatto?
Non credo.Lo scenario più plausi-
bile è che la Regione intervenga
in un secondo momento stralcian-
do la fase 2. Il risultato nella mi-
gliore delle ipotesi è la trasforma-
zione del porto in una accozzaglia
di posti barca senza una logica
gestiti dal privato (il progetto nel
suo complesso prevedeva il tra-
sferimento delle attività portuali
nel molo esterno:non facendo più
queste, resterebbe tutto ammassa-
to nel bacino attuale).
IPOTESI 2: Si restituisce la con-
cessione alla Regione Lazio, la
società Capo d’Anzio fallisce, i li-
bri si portano in tribunale e i debi-
ti li pagano, verosimilmente, in
parte il comune in parte il privato.
Al di là dell’aspetto economico
comunque preoccupante, il punto
è: che ne farebbela Regione Lazio
del porto? Qui si aprono mille
possibilità. Nessuno può saperlo
con certezza, ma con tutta proba-
bilità riaffiderebbe le aree portuali
con gara europea ad altri operatori
privati. Il privato (chiunque esso
sia, compreso l’ingegner Marconi
che potrebbe avere tutte le carte
per aggiudicarsi la concessione)
esce dalla porta e rientra dalla fi-
nestra. Il pubblico perde la possi-
bilità di gestire il porto.
Certo, c’è la possibilità che la Re-
gione gestisca diversamente il
porto o che per esempio lo annet-
ta all’autorità portuale di Civita-
vecchia. Ragionamenti utili, ma
finché la Regione non si esprime
e non dà seguito all’ordine del
giorno votato l’anno scorso in
Consiglio Regionale questa pro-
spettiva resta estremamente ri-
schiosa.
IPOTESI 3: (il percorso, certa-
mente difficile, che proverei io se
fossi al governo):si perseguono le
cause contro il privato chiedendo
il sequestro delle quote sulla so-
cietà in cui le ha trasferite,si rica-
pitalizza la Capo d’Anzio per non
farla fallire e si coinvolge la Re-
gione per aprire un tavolo (come
già previsto dall’ordine del giorno
votato l’anno scorso) e si mettono
in campotutte le possibilità con
un bel po’ di coraggio. ? fonda-
mentale ragionare da subito su
una rimodulazione del progetto
affinché sia sostenibile e adegua-
to, calibrato sul bacino attuale e
quindi, soprattutto, realizzabile e
gestibile da un Ente pubblico. Va
rifatto un accordo con la Regione
sulla base di questo. Se necessario
coinvolgere altri partner pubblici
o privati per aumentare le compe-
tenze bene, ma con l’ingegner
Marconi abbiamo già dato. Se c’è
la volontà politica e la capacità
gestionale (tanto del Comune
quanto della Regione) si fa. Altri-
menti meglio interrompere tutto
subito, portare i libri in tribunale
e chiedere alcune garanzie mini-
me sul futuro del Porto, ma con la
poca credibilità che abbiamo rag-
giunto oggi sarà difficile ottener-
le.
Luca Brignone
Alternativa per Anzio
Riceviamo e pubblichiamo dal consigliere Luca Brignone di Alternativa per Anzio la storia che dovrebbe portare ad un nuovo porto
La Città è chiamata a decidere sul porto e sulla Capo d’Anzio
Pag. 6 Il Litorale ANNO XIX - N° 19 - 1/15 NOVEMBRE 2019
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