Statistica e cultura
Un’espressione ben nota agli esperti di statistica è “risposte di prestigio”. Ad esempio, l’intervistato non vuole ammettere di non conoscere un certo scrittore di successo e risponde a casaccio “sì, so chi è” salvo poi dar prova di ignoranza per quanto riguarda altri libri dello stesso autore, il suo stile, i personaggi, l’editore, ecc.
Le citazioni
La ricerca di prestigio è ben presente anche nelle citazioni: far tremare le vene e i polsi. Più di un lettore saprà che si tratta di una famosa endiadi dantesca, ma in quale cantica, in quale canto e da chi vengono pronunciate queste parole, da Dante o Virgilio? Lo stesso vale per “Io fei gibetto a me delle mie case (Pier de la Vigna, Inferno, Canto XIII) o per Paris vaut bien une messe (Enrico IV, re di Francia). Non ne aggiungo altre, potete divertirvi a farlo da soli.
Come scriviamo
A maggior ragione il prestigio delle parole viene ricercato da chi scrive. È un modo per distinguersi dagli altri (oggi si direbbe smarcarsi) e sciorinare una parola che nessun altro avrebbe usato per dimostrare la propria cultura. Per fare degli esempi banali: nelle righe che precedono avrei potuto scrivere “insipienza” invece di ignoranza o “lemmi” invece di parole.
Indipendentemente dal valore autoreferenziale (traduco: che fa riferimento esclusivamente a se stesso e alla propria soddisfazione) delle parole di prestigio va detto che il loro uso può causare un cortocircuito della comunicazione. Se non lo avessi spiegato, quanti lettori avrebbero smesso di leggere questo articoletto arrivati alla parola “autoreferenziale”?
A cosa servono le parole difficili?
Non è mia intenzione spezzare una lancia per le “parole difficili” ma per le “parole indispensabili”.
La fase propedeutica di ogni disciplina scientifica è l’epistemologia. Devo tradurre? Una fase iniziale e indispensabile di ogni disciplina scientifica è delimitare il proprio campo di indagine e individuare gli strumenti per perseguirla. Come vedete la “traduzione” è molto meno concisa dell’affermazione iniziale. Anzi, è meno precisa.
La parola epistemologia condensa la seconda parte della frase, la descrive compiutamente e racchiude tutte le nozioni che ho evidenziato in grassetto.
I miei tre lettori
Con sublime ironia Manzoni stimava a venticinque il numero dei suoi lettori. Io non ne ho più di tre e li conosco di persona. In questi articoli per l’Osservatorio cerco di lanciare degli stimoli presentando i fatti della lingua in modo diverso, forse inconsueto ma – spero – fruttuoso. Mi scuso con i miei tre affezionati lettori se talvolta uso parole complesse ma lo faccio inseguendo un ideale di scientificità. Perché è tipico della scienza (e la linguistica È una scienza) chiarire il proprio oggetto di ricerca e i propri metodi di indagine. E i termini scientifici sono una testa di ponte che ci permette di non ripartire sempre da zero. Se in uno dei prossimi articoli parlerò di epistemologia i miei tre compagni di (s)ventura non dovranno affannarsi su enciclopedie o dubbiose informazioni reperibili su internet per sapere di cosa sto parlando. Andremo avanti insieme, imparando e divertendoci.
Un monito
L’Osservatorio linguistico ha anche lo scopo di mettere in guardia contro semplificazioni ed abusi. E uno degli abusi più frequenti è quello di usare parole incomprensibili per nascondere l’opacità del pensiero, la volontà di non dire. Si parla tanto di trasparenza, ai nostri giorni, ma sembra che molti dei nostri pubblicisti fatichino a metterla in atto. Nobiltà (noblesse) non deve essere sinonimo di ipocrisia o codardia!
corrispondenze # da casa #
Da noi tutto procede in attesa dell'incognita svolta.
Tempo sospeso
«Intreccio di luce e ombra il presente.
Benedetto questo tempo sospeso
per il me che emerge dalla solitudine,
per i gesti di solidarietà,
per la natura intera.
Maledetto questo tempo sospeso
per le dolorose perdite,
per la rabbia e insicurezza,
per i divieti e la paura.
Nell'ombra dilaga la paura,
serpeggia e risale,
mi vuole possedere.
Non mi abbandono,
mi abbraccio
e volgo lo sguardo alla luce,
al momento presente,
al futuro, alla vita.»
21 aprile 2020
«Per me l’ansia di fermare
Quelle cose vive
Quelle cose con gli amici
…
Poi scopro che non è vero
Com’è possibile
Che basti un tramonto
per vedere giungere la notte.
Dormirò.
Il risveglio so già che sarà luminoso
Mi conosco.
