le e militare e quindi così a potersi porre alla guida della guerra di liberazione dal Khanato Tartaro. Difatti nel 1380 la Moscovia (il Granducato di Mosca), con il valido sostegno della Chiesa Ortodossa, nella leggendaria battaglia di Kolikovo, riuscì a sconfiggere l’Esercito Tartaro.
Infine a seguito della caduta di Costantinopoli, avvenuta nel 1453 ad opera dell’Esercito Ottomano, la Russia Moscovita era rimasta l’unico Stato Cristiano sulla Frontiera Occidentale dell’Europa per cui rivendicò l’eredità dell’Impero Romano d’Oriente in qualità di “Terza Roma”.
Nel XVI secolo lo Stato Moscovita, non solo riuscì a riconquistare tutti i territori persi nel passato a seguito delle invasioni tartare, ma si pose a protezione delle Regioni situate ai confini meridionali dai frequenti attacchi effettuati dai Tartari della Crimea e dalle Popolazioni Ottomane. Proprio a causa del ruolo ormai assunto nella regione, lo Stato Moscovita obbligò i Nobili, ai quali erano state concesse varie proprietà terriere, a servire nelle Forze Armate e ciò costituì la base dell’Esercito Nobiliare a cavallo.
Venerdì 28 febbraio - ore 17.00
ARTE CONTEMPORANEA
con Vincenzo Scozzarella
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi di tutti gli interessati
Dentro e fuori, linguistica e semiotica
a cura di Giancarlo Marchesini
L’oggetto del contendere
C’è una canzone, anzi un album del famigerato Junior Cally, rapper romano, che si intitola “Ci entro dentro”. Non facciamo i santarellini, quante volte lo abbiamo detto anche noi senza pensare che l’avverbio dentro è superfluo, visto che l’azione del verbo entrare produce, di per se stessa, un senso compiuto? Lo stesso vale per uscire fuori, scender giù, salire su.
Si tratta, grammaticalmente, di pleonasmi, di parole superflue ma se ci ostiniamo ad usarle debbono pure avere una funzione.
Una lezione dall’estero
Ci ostiniamo, ho detto, perché, nella mia esperienza personale, chi si ribella all’uso di queste espressioni sono proprio degli stranieri che parlano bene l’italiano (penso soprattutto ai membri della mia famiglia d’oltralpe che l’italiano lo hanno imparato filtrandolo con la maturità intellettuale dell’adulto). Noi italiani, distratti e trasandati nell’uso della nostra lingua, non ci facciamo caso, aggiungiamo “dentro” e “fuori” a più non posso. Poi magari scrivendo evitiamo queste forme ridondanti, tautologiche, e ci limitiamo al verbo corrispondente.
Sì, ma…
Eppure, eppure… Nulla mi toglie dalla testa che “entrare dentro” dica qualcosa di più del semplice entrare. È un sintagma verbale cioè l’unione di una parola e di un avverbio ed acquista un valore polisemico (raggruppa cioè più nozioni rispetto al semplice entrare).
La voce del padrone
Non pensate alla vecchia etichetta discografica, tramontata negli anni ’70. Mi riferisco a due istituzioni che sono un punto di riferimento per la nostra lingua. Treccani e la Crusca sono concordi nell’affermare che siffatte espressioni tautologiche siano originarie dei dialetti del nord. Se ciò è vero, la loro diffusione è stata rapidissima perché frasi come “entrare dentro” si sentono da Bolzano a Capo Passero e accomunano tutti gli italiani.
In un dotto articolo pubblicato ne La Crusca per voi (n. 8. Pag. 12) Giovanni Nencioni tratteggia un paragone fra queste forme sintagmatiche e i cosiddetti phrasal verbs inglesi (set up, set off, blow up, drop by, ecc.). Si tratta di verbi che esprimono un significato diverso secondo la preposizione che li accompagna. Uno che tutti conosciamo è “turn on” – “turn off” = accendere – spegnere. Qualche poliglotta noterà inoltre il parallelo con i verbi separabili tedeschi: hineingehen = entrare (dentro) e hinausgehen = uscire (fuori).
Semiotica alla riscossa
Qui si tocca con mano la differenza fra linguistica comparativa (confronto fra forme straniere e forme italiane) e semiotica. La linguistica si occupa dei significati, la semiotica del senso. Che senso ha “uscire” e che senso ha “uscire fuori”? “Uscire fuori” mi fa pensare a un moto da un luogo chiuso verso l’esterno e si riferisce a un’azione specifica. Uscire di casa, invece, significa uscire da un luogo chiuso ma implica anche l’idea generale di un movimento verso la vita all’esterno delle quattro pareti domestiche. Entrare in città ha un senso generale di abbandonare la periferia, entrare dentro la città ha una connotazione toponomastica. Come vedete le idee si sovrappongono e si intersecano.
Il bastian contrario
Senza mettere minimamente in dubbio la competenza dei venerabili redattori de La Crusca, mi sembra che il parallelo fra inglese e italiano resti teorico, soprattutto perché la funzione è diversa: in inglese le preposizioni indicano una variazione del senso, in italiano un rafforzamento del senso. Applicando il rasoio di Occam (e cioè togliendo dalla discussione tutto ciò che non è veramente pertinente) e riducendo la problematica all’osso mi sembra che gli avverbi “dentro” e “fuori”, “su” e “giù” abbiano un valore deittico. Spiego: quando dico a qualcuno “vivevo in quel palazzo là” e lo indico con un gesto della mano produco una deissi cioè un modo per situare l’enunciato nello spazio e nel tempo. Questo mi sembra il senso di espressioni come “entrare dentro” e “uscire fuori”.
Come sempre le scelte della lingua (Saussure l’avrebbe definita parole, cioè lingua parlata) non dipendono dalle regole di grammatica che vengono ignorate o contestate dall’uso dei parlanti.
Quindi se sentirò dire da qualcuno che “uscire fuori” è una tautologia cercherò di non uscire “fuori” di senno.
Domenica 1° marzo - ore 17.00
RIFLESSI NASCOSTI
di Pino Pieri
Sono particolarmente contento che Giuliana mi abbia invitato al Simposio a presentare l’ultima mia raccolta di poesie dal titolo “Riflessi nascosti”.
Mi ha fatto piacere per l’amicizia che mi lega a Lei e per il ricordo di suo marito Ettore Malosso, persona di grande cultura e sensibilità di cui mi conservo un carissimo ricordo. La serata sarà coordinata da Ivana Moser, le letture verranno eseguite dall’attore Roberto Pedrona, dal giovanissimo Diego Lorenzo e dal sottoscritto. Il titolo di questa raccolta si ispira alla nostra vita che si svolge nella realtà quotidiana mentre veniamo colpiti da alcuni aspetti che producono emozioni, riflessi nascosti, che ci toccano nel profondo.
Riflessi nascosti
Toccare
con mano,
con occhi,
con piede insicuro,
i riflessi
nascosti
nel fosso
nell’ora
di sole,
è come
poggiare
le labbra,
sul nettare puro.