Malagisi si chiede perchè solo il calcio ha ripreso
Crisi centri sportivi
Centri sportivi, palestre e sport da combattimento stanno chiudendo i battenti. Una domanda “nasce spontanea”: come é possibile che il calcio si possa praticare liberamente e le discipline di palestra no? Per il calcio, assistiamo persino alle classiche manifestazioni delle tifoserie, nelle strade delle città. Ci sarà qualche, politico e/o parlamentare, con adeguata cultura sportiva, che possa intervenire anche su questo argomento?
Il settore é tra i piú a rischio.
Anche le palestre presentano le problematiche economiche delle altre categorie. Centri sportivi stanno chiudendo. In crisi ovviamente anche il relativo cosidetto “indotto”, un tempo molto fiorente. (Abbigliamento, attrezzature da sala, macchinari, attrezzi individuali, articoli per premiazioni, bar interni, macchine erogatrici, imprese pulizie, ecc.).
I danni economici potrebbero rivelarsi piú gravi del previsto. Dovrebbe essere inutile ricordare anche il danno sociale, per tutte le età ed in particolare, per le fasce in età scolare. Sarà senz’altro gradito e apprezzato, da tutti gli operatori del settore sportivo, l’interessamento della politica, territoriale e nazionale e l’aiuto del mondo dell’informazione, su questo delicato argomento.
Maestro Giovanni Malagisi
Insegnante tecnico FIK
Federazione Italiana Karate
Comitato Regionale Lazio
“Oi Team boxe Pomezia”
Operatore aggredito
Un operatore di Formula Ambiente, la ditta che gestisce il servizio di raccolta differenziata sul territorio, è stato aggredito. L’episodio è accaduto nella giornata di martedì 23 giugno, intorno alle ore 13.00 mentre era in servizio a piazza San Benedetto da Norcia. La prognosi riportata è di sette giorni per lesioni. L’Amministrazione comunale di Pomezia e Formula Ambiente esprimono ferma condanna per il gesto di vile aggressione subìto dall’operatore durante lo svolgimento del proprio lavoro.
“Gli operatori di Formula Ambiente – ha spiegato l’Assessore Stefano Ielmini – sono impegnati in prima linea nella gestione della raccolta differenziata svolgendo un servizio pubblico nell’interesse della comunità. Ribadiamo loro il nostro sostegno per l’impegno quotidiano”.
“Un episodio inaccettabile – ha commentato il Sindaco Adriano Zuccalà – che condanniamo fermamente. Certi che la giustizia farà il suo corso contro questa azione ingiustificata, rinnoviamo la nostra piena solidarietà all’operatore vilmente aggredito senza motivo”.
Daria ContradaStaff Sindaco Città di Pomezia
La battaglia di Andrea Buratti di Italia Viva di Pomezia un segno di civiltà
Chiusura campo rom
L’emergenza del campo rom di Castel Romano non è nuova ed è nota alla stragrande maggioranza dei cittadini di Pomezia e non solo, tuttavia un recente servizio de “Le Iene” ha risollevato la questione. Credo sia giusto far seguito alle dichiarazioni dell’on. Nobili e della consigliera regionale Tidei in merito alla richiesta di chiusura del campo nomadi di Castel Romano, richiesta alla quale Italia Viva di Pomezia si associa con decisione. Quando parliamo del campo nomadi di Castel Romano credo sia doveroso non perdere mai di vista i dati e affrontare la questione in modo serio. Secondo le stime del Consiglio d’Europa la presenza in Italia di Rom, Sinti e Caminanti è compresa in una forbice tra le 120.000 e le 180.000 persone (lo 0,23 % circa della popolazione).