È solo un po’ di stanchezza.»
22 aprile, ore 19.
IL PRINCIPE ALPINISTA, ESPLORATORE, VIAGGIATORE
Il Duca degli Abruzzi
di Alessandro Evangelisti
“Nessuno dei grandi viaggiatori avventurosi è stato tanto nel mio pensiero quanto Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi.” (Walter Bonatti, alpinista)
PRINCIPE DI SANGUE REALE
All’età di soli sei anni e mezzo, Luigi Amedeo di Savoia (1873-1933) viene arruolato come mozzo nella Regia Marina sabauda per ricevere un’educazione militare, come era tradizione per i prìncipi della Casa Reale destinati a ricoprire alti gradi nelle forze armate. Con i fratelli, avrà quale precettore lo studioso e frate barnabita Francesco Denza che lo introdurrà, in particolare, alla pratica sportiva dell’alpinismo intesa come strumento didattico per l’apprendimento delle scienze naturali e per l’arricchimento spirituale. Promosso a sedici anni al grado di guardiamarina dalla Regia Accademia Navale di Livorno, nel 1889 compie il suo primo imbarco militare per una navigazione intorno al mondo. L’anno successivo, alla morte del padre, il re Umberto I gli conferisce il titolo di Duca degli Abruzzi. Nel 1894 salpa ancora per una lunga missione diplomatica, che lo porterà a compiere la sua seconda circumnavigazione del globo. Di questo suo viaggio, si ricordano due soste: in Alaska, ove egli viene a conoscenza di una cima inviolata in quella regione, il Monte Saint Elias di 5489 m; e in India, ove si spinge sino alle propaggini della catena dell’Himalaya e ne intravede le imponenti cime di oltre 8000 m di altezza.
DODICI ANNI DI GRANDI IMPRESE
Già in precedenza, tra il 1892 ed il 1894, il Duca degli Abruzzi, seguendo la propria passione per l’alpinismo, aveva compiuto numerose ascensioni sulle Alpi (tra queste, una impegnativa ascesa del Monte Cervino). Ma furono invero le imprese e le esplorazioni che egli compì successivamente, dal 1897 al 1909, che lo resero celebre.
Nel 1897, a capo di una spedizione italiana ritorna nell’estremo Nord-Ovest del Continente americano e conquista la vetta del citato Monte Saint Elias, dopo averne raggiunto le pendici con una marcia di avvicinamento di circa 100 km, in un clima artico estremo.
Nel 1898 scala due cime inviolate sul massiccio delle Grandes Jorassess (Alpi Occidentali), alle quali dà nome di Punta Margherita (in onore della Regina e grande alpinista) e Punta Elena (in onore della cognata).
Negli anni 1899-1900 organizza una spedizione per raggiungere con la nave Stella Polare il Polo Nord. Non vi riuscirà. Si fermerà a 381 km dal Polo, alla Latitudine Nord di 86°33’49”, la massima sino ad allora raggiunta.
Un terzo giro del mondo sarà da lui effettuato dal 1901 al 1905 a bordo di un incrociatore della Regia Marina.
Nel 1906 è in Africa Centrale. Accompagnato da alcune guide di Courmayeur esplora le maggiori vette del massiccio del Ruwenzori, ne scala la più alta e inviolata di 5109 m, alla quale dà il nome di Cima Margherita (sempre in onore della Regina).
Nel 1909, ancora con guide di Courmayeur (e con un massiccio impiego di portatori coolies), organizza una spedizione in Pakistan, sul massiccio himalayano del Karakorum, nel tentativo di raggiungere la cima inviolata del K2, la seconda vetta al mondo. Ne intuisce una via per la salita, un costone sul lato pakistano della montagna (cui dà nome di Sperone Abruzzi), ma a 6600 m è costretto a fermarsi per le avverse condizioni atmosferiche e a rinunciare all’impresa. La spedizione tuttavia rimase a scalare altri rilievi circostanti, raggiungendo sui fianchi del monte Chogolisa (Bride Peak) l’altitudine record di 7498 m, rimasta imbattuta sino al 1924.
LA GRANDE GUERRA E L’AFRICA
La Prima Guerra Mondiale vide il Duca degli Abruzzi al comando delle Forze Navali regie, e poi essere elevato al grado di Ammiraglio. Nel 1919 intraprende l’operazione di una grande bonifica agricola in Somalia, allora colonia italiana in Africa. Molto amato dalla popolazione, volle la sua ultima dimora sulle sponde del corso dell’Uebi Scebeli, il grande fiume che attraversa l’Etiopia e la Somalia, che aveva esplorato dalla foce alle sorgenti, da lui scoperte nel 1928.