GIANFRANCO CERRI
Le scrissi in concomitanza con la straordinaria amicizia con Gianfranco Cerri, ex aviatore come me, appassionato cultore e conoscitore di Matematica e Fisica moderne ed estroso comunicatore di ciò che amava. Uso il passato perché Gianfranco non c’è più, avendo qualche tempo fa deciso di chiudere la sua vicenda umana nel modo in cui l’ha fatto. Avevamo passioni analoghe, anche con opinioni non poco diverse. Il nostro rapporto è stato costellato da discussioni, incontri e scontri continui ogni qual volta ci spingevamo ai confini del nostro “sapere”. Ma ciò non ha mai impedito il senso di un legame intellettuale profondo ivi compresa qualche collaborazione letteraria. Le poesie di seguito sono una testimonianza di tutto questo. La prima fu scritta da me su sua commissione, se così si può dire, per introdurre una sua conferenza sulla Fisica quantistica.
UN BASTIAN CONTRARIO
Si tratta del contrario (cioè proprio del contrario) di ciò che il Leopardi volle dire con il suo L’infinito, in cui dal colle di Recanati divagava su temi che rivelano la sua competenza e la sua capacità di riflessione sui temi dello Spazio, del Tempo, del Suono e del mondo natural-fisico in generale, facendo di quei pochi e immortali versi qualcosa di più che un canto di dolore. Noi invece ci abbiamo scherzato sopra, ma non per mancare di rispetto, quanto piuttosto per spostarci verso il futuro con Plank e la Teoria del Tutto. Un gioco, niente più che un gioco, s’intende. Ma siccome, pur giocando, siamo andati a sfrugugliare in mezzo alle cose della Scienza più recente, allora ho lasciato intatte anche le note in calce per chi volesse entrare fino in fondo al significato e alle intenzioni.
GIACOMO LEOPARDI ALLA ROVESCIA
’infinito inverso, secondo l’anonimo veneziano
Odioso colle dell’infanzia mia,
spinose siepi oltre le quali veggi
liberamente il mar che tocca il cielo.
Eppur, girando avanti e dietro questo calle,
par stretto lo spazio e rumoroso il mondo,
così che nel mio còr coraggio infondo.
E quando il vento passa senza voce
quel silenzio al mio fragòr compàro
e dei ricordi miei divento ignaro.
Angustia blocca il corso dei pensieri
verso il domàn e le stagion di ieri.
Poco so dir, ma vedo che nel nulla
planckamente si nasconde il tutto1
e che se provo a misurar lo mondo
o l’uno o l’altro in grave error sprofondo.2
La vita è una pozzanghera tapina
ove il remàr è assai aspra contesa
restando sempre dove stavi prima..
Note: 1) - Al di sotto di una certa infinitesima grandezza (definita come “scala di Planck”), le leggi della Fisica Classica perdono validità. In tale regione il nulla non esiste e un centimetro di spazio vuoto contiene un’energia pari a oltre dieci alla novanta erg, sufficiente per costruire un intero universo. 2) - Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg afferma (in maniera ineluttabile) che, quando si cerca di conoscere la posizione di una particella sub-atomica nello spazio, l’errore che si commette è tanto maggiore quanto più grande è la precisione utilizzata per tentare di calcolarne la velocità. E viceversa.
Capisco che sia roba che, presa sul serio, possa far venire il mal di testa, soprattutto se, al fine di essere partecipi di tutto, andate a riaprire e rispolverare i vostri antichi studi in materia. Pertanto, giunti a questo punto, è forse più prudente fare una piccola pausa per riprendere con la prossima puntatina. Non vi pare?
I RACCONTI DAL FARO
IL CORSARO DELLA REGINA – Parte Prima
ETÀ ELISABETTIANA
(dipinto XVI Secolo)
Nella Storia dell’Inghilterra, il periodo (1558-1603) del regno della regina Elisabetta I fu un’età d’oro, durante il quale la Nazione - governata con saggezza ed astuzia - divenne ricca e potente. Fu un periodo di prosperità, caratterizzato da una relativa pace; vide anche il fiorire della cultura artistica, letteraria e intellettuale ad un tale livello da essere definito “Rinascimento Inglese”, con esponenti quali William Shakespeare (innovativo il suo scrivere di teatro!) e altri scrittori che nelle opere celebravano la regina (da loro chiamata “Gloriana”), creando attorno a lei un vero e proprio “culto della personalità”.
CAPITANI DI VENTURA
Il periodo elisabettiano è considerato inoltre un’età d’oro per le imprese e le esplorazioni dei navigatori inglesi. Alla metà di quel XVI Secolo, il commercio marittimo inglese era condotto da singoli capitani di nave che, peraltro, potevano svestire i panni di mercanti e - in quanto assoldati dallo Stato - agire per commissioni di guerra, divenendo corsari (privateers). Citiamo ad esempio due capitani della Cornovaglia: John Hawkins, che commerciava schiavi (per oro, argento, perle, zucchero) dalla costa occidentale dell’Africa verso le colonie spagnole in America, con il tacito assenso della regina; e, suo cugino, Francis Drake, che - su incarico della regina - condusse una missione corsara contro gli spagnoli sulla costa americana del Pacifico, circumnavigando il globo, per sfuggire alla loro cattura.
