Il cortometraggio che indaga sulle violenze alle donne
Love Should Not Hurt
L’ultima volta che abbiamo parlato di Fabio Salvati e di Armando Basso è stato in occasione del loro cortometraggio ‘The last Glow’ disponibile anche su Amazon Prime e selezionato tra molti altri per un prestigioso concorso della Canon; allora, durante la presentazione tenutasi a Lavinio, raccontavano sulle nostre pagine che “nel mondo tutto funzionerebbe molto meglio se ognuno di noi fosse più predisposto alla compassione e alla solidarietà”. Animati dai medesimi principi e con accresciute capacità di videomaker, tornano a far parlare di loro enfatizzando la necessità di diffondere valori morali per contribuire alla costruzione di una nuova società basata sull’etica e sulla legalità, con il toccante ‘Love Should Not Hurt’: si tratta di un video contro la violenza sulle donne, girato da Fabio D’Andrea, di cui Salvati e Basso hanno curato gli effetti visivi con l’ormai nota maestria.
Protagonista è una giovane Melanie Brown, ex Spice Girl, divenuta ambassador di Women’s Aid dopo aver subito anni di violenze dal suo ex marito. Il cortometraggio indaga e manifesta le forme di violenza domestica perpetrate ogni giorno in tutto il pianeta, ai danni di una donna su tre, rivelando anche i modi attraverso cui la vittima tenta di nascondere agli altri e spesso a se stessa, la tragica realtà, nel vano tentativo di proteggersi. In realtà il video suggerisce che la miglior forma di difesa sta nel coraggio di denunciare e di segnalare, di allontanarsi e di scappare dall’aggressività di un compagno che distrugge la vita e il benessere della donna che dice di amare, riconoscendo che l’amore è ben altro.
L’amore è prendersi cura, rispettare l’altro e la sua libertà e cercare di realizzare il suo bene. Il video ‘Love Should Not Hurt’ è disponibile in rete. Salvati e Basso hanno ormai spiccato il volo lavorando accanto a grandi professionisti anche se a distanza, causa Covid; effervescente competenza, esuberante fantasia e vivace passione costituiscono un mix che non li ferma più! Prepariamoci ad apprezzare quanto prima il loro ultimo cortometraggio “Echo experiment”.
Nicoletta Gigli
La villa hollywoodiana di Lavinio potrebbe diventare un asilo nido da 40 posti
Villa Marcella ultimo atto
Villa Marcella, ultimo atto?
Sembra di sì.
La lunga, triste, travagliata vicenda della bella, ancorché trascurata magione, sita a Lavinio, in via del Tridente 42, pare avviarsi verso una fine. Gloriosa? Direi di no ma, obiettivamente, sarà sempre migliore di una lenta agonia nell’ abbandono e degrado più totale e umiliante.
La villa fu voluta e costruita da un estroso architetto che, all’epoca (anni ‘60), non pensò solo all’estetica, ma anche ad una funzionalità che andasse incontro alle esigenze di una figlia disabile, fornendo la casa di un comodo ascensore che potesse aiutare la ragazza a spostarsi fra i piani.
Poi, un rovescio di fortuna costrinse l’ uomo a disfarsi della sua bella creatura e la villa passò in varie mani sino a finire in quelle sporche del cassiere che amministrava i beni della Banda della Magliana.
Per qualche anno la villa divenne il centro di una movida sfavillante, ma torbida, a base di feste e festini in cui accadeva di tutto. Per strano che può apparire, in quegli anni la casa raggiunse il massimo fulgore, circondata da un’ aura hollywoodiana, tuttavia perversa.
Fu proprio questo movimento di luci e strana gente intorno al bell’ immobile a destare l’attenzione del vicinato e delle Forze dell’ Ordine.
Un evento criminoso decretò la fine della villa e della bella vita. Lo stabile fu sequestrato e sigillato. L’ aspetto triste di questa vicenda consiste nell’ aver lasciato questo esempio di architettura innovativa nell’abbandono e nel degrado più completi per oltre trent’ anni, impedendo di fatto a chiunque un minimo intervento per scongiurare l’irreparabile, salvo rattoppi che non hanno risolto una situazione disastrosa.
Dopo un numero imprecisato di proteste e citazioni provenienti da cittadini che abitano nelle vicinanze, tormentati da odori nauseabondi di spazzatura e acqua stagnante della piscina imputridita, nonché da associazioni che si sono interessate al caso, nel corso dell’ultimo Consiglio Comunale di maggio, la Giunta ha approvato la riqualificazione dell’edificio, il quale sarà convertito in un asilo nido.
La struttura è preposta ad ospitare 40 bimbi da 0 a 3 anni e fin qui può andar bene. Sì è sempre parlato di una finalizzazione sociale della villa. Ciò che va meno bene è il programma di totale demolizione della casa e riconversione in un modello senz’ altro più moderno e consono ad accogliere i piccoli ospitati, ma più freddo e anonimo.
D’altro canto, capisco che Lo Squalo era forse troppo inquietante per diventare un luogo dove si muoveranno e giocheranno bambini di pochi anni, ma loro sanno cos’era Lo Squalo? No, e forse non lo sapranno mai. Nemmeno i loro genitori sono della generazione per la quale quella villa è quasi il terzo simbolo di Lavinio dopo Tor Caldara e la Vignarola; un simbolo sinistro, se volete, ma qualcosa che non si dimentica.
E adesso veniamo all’aspetto economico. Il progetto, logicamente, prevede un finanziamento e, sempre attingendo alle fonti di informazione disponibili, i fondi potrebbero venire dal Ministero della Famiglia, se non addirittura dal bilancio dello stesso Comune di Anzio.
Che altro dire?
Questo sarà l’ultimo articolo che la sottoscritta scrive sull’argomento o ci sarà una finalissima?
Oppure se ne riparlerà ancora?
Paola Leoncini