Due fratelli affiatati che superano tutte le barriere
La storia di Paolo e Silvia
Sono in compagnia di Paolo e Silvia, due fratelli molto uniti che hanno una bella storia da raccontarci. Andiamo a conoscerli.
Ciao ragazzi, vi andrebbe di dirci qualcosa sul vostro rapporto? Quanti anni avete di differenza?
Paolo: “Ciao Barbara e ciao a tutti i lettori. Sono Paolo e a giugno compirò 25 anni. Avevo il sogno di diplomarmi all’Istituto Alberghiero, sogno realizzato ma che purtroppo non ho potuto “concretizzare”.
Silvia: “Io invece sono Silvia, la sorellina. Ho compiuto da poco 20 anni e mi sono diplomata lo scorso anno. Il mio sogno era quello di fare la carriera militare ma a causa di svariate operazioni al ginocchio non ho potuto realizzarlo. Lo scorso anno però mi sono iscritta a un corso per diventare Operatore Educativo Per l’Autonomia e la Comunicazione (O.E.P.A.C. ndr) e ad aprile ho conseguito il tanto agognato attestato che mi permetterà di lavorare con bambini e ragazzi diversamente abili ed oggi lavoro in una scuola dove seguo un bambino con disturbo autistico e un bambino che invece ha il disturbo dell’attenzione”.
Paolo: “Da piccolo, intorno ai tre anni, chiesi ai miei genitori una sorellina e fortunatamente è arrivata l’anno dopo e scelsi anche il suo nome. Abbiamo circa quattro anni di differenza e il nostro rapporto è quello del classico “cane e gatto”. Devo dirti che anche grazie ai nostri genitori io e lei siamo molto uniti. Siamo l’uno la spalla dell’altra e la nostra famiglia è molto unita”.
Insieme state affrontando la malattia che ha colpito Paolo. Vi và di raccontarci qualcosa di questo cambiamento che sta vivendo Paolo e che ha coinvolto anche te Silvia?
Paolo: “I primi sintomi si sono manifestati intorno ai diciassette anni. Lavoravo come aiuto cuoco presso un ristorante di zona e stavo facendo le pulizie in cucine. Ricordo che ebbi la sensazione di occhi gonfi e non riuscivo a respirare. Presi un antistaminico e ricordo che a quell’episodio non diedi molto importanza. Durante una manifestazione estiva invece si manifestò un secondo episodio e andai in ospedale. Mi fecero una prima visita consigliandomi di fare in seguito visite specialistiche. Iniziai a girare diversi ospedali come una trottola ma non trovavo quello spiraglio di luce. Oltretutto dall’oggi al domani ho iniziato a prendere peso. Mia sorella si era accorta che qualcosa non stava andando per il verso giusto e una sera svenni in casa. Silvia avvisò i nostri genitori e andammo di corsa dal nostro medico di base che mi fece visitare da un suo collega presso il Bambin Gesù. Dopo vari accertamenti ed analisi trovarono intolleranze al glutine. Ero celiaco per le analisi. Il mangiare senza glutine mi ha fatto bene, infatti sembrava che tutto andasse liscio ma poi di nuovo un’altra botta. Mamma decise di farmi visitare al Campus bio medico e la dottoressa ci consigliò di fare un test specifico che misurava le componenti degli alimenti. Sembrava avessimo trovato la risposta al problema ma arrivarono di nuovo i problemi con la dissenteria e da quattro anni sono sotto cura. Sicuramente grazie a questa cura e aver alimenti “nocivi” alla mia salute mi hanno permesso oggi di stare meglio anche se mi sento sacrificato dovendo rinunciare a cibi che mai avrei immaginato di dover togliere dalla mia alimentazione come ad esempio una pizza con gli amici o un cocktail essendo questi alimenti “veleno” per il mio corpo.
Questo ha causato degli allontanamenti con alcuni miei amici e anche le relazioni sono un pochino complicate. Purtroppo anche il cercare un lavoro è un problema, perché quando leggono sul curriculum la parola “invalidità” molti si spaventano e non si prendono la responsabilità di una assunzione. Attualmente però ho un contratto a tempo determinato e sono felice”.
Silvia: “Ho vissuto la malattia di Paolo in prima persona e gli sono stata sempre accanto durante le sue crisi. Ho vissuto il suo cambiamento a livello fisico ed emotivo, soprattutto il disagio che sente. A volte cerco di farlo uscire con me e i miei amici ma spesso lui preferisce tornare a casa. Mi rendo conto del suo disagio, cerco di dargli forza e conforto ma non è sempre facile. Aiuta il prossimo come può, è veramente una bella persona e non lo dico perché è mio fratello ma perché lo penso”.