Metà dei Rom che abitano nel nostro Paese è di nazionalità italiana, solo il 3% è nomade, mentre la maggior parte della popolazione rom è stanziale. Secondo la mappatura condotta nel 2017 da “Associazione 21 luglio”, dei 120-180 mila, sono circa 26.000 le persone appartenenti alle comunità rom, sinti e caminanti che vivono in emergenza abitativa, in baraccopoli formali (riconosciute) o informali (abusive). Le baraccopoli formali in Italia sono 148 e vi abitano circa 16.400 persone, in quelle informali ve ne sono circa 9600. I dati ci dicono che nelle baraccopoli formali il 43% sono cittadini italiani, il 57% sono stranieri o apolidi (circa 3000). Questi sono dati importanti correlati al problema delle espulsioni: al di là della propaganda, la quasi totalità dei rom non può essere espulsa perché di nazionalità italiana, perché apolide (in virtù delle due convenzioni delle Nazioni Unite sull’apolidia del 1954 e del 1961), o perché di cittadinanza straniera ma comunitaria. I dati servono per evitare di formarsi un’opinione in base a sensazioni o apparenze, ma la ragione per la quale Italia Viva di Pomezia chiede la chiusura immediata del campo rom di Castel Romano attiene innanzitutto ad una ragione sanitaria. E’ assolutamente indegno e indecoroso che nel 2020 in Italia sia consentita e accettata l’esistenza di una porzione di territorio italiano in cui delle persone vivono ampiamente sotto gli standard igienico-sanitari minimi, con i bambini e i ragazzi che non vanno a scuola; in cui non esiste acqua corrente e si utilizza spesso acqua contaminata, in cui non esistono reti fognarie, in cui esistono delle vere e proprie discariche a cielo aperto (sul motivo della cui esistenza va fatta chiarezza), in cui vi sono pressoché giornalmente roghi tossici e incendi più o meno pericolosi per la collettività tutta. Lasciano letteralmente senza parole le proposte di “censimenti dei rom”, avanzate qualche tempo fa, che violerebbero l’Art.3 della Costituzione Italiana che prevede l’uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini (non è infatti possibile discriminare in base all’etnia di appartenenza, in questo caso quella rom); l’art. 9 del Regolamento Europeo sui dati personali (GDPR), il quale afferma che “E’ vietato il trattamento dei dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica”; gli articoli 8 e 15 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Assolutamente fuori luogo è l’idea secondo cui “le case popolari non vanno date ai rom ma agli italiani”, idea che non tiene in considerazione il fatto che quella rom è un’etnia non una nazionalità (e dunque, di nuovo, non si può discriminare in base all’etnia) e che circa il 43% dei rom che vivono nei campi è di nazionalità italiana. Bisogna dire con chiarezza che non è possibile accettare che esistano, per di più all’interno di una riserva naturale, zone esentate dal rispetto delle leggi di qualunque tipo. Dall’altro lato è necessario permettere a queste persone di non avere necessità di delinquere e non corrisponde a verità la ricostruzione secondo cui (al netto di episodi isolati) “non vogliono integrarsi”.
I dati smentiscono questa ricostruzione per due ragioni: in primo luogo perché i rom che vivono nei campi sono una netta minoranza e in secondo luogo perché nel resto d’Europa, a fronte di una presenza di cittadini rom molto superiore a quella italiana (pensiamo alla Francia, dove essi rappresentano lo 0.5% della popolazione o alla Spagna dove rappresentano addirittura l’1.7% della popolazione a fronte dello 0.25% italiano) il numero di campi rom è nettamente inferiore a quello italiano. In Spagna e in Germania il sistema dei campi è sostanzialmente assente. Dunque un modello alternativo serio è possibile, anzi doveroso. Ancora una volta abbiamo l’opportunità di prendere esempio da paesi più virtuosi, che meglio hanno saputo affrontare la questione.
Come detto da Nobili e Tidei, ci auguriamo che possa esserci una rapida ed efficace collaborazione tra Comune di Roma, Regione Lazio, Ente Roma Natura e Asl per porre fine a questa situazione.
Sono necessari investimenti e progetti d’integrazione che a differenza di ciò che viene detto non sono mai stati praticati sul serio (e l’esistenza dei campi ne è la dimostrazione), per offrire un’alternativa lavorativa alla piccola criminalità e all’accattonaggio e un grosso investimento nei servizi sociali per combattere l’abbandono scolastico. Certo, in questo modo si spenderebbero delle risorse che sarebbero però risparmiate in termini ambientali, di sicurezza, di furti. Sarebbero dunque un segnale di civiltà.
Andrea Buratti
Italia Viva di Pomezia