SIMPOSIO
SENZA FRONTIERE
la parola compresa da tutti fa grande chi la scrive e lo scrittore russo Anton Čechov è per questo un grande, grandissimo scrittore. Di umili origini, figlio di un servo della gleba e cresciuto nella più dispotica disciplina, riesce a studiare medicina e a laurearsi con i miseri proventi ottenuti scrivendo per vari giornali. La lungimiranza di un facoltoso editore segnò la svolta del suo destino e gli permise di sollevare dalla miseria la famiglia rimasta orfana del padre. Sensibile alla sofferenza umana, ma osservatore critico e disincantato, sapeva raccontare con sottile e velata ironia, storie di monotona vita quotidiana ove linguaggi scarni rivelano complessità psicologiche tenute a freno dalla rassegnata consuetudine qua e là ravvivata da effimeri momenti di esaltazione. Storie bizzarre, enigmatiche, apparentemente senza conclusione, ma che, al contrario, suscitano domande e profonde riflessioni. L’umanità è afflitta, la gente è meschina, ignorante. I bambini non ricevono istruzione. Sarà poi la natura ad affascinarlo. La natura, luogo per eccellenza ove la vita si muove e si mostra nel fascino di ogni suo aspetto e “La steppa” dell’Ucraina, quella veramente da lui vissuta e attraversata, intitolerà un suo capolavoro. Poi la missione di medico, che lo spinge al bisogno di conoscere in profondità i più afflitti, fino ad intraprendere un lungo viaggio all’estremo est della Siberia nel marzo 1890, per conoscere le sofferenze dei detenuti nei campi di lavoro forzato sull’isola di Sakhalin. Una fatica che gli costerà il peggioramento di una salute già precaria. Morirà il 15 luglio 1904, aveva solo 44 anni.
Giuliana
«Qui ogni albero l’ho piantato io e mi sono così cari. Ma ciò che importa non è questo, è il fatto che prima che venissi io qui non c’era che un terreno incolto e fossati pieni di pietrame e cardi selvatici. Ho trasformato questo angolo perduto in un luogo bello e civile. Fra tre o quattrocento anni, tutta la terra si trasformerà in un bosco fiorito e la vita sarà meravigliosamente leggera e facile.»
Così Čechov racconta la casa di campagna a Melichovo, dove abitò dal marzo 1892 fino all'agosto 1899. Quella casa, per sé e la sua famiglia, ove presero forma alcune delle sue opere più famose: “Il gabbiano” e “Zio Vanja”. Tra miseria, delusioni, inquietudini, la conquista di tanti sacrifici e la missione di medico che faticava a conciliare con quella di scrittore. La forma breve del racconto e del dialogato drammaturgico, che tanto lo rendeva insoddisfatto, rivelava uno stile essenziale e moderno.
Anton Čechov (1860-1904) era nato in Russia, a Taganrog, nella regione di Rostov sul Don.
21 novembre,
giorno dedicato agli alberi
Autunno di gioia
di Rita Salimbeni
Quando il sole sorge e riscalda la terra
il mio cuore si gonfia di gioia.
[…]
Noi forse
non meritiamo un paradiso terrestre
Amiamo, amiamo
ogni albero, ogni foglia,
ogni goccia, ogni nuvola,
ogni raggio di sole perché
tutto è Amore.
YOUNG SOPHIA
Il pensiero dei giovani
Amici dell’umanità… non contestate alla ragione ciò che fa di essa il bene più alto sulla
terra: il privilegio di essere l’ultima
pietra di paragone della verità.
Il SETTECENTO E LA MUSICA/12
di Gianluca Farulla
(La Sapienza Università ex allievo L. M. Chris Cappell College)
IMMANUEL KANT/4 (1724-1804)
Il Sublime
Nella “Critica del Giudizio” pubblicata nel 1790, la trattazione di Kant si sofferma a lungo sul “bello”. Ma si fa strada un'altra forma di giudizio estetico, in apparenza subalterna, ma certamente più inquietante: il “sublime”. Questo sentimento sorge dinanzi a quelle rappresentazioni che, pur suscitando orrore, spavento o smarrimento, producono un piacere estetico. Il sublime già teorizzato da E. Burke, nel 1756, (vedi Litorale N.13) offre a Kant alcuni suggerimenti per l’estetica musicale.