Paolo, Silvia in cosa vi ha avvicinato questa malattia? Come vedi tu Paolo Silvia e tu Silvia Paolo oggi? È cambiato il vostro rapporto tra fratello e sorella o è rimasto uguale?
E per concludere, avete un sogno nel cassetto? Vi andrebbe di condividerlo con noi?
Paolo: “Sicuramente oggi siamo molto più vicini. Io so che su di lei posso sempre contare.
Il mio sogno è quello di trovare un lavoro stabile e tranquillo, ma quello più importante di trovare la cura a questa malattia di cui ancora si ignora la causa”.
Silvia: “A mio fratello auguro tutto il bene del mondo. Gli auguro di trovare quel lavoro sicuro che possa dargli stabilità e che gli permetta di costruirsi un futuro. Il mio sogno è che nella sua vita possa apparire un dottore e trovare una cura alla sua malattia. Il mio grande sogno è sapere che mio fratello stia bene, sia felice e soprattutto che sorrida!”
Grazie Paolo e grazie Silvia. Grazie per averci parlato di questo momento difficile che state attraversando, grazie per averci mostrato quanto un Amore fraterno possa fare veramente la differenza. Il mio augurio è che tu Paolo possa trovare un medico e che possa uscire da questo tunnel e vedere quella luce che tua sorella sogna di vedere insieme a te.
Barbara Balestrieri
A colloquio con Marzia e Raffaella in merito alla loro esperienza durante il tirocinio
La professione di arte in terapia
Sono oggi in compagnia di Marzia e Raffaella, due O.E.P.A.C. che lo scorso martedì hanno lasciato un contributo su come hanno applicato l’arte terapia nel corso del loro tirocinio presso l’Accademia di belle Arti di Roma, invitate da una professoressa.
Raffaella, so che tu sei stata “precettata” dalla tua ex docente in quanto sei laureata in arte terapia.
Ci racconti qualcosa del tuo percorso in Accademia e perché hai scelto di portare Marzia con te?
“Mi sono laureata in arte per la terapia, due anni fa all’Accademia di belle Arti di Roma. La scelta di specializzarmi in questo settore è data dalla mia passione per il disegno e tutti i medium artistici in qualità di espressione del vero Sé e non legato all’estetica del prodotto finale. L’arte che si sposa con l’inconscio e nel suo processo creativo si rende terapeutica è sicuramente il modo migliore per far comunicare e esprimere l’anima e potenziare la creatività. La professoressa responsabile dell’accademia di arte per la terapia, Nicoletta Agostini, venuta al corrente del mio corso e lavoro di O.E.P.A.C, (Operatore Educativo Per l’Autonomia e la Comunicazione n.d.r.) mi ha invitato a tenere un intervento in una lezione online per informare gli studenti delle possibilità proprio come O.E.P.A.C nelle scuole e ho accettato con entusiasmo spiegando come l’ arte terapia sia un canale non verbale e espressivo spesso fondamentale per la relazione e la comunicazione con i bimbi. Ho voluto far intervenire anche Marzia, mia collega di corso, sia per la sua enorme passione e per il suo impegno come O.E.P.A.C. e anche per farle raccontare il suo tirocinio nella scuola dell’infanzia”.
Marzia cosa ti ha spinto a dire di sì a Raffaella?
“Diciamo che Raffaella sa essere molto convincente, la sua passione per l’arte è travolgente che ti rende tutto molto facile, anche il parlare il pubblico che diciamo non è il mio forte, ma comunque con il suo aiuto è stata un? esperienza piacevole”.
Perché avete scelto di diventare OEPAC? Cosa vi ha portato a fare questo corso?
Marzia: “Ho scelto di diventare O.E.P.A.C. per poter lavorare con i bambini e aiutare chi ha bisogno di un aiuto. Sono diventata mamma giovane e non ho potuto proseguire gli studi e ho sempre messo da parte ciò che volevo fare e cercare di realizzare, parlando con una mia amica di questo corso mi sono detta: “Perché no? Perché non provarci..” e anche se all’inizio ho avuto molti dubbi di non riuscire alla fine oltre alla grande soddisfazione personale mi ha dato la giusta motivazione per andare avanti e non fermarmi qua, di continuare su questo percorso”.
Raffaella: “Durante il biennio in Accademia ho svolto diversi tirocini in differenti ambiti, pazienti del centro igiene mentale, donne straniere, malati oncologici, ma spesso ho interagito con adulti. Mi mancava l’esperienza con in bambini. Svolgere un buon ruolo di O.E.P.A.C., favorire la comunicazione e la relazione tra pari, dare delle strategie a dei futuri adulti, life skill di vita (insieme di abilità sociali, cognitive e personali che consentono di affrontare positivamente le richieste e le sfide che ci riserva la vita quotidiana n.d.r.) che migliorano la persona. Empatia, arte e didattica, sono tre fattori che possono migliorare i bambini con bisogni educativi speciali. Di questo ne sono sicura, e, per questo ho scelto di diventare O.E.P.A.C.”.
