I Comitati hanno partecipato alla Conferenza di Servizi alla Regione Lazio e dimostrato che il progetto è stato realizzato contro la normativa vigente
BIOGAS: la Regione deve intervenire
Il 1° febbraio si è tenuta, alla Regione Lazio, la prima sessione della Conferenza di Servizio per verificare la corrispondenza della Centrale Biogas della Spadellata alle best practices. Chi conosce la storia di questo sa che esso fu approvato nel 2012 alla chetichella, senza che ai cittadini di Lavinio-Sacida fosse nemmeno concesso di essere informati. La mancanza di una presenza genuinamente critica in Conferenza di Servizi non permise nemmeno di conoscere alcuni aspetti di quella realizzazione industriale a così alto impatto ambientale. Ne risultò che il progetto fu realizzato contro la normativa vigente che regola le distanze di sicurezza. La Conferenza del 1° febbraio ha dato la possibilità alle associazioni di esserci. Uniti Per l’Ambiente ha chiesto di partecipare e lo ha fatto con sei persone: Giorgio Libralato (Sacida), Costanza Fabiano (Sacida), Marco Mandelli (Lido dei Pini), Sergio Pietruccioli (Lido dei Pini), Saverio Ciullo (Comitato per Lavinio), Sergio Franchi (Comitato per Lavinio). Di seguito una sintesi dell’intervento del Comitato per Lavinio.
“La breve analisi dei fatti e delle circostanze inerenti a questo progetto non ha potuto beneficiare di elementi ulteriori di approfondimento e conoscenza in quanto non è stato possibile, inizialmente per le limitazioni sanitarie in atto e successivamente per una volontà che è apparsa preclusiva, di accedere agli atti del fascicolo, richiesta che dovrà, comunque, essere evasa in seguito, come previsto dalla normativa vigente. Ferma restando la totale irrazionalità di realizzare impianti industriali per il trattamento di rifiuti organici, che potrebbero essere altrimenti smaltiti senza il benché minimo impatto ambientale. Ritenendo il prodotto gas che da tale trattamento deriva del tutto irrilevante sul piano economico. Nella convinzione, verificata da fatti, che insediamenti di questo genere recano solo disagio, potenziale pericolo ed un danno economico alla popolazione, resta il diritto di libera impresa garantito dalla legge di un Paese democratico; resta il rispetto per chi tale impresa esercita e per chi in tale impresa rischia il proprio impegno finanziario. Un rispetto che deve anche costituire garanzia di libero esercizio dell’impresa medesima. Un esercizio che deve, però, essere sempre coniugato con i diritti della Comunità, con la sua sicurezza e con la salute dei suoi cittadini. Quando ciò non avviene devono essere i diritti delle Comunità a prevalere perché sono diritti essenziali e fondamentali garantiti del vivere sociale. Quando poi i diritti dell’impresa vengono fatti valere senza che la Comunità, che deve pagare un forte contributo, venga nemmeno informata ne, tanto meno coinvolta nel processo decisionale e ancor meno risarcita, come nel caso di cui si tratta, allora si sostanziano forti ragioni di dissenso, come in un patto tradito da parte delle istituzioni. Se, infine, il diritto alla libera intrapresa viene esercitato con l’inganno e cioè omettendo le ragioni legali che certamente ne precluderebbero l’esercizio, allora alla ripulsa generale non si può che accompagnare l’azione della richiesta di Giustizia, come unico ed ultimo mezzo capace di ristabilire l’equilibrio tra tutti i valori in campo. La centrale per la produzione di metano che è stata realizzata in via della Spadellata n 5 ad Anzio, è stata costruita a 284 metri da obiettivi sensibili mentre, all’atto della presentazione del progetto, la distanza minima prevista dalla norma regionale era di 2000 metri. Distanza minima solo successivamente portata a 500 metri ed attualmente riportata a 1000 metri. Quella