a questa Moneta ma a quello che potremo definire un Sistema Monetario Europeo Zoppo. Difatti ogni Sistema Monetario ha bisogno di essere regolato da due Autorità: una tecnica, rappresentata dal Governatore Centrale e l’altra da un’Autorità politica, rappresentata dal Ministro del Tesoro. Ebbene nel Sistema Monetario Europeo non esiste l’Autorità Politica, il Ministro del Tesoro, e ciò a causa del mancato completamento del processo di Integrazione Politica. Quindi tutti i limiti che la Moneta Europea presenta sono il risultato della cecità della Classe Politica dei vari Paesi europei che si ostina a non voler rinunciare a parte della propria Sovranità Nazionale a favore della costituzione di una effettiva Stato Federale Europeo.
CURIOSITÀ NELLA POESIA/11 di Sergio Bedeschi
E ORA TOCCA PARLARE DI LUCREZIO!
Tito Caro Lucrezio campò (piuttosto male) dalle parti di Roma dal 98 al 50 a.C., emarginato, bistrattato, ritenuto eretico per molti versi, qualcuno diceva perfino drogato, ma sicuramente una voce fuori dal coro e uno spirito libero. Impossibile non citare la frase celebre di Flaubert che lo dipinge nella sua miseria e nella sua grandezza:
Quando gli dei non c’erano più, e Cristo non c’era ancora, si ebbe,
tra Cicerone e Marco Aurelio, un momento unico in cui c’era solo l’uomo. E l’uomo, solo.
Scrisse in poesia il De rerum natura che molti di noi hanno incontrato a scuola, un’opera che si fatica a definire se lirica, filosofica, scientifica o quant’altro. Più di settemila esametri, un lavoro rimasto peraltro incompiuto. Se è vero che a noi interessa l’aspetto scientifico, beh, va detto subito che qui dovremmo aprire per lui una parentesi senza fine, dato che ci troviamo astronomia, fisica, biologia, psicologia e insomma un po’ di tutto relativamente a quella che era la Scienza di allora, ma anche a quella che verrà. Perciò, date le dimensioni del personaggio, facciamo così. Diciamo oggi qualcosa di cui non possiamo far a meno e poi andiamo avanti con il resto della Storia, riservandoci di ritornare da lui tutte le volte che ci piacerà o ci occorrerà. In ogni caso mettiamo subito le cose in chiaro: nessuno qui vuol parlare di lui come un profeta della Scienza futura né tanto meno valutare “scientifiche” in senso stretto le sue intuizioni. Semplicemente andremmo ad annotare, come semplici cronisti, i suoi ragionamenti e le sue considerazioni (spesso filosofiche) lasciando che si stupisca chi si vuole stupire. Io personalmente ne ho sempre provato un fascino immenso sia per il suo poetare sia per le sue argomentazioni. Ne restai suggestionato fin dai tempi del Liceo e, anche ora dopo che tanti anni sono passati, mi scopro a rileggerlo, a rigirarlo e ad ammirarlo. Per questo, prima ancora di cominciare, non posso non proporvi questa mia composizione su di lui, sulla sua opera e sull’influsso che ha avuto su di me:
De rerum natura
O Lucrezio, Lucrezio Caro, Caro Lucrezio,
fonte di voglia di verità con te io spazio lontano
tra sterminati orizzonti dove la Conoscenza,
arcano perenne mistero, svela a fatica i suoi confini.
Coi miei cavalli alati, Ragione e Fantasia,
ora cavalco tra le nubi per esplorare il Cosmo
scoprire il Cuore Umano e spiar dentro le Cose.
Ipocrisie e grettezze sian pur dei governanti,
falsità e paure le lascio volentieri
ai piedi degli altari.
Moriremo un giorno con l’anima che muore
“de nilo nil” recitava una canzone,
dal nulla siam venuti al nulla torneremo,
i nostri semi migreranno al tramontar del sole.
Per ora, nel tempo della vita,
non resta che sfrondar le fronde
per un frammento di felicità.
L’Amicizia ci salverà? Ci salverà l’Amore?
Tra le miserie umane tu hai indicato la mia via.
Io ti ascolto, Lucrezio.
Ma il mondo ascolterà la tua canzone?
Lucrezio era nato a Pompei o a Ercolano
e questo già di per sé la dice lunga sulla sua formazione culturale: in Campania da tempo fiorivano i Giardini Epicurei, dove la filosofia greca del saggio di Samo già da tre secoli si era ovunque diffusa. L’epicureismo non era la filosofia del piacere, nel senso che i suoi detrattori spesso gli attribuiscono. Era la filosofia del piacere sì, ma del piacere della Conoscenza, se mai dell’Amicizia, dell’Amore, della Pace. Qualcosa che comunque si accompagnava con uno scetticismo e uno scientismo mal tollerato dall’imperante stoicismo della società romana. Che gli Dei ci siano o non ci siano per governare la storia a Lucrezio pare interessi poco: a lui interessa capire come è fatto il mondo, quello che sta fuori di noi e quello che sta dentro di noi. Già la sua distinzione tra anima e animus mette i brividi: sembra annunciare cervello e mente, l’hardware e il software di cui siamo fatti noi corpo-macchina.
Nunc animun atque animam dico coniuncta […]
(De rerum natura, Libro III, 1)
Dico che l’anima e l’animus sono connessi in un modo indissolubile
e formano un tutto organico in loro, ma che il pensiero,
a cui diamo il nome d’animo e mente, n’è come il capo,
e comanda nel corpo intero…
Un piccolo frammento di una trattazione vasta e profonda sui temi della Neuro-Scienza.