Per Kant, «sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di fronte alla grandezza della natura sia nell’aspetto pacifico, sia ancor più, nel momento della sua terribile rappresentazione, quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua estrema fragilità, la sua finitezza, ma, al tempo stesso, proprio perché cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore alla misura dei sensi».
Nell'esperienza del “sublime” entra in gioco non più l'intelletto, la facoltà ordinatrice e legislatrice rispetto a quella sensibile, ma la “ragione pura pratica” capace di dettare alla volontà una legge morale, costituita da imperativi universali e validi per tutti gli uomini.
«[…] se ci troviamo al sicuro, queste cose [che ci fanno paura] le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell'anima al disopra della mediocrità ordinaria, ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà il coraggio di misurarci con l’aspetto onnipotente della natura.
Lo stupore che confina con lo spavento, il raccapriccio e il sacro orrore […], quando egli si senta al sicuro, non costituiscono un timore effettivo; sono soltanto una prova ad abbandonarvisi con la nostra immaginazione, per sentire il suo potere di collegare l'emozione suscitata da tali spettacoli con la serenità dell'animo, e di essere superiore alla natura in noi stessi, e quindi anche a quella fuori di noi [...]».
Per Kant anche la guerra ha in sé qualcosa di “sublime” «quando è condotta con ordine e con il sacro rispetto dei diritti civili».
Le sonorità del sinfonismo tedesco ottocentesco difficilmente sarebbe comprensibile senza l’estetica del “sublime”.
Nel 1805 nascerà la Sinfonia "Eroica" di Beethoven,
potente espressione dell'impulso di vivere con la musica gli eventi del proprio tempo: la Rivoluzione francese, Napoleone e gli ideali di libertà: l’arte deve essere espressione nuova, deve partecipare e condividere sofferenza e felicità.
Tutto questo può illuminare alcuni aspetti della musica ottocentesca sinfonica e operistica. Come il “bello”, il “sublime” può manifestarsi nell'opera d'arte e spesso mescolandosi insieme, come avviene, secondo Kant nell’ “Oratorio musicale”.
Grazie alla presenza del “sublime” le arti possono essere «legate con idee morali». Per Kant nel “bello” vede un simbolo del bene morale, ma la connessione tra esperienza estetica e mondo morale restava come presupposto generale di carattere filosofico.
Nel “sublime”, invece, il raccordo con la moralità e con la dimensione del volere, (l’unica legge morale possibile perché è sino in fondo razionale e non si limita a proporre norme private, e quindi parziali, ma comanda), diviene elemento costitutivo.
Ora è possibile una connessione diretta tra la rappresentazione sensibile nelle immagini poetiche e le creazioni musicali, con quanto appartiene alle dimensioni della morale, delle idealità e della progettualità umana.
SCRITTURA AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
QUERELLE DES
FEMMES
MODERATA FONTE 1555 – 1592:
paladina dell’istruzione delle donne
di Ivana Moser
La precedente produzione al femminile delle Umaniste Isotta Nogarola 1418-1466, Laura Cereta 1469-1499 e Cassandra Fedele 1465-1558ha preparato un terreno che è stato scavato ulteriormente e che ha trovato una netta sonorità con l’intervento di tre donne veneziane, vissute fra Cinque e Seicento, chiamate le tre «ribelli», Moderata Fonte, Lucrezia Marinella e Arcangela Tarabotti, cadute nell’oblio fino allo scorso secolo. Quando si parla di Querelle italiana, essa si associa a queste tre scrittrici, che hanno alimentato, con i loro contributi e personalità diversissime fra loro, il filone del dibattito sui sessi, ergendosi fra le numerose voci al maschile in anni in cui la Querelle ha subito un inasprimento a seguito della pessima immagine femminile propagandata dalla Chiesa (Controriforma).