centrale è stata approvata in quanto chi aveva l’obbligo legale di riprodurre la situazione reale, ha omesso di farlo nel modo corretto, così come ha fatto chi avrebbe dovuto, per ragioni istituzionali, sapere ed informare dell’esistenza tra l’altro, nel perimetro di esclusione, di una scuola comunale frequentata da oltre 400 bambini e di un gruppo di palazzine di edilizia popolare con centinaia di abitanti. La Conferenza di Servizi che analizzò le circostanze ed approvò il progetto non fu allora posta nelle condizioni di conoscere la situazione e deliberò “non sapendo” di fatti che avrebbero costituito netta ragione di “esclusione” e cioè di diniego dell’autorizzazione medesima. Questa non è un’ipotesi ma è un tesi basata su fatti reali, se è vero come è vero che l’autorizzazione ad un altro progetto del tutto simile e posto ad una distanza anche maggiore di quello in questione, di competenza dello stesso Ufficio ed a parità di normativa vigente, è stata negata perché non rispettava le stesse distanze di sicurezza, dagli stessi obiettivi. Se non bastasse ad un terzo impianto, del tipo ricadente nella stessa categoria di progetti ambientali e posto ad una distanza simile, trattato per competenza dalla Città Metropolitana, il medesimo Ufficio Regionale ha dato “parere unico contrario” per le medesime ragioni di sicurezza. Il Comune di Anzio, dopo una lunga e contrastata disamina dei fatti avvenuta con la costituzione di una Commissione Speciale è giunto alle stesse conclusioni ed il Sindaco di Anzio ha chiesto alla Regione Lazio di ritirare l’autorizzazione alla Centrale per la produzione di biometano, gestita dalla Società Asja Ambiente. La Conferenza di Servizi autorizzò, allora, “non conoscendo”! Questa Conferenza di Servizi, che è chiamata, oggi, a riconsiderare l’AIA, “conosce” ed è a conoscenza anche la Magistratura che sta facendo luce su quanto accaduto. Tutti coloro che devono riconsiderare l’autorizzazione oggi sanno che la centrale è stata realizzata in deroga alle norme che regolano la sicurezza, sanno che questo è stato ribadito dallo stesso Ufficio Regionale responsabile. Tutti coloro che devono confermare l’autorizzazione, oggi, sanno che la centrale è stata realizzata in un centro abitato e che, a parte il fortissimo disagio ambientale ed il danno economico arrecato agli abitanti, esiste un potenziale pericolo per gli abitanti stessi in caso di incendio o deflagrazione dell’impianto. Tutti coloro che devono oggi ribadire l’autorizzazione per verificarne la rispondenza alle “best practices” non possono oggi ignorare che la centrale non è rispondente ad una fondamentale “normal essential practice” (quella anche ricordata nel Piano Regionale 2020-pratica n 4) che serve a stabilire le distanze minime di sicurezza. Il fatto che la centrale sia oggi operante ed il fatto che siano stati impegnati ingenti capitali per realizzarla non può essere ignorato anche se poteva essere evitato. Coloro che sono oggi chiamati a rinnovare la validità dell’autorizzazione devono però decidere se la salute, la sicurezza ed il benessere degli abitanti siano più o meno importanti dell’impegno economico e del guadagno che esso genera. Ovvero se, come chiesto oggi dal Sindaco di Anzio, l’autorizzazione della Centrale debba essere immediatamente revocata perché l’impianto non è aderente alle norme di sicurezza che tutelano gli abitanti. I cittadini hanno fatto sentire la loro voce alle Istituzioni sin da molto prima che la centrale venisse realizzata, le Istituzioni non hanno ritenuto opportuno fermare i lavori costruzione. Se oggi sussistono remore, diatribe fra enti e fra decisori, se esistono omissioni e compromessi inaccettabili, se esistono contrasti fra interessi diversi, non devono essere i cittadini inermi a pagarne il conto”.
Sergio Franchi