Dal libro “Pomezia-Origini-genti-personaggi” realizzato nel 1990 dal professor Antonio Sessa ed edito dalla Angelo Capriotti Editore
L’insediamento nell’Agro Redento
I poderi del quinto nuovo Comune, Pomezia, erano stati assegnati agli italiani provenienti dall’estero, che le tensioni internazionali e l’imminente conflitto costringevano al rimpatrio. Una alluvione che colpì la provincia di Forlì, creando numerosi senza tetto, fece cambiare in parte il programma iniziale e si decise subito di assegnare parte dei poderi a famiglie di senza tetto delle zone colpite. Vi fu quindi il gruppo delle famiglie romagnole arrivate nel 1939 e, subito dopo, le altre provenienti dall’estero, con una massiccia presenza di trentini rientrati dalla Jugoslavia insieme a veneti ritornati dalla Romania e nuclei di famiglie di varie regioni italiane rimpatriate dalla Francia. A questi gruppi maggiori si aggiungeva una piccola presenza di famiglie di Ardea e di altre parti d’Italia. I coloni di Pomezia furono gli ultimi arrivi in tutta l’area di bonifica, che aveva visto assegnazioni di poderi fin dal 1932.
L’insediamento dei coloni nell’Agro “redento” era avvenuto fino ad allora non senza problemi e polemiche. Le accuse principali erano:
-non aver tenuto conto, nell’assegnazione, sia di quelle migliaia di diseredati che giˆ lavoravano nell’Agro, “i guitti”, sia dei paesi a confine o coinvolti, che avevano un gran numero di mezzadri che lavoravano sotto padrone;
-la troppa fretta nel tentativo di fare subito quello che non era stato realizzato in tanti secoli;
-le unioni provinciali dei sindacati dell’agricoltura che raccoglievano le domande e i funzionari del commissariato per le migrazioni che verificavano in seconda istanza ulteriormente queste richieste, sottoposti a pressioni di varia natura, finirono con il favorire anche famiglie che non avevano nessuna esperienza agricola. I coloni incontrarono subito altre difficoltà, appena insediati. Coloro che non avevano esperienza agricola si indebitarono, in poco tempo, in maniera eccessiva con I’O.N.C. e si posero quindi in gravi ristrettezze economiche. Molti di loro non sopportarono la dura vita del pioniere e furono costretti a lasciare il podere.
Lo stesso adattamento di agricoltori del nord (trentini, emiliani, veneti, lombardi) a colture e a modi di vivere diversi da quelli dei loro luoghi di origine creò non pochi problemi. Almeno a giudicare dalle interviste avute, sembra che a Pomezia le cose sarebbero andate meglio. Certo la vicinanza con Roma e le continue visite del Duce, spesso accompagnato da personalità straniere, obbligava a un maggior controllo. L’arrivo di gruppi numerosi e omogenei (romagnoli e trentini) garantiva fra loro solidarietà e mutuo soccorso; ma i problemi vi furono lo stesso, e tanti.
L’inserimento nella nuova realtà non fu semplice; in particolare i rapporti con gli ardeatini, che vedevano questi nuovi arrivati come degli intrusi, non erano sempre facili. Si svilupparono spesso tensioni fra appartenenti a gruppi etnici diversi.
“I romagnoli ci aspettavano all’uscita dalla scuola -ricorda Pietro Bisesti - e con noi trentini volavano botte di santa ragione. Poi, si stava bene attenti a casa a non farsene accorgere per non prendere il resto dai genitori”.
Non fu facile abituarsi a questo nuovo rapporto di lavoro. E’ vero che non esisteva più il solito padrone tradizionale; ma di fatto si era sottoposti a controlli assidui e a verifiche frequenti circa la conduzione del terreno. Per tutti, fin dall’inizio, l’impegno primario fu quello di far fruttare a pieno il proprio podere; tutta la famiglia risulta impegnata in un sacrificio duro e continuo.
Il 26 ottobre 1941 i poderi, prima a mezzadria, passarono a riscatto. Molte famiglie, malgrado i guasti della guerra, riuscirono a riscattare il proprio podere anche a prezzo di enormi sacrifici; ci sembra doveroso sottolineare questo fatto, perché è luogo comune che i coloni abbiano avuto i poderi gratuitamente. A distanza di anni, facendo una analisi di questi insediamenti avvenuti cinquanta anni fa, bisogna onestamente ammettere che il senso civico e la socialità dei romagnoli, la puntigliosa tenacia nel lavoro dei trentini e dei veneti, la civiltà degli italo-francesi sono stati cardini essenziali nello sviluppo e nella crescita del nostro territorio.