Basta con le maglie della burocrazia e con i provvedimenti che agevolano sempre la finanza e il settore bancario
Lo Stato deve tornare ad essere del cittadino
Siamo in quella che chiamano la fase due e già sui giornali e negli intrattenimenti televisivi diluviano le chiacchiere sulla fase tre; chiacchiere, congetture, ma fatti concreti quasi zero, pochi, insomma, cervellotici e irreali, segno che i loro autori son lontani dal vivere quotidiano della gente, non conoscono i suoi reali problemi; nessuno di loro quasi mai ha lavorato, nessuno di loro ha mai gestito, non diciamo un’azienda, ma neppure una piccola attività, uno spaccio, un bar, una drogheria; le proposte vengono sempre da chi, in concreto, non le attua.
In questo assurdo quanto comico bailamme, quasi per propiziarseli, piovono le lodi agli Italiani, ormai tutti rinsaviti, tutti rispettosi delle leggi, tutti caritatevoli e aperti al prossimo, tutti gentili; nessuno a protestare, nessuno a lamentarsi, nessuno a piangere; tutti amanti della Patria e della bandiera; un popolo, insomma, che finalmente s’è scoperto anche Nazione, “una d’arme (speriamo di no!) di lingua, d’altare”, per dirla col Manzoni. Spariti son pure i delitti, i furti, lo spaccio di droga; ‘ndrangheta, camorra e mafia si sono liquefatte, quasi volatizzate. Idiozie!
A noi non piace essere fuori del coro a tutti i costi, svolgere sempre la parte del bastian contrario; tuttavia, anche questa volta, siamo obbligati a esprimere qualche dubbio. Un quotidiano romano, per esempio, il quattro maggio, in una delle sue pagine interne, titolava sopra cinque colonne: “Dall’amor di patria alla disciplina quei valori da non disperdere ora”, specificando come, in più di cinquanta giorni d’isolamento, gli Italiani siano stati disciplinatissimi e abbiano acquistato fiducia nella scienza e nelle istituzioni. Insomma, un cambiamento radicale tra noi, da gonfiarci il cuore di gioia. Peccato, però, che tra le quattro foto a corredo dell’articolo, ben tre evidenziassero scorrevolezze: gruppi familiari a spasso in piazza Navona nonostante i divieti; panchine affollate in piazza Testaccio e non tutti con la mascherina e in distanza di sicurezza; sole e coccole tra fidanzati in via dei Fori Imperiali senza mantenere le distanze anti-contagio. Insomma, foto che smentivano quanto appena dichiarato e che rivelavano le solite contraddizioni e una gran dose di ipocrisia; verità è che una fetta di Italiani, seppure minoranza, continua nella vita d’anarchia, infischiandosene della propria e dell’altrui salute, del proprio e dell’altrui bene. Cambiare veramente, radicalmente, è assai difficile, quasi impossibile, in poco più di cinquanta giorni! E la delinquenza e l’illegalità non sono affatto sparite, stanno benissimo, anzi, della situazione drammatica si stanno approfittando e lo Stato, non si sa se perché babbeo o timoroso, scarcera i delinquenti più incalliti e pericolosi, compresi quelli del quarantuno bis. Lo sfacelo, altro che Italia dieci e lodi e la colpa non è dei cittadini, neppure dei pochi anarcoidi imbecilli, ma di coloro che ci governano e ci amministrano, perché il pesce, come si dice, puzza sempre dalla testa.
La speranza è che almeno la tendenza al mutamento non si arresti, giacché, volenti o nolenti, per tutti noi, nel mondo, dopo il coronavirus, niente potrà rimanere come prima.
La società dovrà ripensare tutt’intera la propria esistenza e, in Italia, in particolare, incominciando dall’orario di lavoro.
La gente vuole lavorare, non essere assistita e perché si lavori quasi tutti, la prima cosa da modificare dovrà essere l’orario di lavoro. Assurdo che nel 2020 ci si debba ancora servire di un orario di lavoro regolato, in linea generale, da una legge, la n. 473, dell’aprile 1925, che fissa otto ore giornaliere e quarantotto settimanali; essa è stata poi parzialmente corretta dalla legge n. 196 del 24 giugno 1997 che, pur lasciando le otto ore giornaliere, ha ridotto a quaranta le ore settimanali; successivamente, ci sono stati altri lievi ritocchi, ma, in sostanza, l’orario di lavoro è ancora oggi quello di un secolo fa. Cosa aspettano, lavoratori e sindacati, a imporsi per un abbassamento dell’orario, sia giornaliero che settimanale? Lavorare di meno per lavorare di più è l’esigenza impellente dei nostri giorni e sarebbe la sola dimostrazione, nei fatti, che il popolo italiano - dagli imprenditori, ai lavoratori e ai politici - sia veramente cambiato, divenuto maturo, più buono, più altruista, più civile.