IL TRATTATO DI TORDESILLAS (1493)
All’epoca della regina Elisabetta I, i regni cattolici di Spagna e Portogallo avevano già occupato e colonizzato vaste zone dell’America e dell’Asia in base al Trattato di Tordesillas del 1493 (che aveva recepito una “bolla” papale dello stesso anno). Tale Trattato, sottoscritto dai regnanti iberici, stabiliva che tutte le terre a Ovest di una linea di meridiano a 100 leghe (555 km, 345 miglia marine) dalle Isole di Capo Verde, la quale divideva da Nord a Sud l’Oceano Atlantico, fossero di competenza della Spagna, mentre le terre a Est di essa fossero di competenza del Portogallo (nel 1506, un’altra “bolla” papale estese la linea di demarcazione a 370 miglia ad Occidente, permettendo al Portogallo di colonizzare parte dell’attuale Brasile). I regnanti cattolici reclamavano, altresì, un diritto esclusivo anche sulle terre d’oltremare “non ancora scoperte”. L’Inghilterra protestante, che non riconosceva l’autorità papale, negava il Trattato di Tordesillas e, nel contempo, sosteneva che il potere di uno Stato di escludere altri Stati da nuove terre esisteva solo per quelle già conquistate e civilizzate. Inevitabilmente, l’intreccio di interessi politici e religiosi portò le due parti ad un conflitto latente, che emergeva episodicamente in confronti aspri e sanguinosi. Nel duro confronto sui mari, per l’Inghilterra ebbero molta importanza le gesta di Francis Drake e dei “Sea Dogs” (“Lupi di mare”), i famosi corsari elisabettiani.
FRANCIS DRAKE, IL CORSARO
Nel 1577, la regina Elisabetta I decise di affidare una missione segreta a Francis Drake (1540-1596), capitano inglese che già nei quindici anni precedenti aveva combattuto (oltre che commerciato) con gli Spagnoli nei Caraibi, e dai quali era considerato un temuto pirata. Lo chiamavano El Dragòn, volgendo in spagnolo il suo nome Drake (“drago”). Ufficialmente, la missione era un viaggio di esplorazione in Atlantico, ma, in realtà, Drake doveva condurre una incursione contro gli spagnoli lungo le coste americane dell’Oceano Pacifico, che essi consideravano un loro “mare clausum”, un mare di loro esclusiva appartenenza. Allo scopo, la regina consegnò a Drake una “lettera di corsa”, con la quale lo autorizzava ad attaccare le navi e le colonie spagnole, e a razziarle. Le avrebbe attaccate non come un pirata, per proprio profitto, ma come un corsaro, su mandato dell’Inghilterra. Il bottino sarebbe stato diviso a metà con la Corona inglese. Con l’incursione di Francis Drake, l’Inghilterra intendeva lanciare la sfida al dominio, sino ad allora incontrastato, della Spagna e del Portogallo nelle Americhe (ed in Asia).
(segue)
Il Guardiano del Faro
ANZIO CITTÀ DEL CUORE
di Marco Cherubini
La poesia, insieme alla musica, appare come l’arte più emozionale tra tutte. L’emozione è un moto dell’animo (ex motu quindi qualcosa che muove). È anche però un luogo dell’anima e di luoghi, di cui l’anima spesso si nutre. Per me Anzio è sempre stato un luogo dell’anima e quindi giusto a stimolare un moto dell’anima quale è la poesia. Anzio è per antonomasia luogo di vacanze. Sin dai tempi degli antichi romani era un topos dove l’otium la faceva da padrone. La villa imperiale (luogo di nascita di Nerone) ne è l’esempio più calzante. Anzio è, da almeno cento anni, anche uno dei luoghi preferiti per le vacanze dai moderni romani. Vacanze spesso pronube di intrecci amorosi dei giovani vacanzieri. Intrecci che lasceranno segni perenni di gioie e dolori nel più profondo dell’animo di chi li ha vissuti in prima persona e che, anche a distanza di anni, quando faticosamente riemergeranno come ricordi non cesseranno di suscitare emozioni. Poi c’è l’Anzio più vero e profondo; quello di chi lo vive anche al di fuori della vacanza. Quello dello scirocco che a volte non ti fa neanche camminare per quanto forte tira, e piega piante e arbusti e abbatte gli ombrelloni dei bar sulla piazza principale. Anche questo è emozione. Quando poi uno spiraglio di sole giunge a riconsolarti chiedi a quel sole di guarnire la tua città “a cui grazie debbo grandi e amore”. Anche gli odori che avverti girando tra il porto e la piazza ti possono inebriare: l’odore della salsedine, insieme a quello del legno che si spande dai cantieri, si mescola a quello della pizza appena sfornata che ti alita in faccia e ti riporta verso un passato quando lì in giro vedevi ancora gli ambulanti che vendevano dolciumi nelle bancarelle. E tutto questo provoca, ancora una volta, un moto dell’animo che ti obbliga a fare i conti con la parte più profonda di te stesso, fino a farti ripensare la tua vita, in cui non hai fatto altro che correre, e ti obbliga a sentirti un “ambulante venditore di me stesso”.
La poesia “Al chiaro di luna” è un momento di pensieri sullo scorrere del Tempo e delle sue “scorie” (cioè dei prodotti del “metabolismo del Tempo stesso). Però c’è qualcosa nella poesia che stimola ancora un moto dell’animo: la luna piena, un dolce ricordo e un fiume: l’Astura. Eccoci tornati ad Anzio, è il fiume di Anzio, anche se scorre qualche chilometro più in là. E poi c’è la strada dell’Acciarella che da Nettuno porta al fiume. Tuttitópoidella città amata. E dunque anche questa volta è la città, col suo carico di emozioni, a proiettarmi in uno spazio atemporale dal quale poter guardare, da un osservatorio privilegiato, il Tempo scorrere e fluire in me fino a farmi “crogiolare in vecchie mura di pensieri “per “assaporare il veleno delle sue scorie”.