Ci potete raccontare qualcosa del vostro tirocinio? In che modo avete applicato l’arte terapia nel tirocinio? Quali riscontri tangibili avete avuto?
Raffaella: “Ho svolto in tirocinio in una scuola elementare con u a bambina ADHD (disturbo i cui sintomi sono impulsività, inattenzione e iperattività n.d.r.) oppositiva, provocatoria, con disturbi comportamentali. Il disegno, i colori, il gioco sono stati strumenti molto importanti in quanto ha appreso molto e migliorato la motricità fine. Inoltre svolgendo laboratori di process art, dove non si giudica in base alla bellezza del disegno finale, si è integrata divertendosi nel gruppo classe”.
Marzia: “Il mio tirocinio si è svolto in una scuola dell’infanzia, avevo bambini di 4 anni. La bimba che mi è stata affidata non è italiana ma comunque non è verbale (diceva qualche colore ma in inglese), comunicava con alcuni gesti e strilli, si buttava spesso a terra e la sua attenzione era molto ristretta. Non aveva diagnosi effettiva, la stanno certificando e spero che per settembre avrà tutto ciò di cui ha bisogno.
Con lei dovevo trasformare qualunque cosa in gioco e dovevo dargli più alternative avendo un’attenzione ristretta ad esempio per portare a termine un disegno dovevo iniziare con i pastelli (che a lei non piacevano molto), per andare al colore a cera o ai pennelli che lei adorava.
Avendo capito che gli piacevano molto i colori ho costruito giochi per stimolare la motricità fine come ad a esempio mettere con delle mollette delle palline morbide in bicchieri dello stesso colore. Inoltre sempre per catturare la sua breve attenzione quando leggevo storie o albi illustrati disegnavo i personaggi dei racconti in modo che erano loro a parlare e non io, così anche se inizialmente non per molto riusciva a seguire la storia insieme agli altri.
L’arte terapia, la creatività mi ha aiutato parecchio, il cercare soluzioni e dare spazio ai colori alle forme e al gioco con bambini di quest’età viene facile. Anche se c’è da dire che devi andare a tentativi in modo da capire cosa può piacere di più o no”.
Come OEPAC quali progetti avete nel vostro futuro? Aspettative?
Marzia: “Spero di poter lavorare al più presto come O.E.P.A.C. nelle scuole e aiutare ogni genere di bambino e fare più esperienza possibile. Inoltre mi piacerebbe fare qualcosa per l’inclusione, qualche progetto da presentare, ma su questo ci dobbiamo ancora lavorare. A settembre inizierò l’università in scienze dell’educazione, perché come dicevo prima questo corso mi ha dato uno stimolo per continuare”.
Raffaella: “Ho iniziato da poco con delle sostituzioni nelle scuole dell’infanzia e primarie del territorio, anzi ho lasciato un lavoro da impiegata per intraprendere questa, come la chiamo io, missione, e ne sono felicissima. I bambini e i loro progressi mi riempiono il cuore di gioia. Come aspettativa ho quella di mettermi alla prova e avere più lavori, anche alle scuole medie e nei licei”.
Un sogno che vorreste vedere realizzato ce lo avete? Vi andrebbe di raccontarcelo?
Marzia: “Mi piacerebbe aprire un nido o una scuola dell’infanzia, dove “aiutami a fare da solo” sarà il motto della scuola, quindi una scuola montessoriana. Vorrei accogliere bambini di ogni tipo e fare appunto anche laboratori per lavorare all’inclusione e dare anche un supporto ai genitori, perché purtroppo non è facile l’accettare un figlio che ha disabilità e alcuni genitori fanno molta fatica ad ammetterlo”.
Raffaella: “Nel 2019 sono stata in un campo profughi in Grecia, a Salonicco e da quel giorno coltivo il sogno nel cassetto di aprire una casa famiglia per donne e bambini. Un posto dove possano sia vivere, studiare e imparare un mestiere. Un sogno ambizioso ma non voglio mettere limiti al mio lavoro”.
Due sogni diversi ma che hanno un comune denominatore: fare del bene, includere e donare.
Due ragazze speciali che ringrazio con tutto il cuore per avermi dedicato del tempo prezioso e per avermi dato la possibilità di scoprire una nuova professione, l’Operatore Educativo Per l’Autonomia e la Comunicazione che ha il compito di sostenere nei diversi ambiti della vita quelle persone e quei ragazzi che hanno difficoltà.
Barbara Balestrieri