Da sviluppare e migliorare è l’organizzazione del lavoro a distanza, o lavoro agile, detto anche “Smart Working”, scimmiottando gli inglesi. Alcuni, che già lo svolgono correntemente, ci hanno assicurato che esso non sia per niente agevole, ma più pesante e stressante di quando lo svolgevano in azienda; lavorare per otto ore, a volte anche di più, gli occhi incollati a uno schermo, c’è da diventare inebetiti. Occorre organizzarlo meglio e con pause, renderlo meno gravoso.
Il lavoro da casa è destinato a diventare maggioranza nel lavoro del futuro; potrebbe essere svolto, intanto, da quasi tutti gli impiegati statali, regionali, comunali; da tutti gli studi di ingegneria e, in particolare, di quella civile, da quelli d’impiantistica, di architettura, da quelli professionali e legali, scientifici e tecnici.
Il lavoro a distanza potrebbe portare a un’altra svolta epocale e positiva: il ripopolamento dei paesi e dei borghi ormai abbandonati; un impiegato, pubblico o privato, non costretto più a recarsi ogni giorno in ufficio, potrebbe benissimo decidere di stabilirsi nei piccoli centri, lontano dal rumore e dall’inquinamento, vicino alla campagna, riscoprendo usi, costumi, tradizioni, una vita più sana e più a misura d’uomo. Il futuro sta nella digitalizzazione in ogni campo.
Son da riorganizzare tutti i servizi, le strade, i trasporti, anche quelli cittadini, questi, anzi, in modo particolare, con macchine sempre più piccole, elettriche e meno inquinanti, più biciclette, pattini elettrici e non solo. Ricordiamo, per esempio, che il 4 agosto 2019 Franky Zapata ha sbalordito il mondo con la sua traversata della Manica a bordo del suo Flyboard, la tavola volante spinta da cinque reattori a cherosene; ebbene, essa è destinata ad essere uno dei mezzi di trasporto di un non lontano domani; tutto da perfezionare, ancora, su cui investire ancora molto, ma è indubbio che gli ingorghi delle città dei nostri giorni in un prossimo futuro son destinati a sparire. La tecnologia rivoluzionerà ogni campo, sfruttando al massimo le sue potenzialità, specialmente attraverso il lavoro dei giovani, i più preparati e motivati in materia.
Cambiamenti ancora più radicali dovranno avvenire nelle scuole e nelle università, tutte protese a soddisfare le esigenze del mondo del lavoro e delle aziende e, quindi, riorganizzando e potenziando gli istituti a indirizzo tecnico-industriale.
Dovrà cambiare lo Stato, armonizzandosi con la periferia e ponendo fine all’eterna rissosità tra Centro e Regioni, tra Regioni e Comuni e, addirittura, tra Comuni e delegazioni. Lo Stato deve tornare a essere uno; pur salvaguardando alcune prerogative locali, va eliminato ad ogni costo il marasma attuale. Ma lo Stato non potrà mai cambiare se non si sanificherà l’intero territorio da un virus altrettanto pernicioso e letale del Covid 19, anch’esso retaggio di secoli, perché con radici nella nostra unificazione/annessione del 1860, allorché il Piemonte s’è comportato verso il resto del territorio della penisola, prima come uno Stato annessionista e, poi, accumulando, negli anni, leggi su leggi, senza curarsi di abolire le vecchie e contrastanti in concomitanza con l’entrata in vigore delle nuove, creando l’ectoplasma di una burocrazia così vischiosa, così stratificata da soffocare ogni respiro all’onesto e favorendo ogni tipo di criminalità, la quale trova, nel groviglio legislativo, il suo migliore brodo di cultura.
Lo Stato deve tornare a essere più del cittadino che della burocrazia e della finanza; deve ingaggiare la lotta forse più difficile e titanica: costringere le banche a svolgere solo la loro antica funzione. Le banche derivano dai banchi, le tavole davanti alle quali sedevano i banchieri e i mercanti tra i quali si trattava, o per la conservazione del denaro, o per averlo in prestito. Oggi, invece, sono soltanto aziende speculative, a volte a livello quasi delinquenziale, che non erogano interesse a chi deposita, che impongono un’infinità di balzelli che, anziché incrementarlo, divorano a poco a poco il capitale e, per contro, prestano a tassi quasi di usura a chi da loro si reca a chiedere denaro. E non esiste più vera contrattazione, a decidere sono soltanto loro, in via unilaterale.
Domenico Defelice
Latte per la Caritas
Giovedì 30 aprile Andrea Ruggeri e don Giorgio Amor Divino si sono recati presso la sede di Roma della società Latte Sano dove grazie alla disponibilità del presidente dott. Marco Lorenzoni hanno ricevuto la donazione di duecento litri di latte a lunga conservazione da destinare alla Caritas del Vicariato di Ardea e Pomezia. T.S.