Vi assicuro che con Lucrezio ne vedremo delle belle. Intanto, tanto per ricordarlo, fate una bella cosa quando vi trovate a passeggiare coi vostri nipotini per Villa Borghese. Andate a salutarlo: è uno dei 228 busti che circondano il grande parco. Non vi potete sbagliare: sta su un angolo negletto e trascurato, proprio vicino alla paninoteca dove affittano le biciclette. Mi piace pensare che sia lì che sorride, sornione. Molti fecero di tutto per cancellarne financo la memoria poiché (si disse) aveva osato troppo oltre le apparenze. Ma il suo spirito libero seppe volare al di là delle ipocrisie e dei pregiudizi con coraggio e preveggenza.
LA SPERANZA NON È
UN SOGNO
di Rita Salimbeni
In una sera di grande tristezza, alzai gli occhi al cielo a cercare le stelle, volevo donare loro i miei tristi e buii pensieri che opprimevano il mio cuore. Non volevo pensare, non volevo scrivere perchè era un momento colmo di guai per tutti, morti, malati, grandi e disperati pianti, non potevo scrivere e parlare di allegria per il Santo Natale, per il fine anno e l’arrivo del 2022. Non potevo parlare di dolci, di gioie, colorare un foglio bianco da dedicare a voi miei amici di penna e scrivere parole d’affetto ai miei parenti vicini e lontani.
Innanzi al mio balcone il mio sguardo si perse oltre la collina, prati verdi, il volo di uccelli che andavano a dormire e il loro cantare dava la buona notte a me che li osservavo in silenzio. Al di là dei prati case distrutte dal tempo in rifacimento. Al di là della strada rifiuti gettati da mani incivili, che il vento freddo trasportava ovunque. Alzai lo sguardo e avrei voluto avere le ali, volare via. Sarebbe stato bello vedere il mondo dall’alto dei cieli tra le nuvole. Osservare all’alba l’orizzonte e poter raggiungere quella terra rossa che sognavo da oltre cinque anni: il covid 19 ci aveva diviso e mi mancavano i suoi colori, i sorrisi e il vivere semplicemente senza tanti fronzoli. Forse, nei miei sogni, l’Africa era quella terra lontana e sconosciuta da farmi dimenticare il presente. Le emozioni mi assalirono e cercai di annullare nella mia mente questa pandemia che mi aveva cambiato la vita, il pensiero, le uscite, gli incontri. Paura del contagio, paura di ammalarsi, paura di finire in ospedale, paura di aver bisogno dell’ossigeno per respirare. Paura di avvicinarsi all’altra persona come se fosse il nemico. Ma il nemico è il Covid 19 e noi ci siamo fatti catturare, impossessare dalla paura che ci ha relegato a casa, in solitudine come animali feroci chiusi in gabbia.
… Ma, non è solo il Covid a rendermi triste, che mi assilla. Ma questa è tutta un’altra storia!
Ardea, 8 gennaio 2022
L’AURA DEI CONCERTI
un anno dopo
di Giancarlo Marchesini
Il 1° gennaio 2020 scrivevo un articolo sui concerti di capodanno della Fenice e del Musikverein. Sarebbe appagante per il mio ego (smisurato) se qualcuno ricordasse che lamentavo in entrambi l’assenza dell’“aura” “eorizzata da Walter Benjamin, un elemento impalpabile ma essenziale che nasce dall’interazione fra l’opera d’arte e lo spettatore / ascoltatore. Entrambi i concerti si tennero a porte chiuse. Quello austriaco con un rigido protocollo da pandemia: cascate di fiori, lampadari brillanti, sala tirata a lucido ma assenza totale del pubblico. File e file di seggiole vuote. E una Radetzky-Marsch senza il battito delle mani e il fracasso dei piedi del pubblico non vale un viaggio a Vienna. Ci sono probabilmente esecuzioni migliori di quella “da manuale” dei Wiener Philarmoniker, le possiamo sentire alla radio o su CD senza spostarci dal salotto di casa.
Di qui la riflessione sull’”aura”, la nascita di un moto dell’animo e dell’interiorizzazione legata alla presenza fisica. Se è vero che un brano musicale vive soltanto al momento dell’esecuzione (Baricco insegna) è altrettanto vero che un’esecuzione “in presenza” (neologismo pandemico) si avvale, anzi diventa unica grazie alla partecipazione del pubblico. A Venzia alla Fenice, nel 2020, il “protocollo” fu un po’ più fantasioso: il corpo di ballo e alcuni musicisti occuparono a sorpresa i palchi; il golfo mistico si era fuso con la sala. Ma l’aura? Nonostante la bravura dei direttori e degli interpreti (per non parlare della produzione) l’aura non c’era. File di seggiole vuote.
Quest’anno molto è cambiato. La sala di Vienna era gremita (ma non sold-out, specchio dell’epidemia). Per la prima volta nella mia vita ho visto posti vuoti al Musikverein il giorno di capodanno.
A sorpresa, il concerto di Vienna ha adottato una strategia diversa. Tutti gli spettatori, sicuramente in possesso di un “superpass / supergreen” (2 vaccinazioni + richiamo + tampone, magari di poche ore prima) indossavano la mascherina. Ma i musicisti e un immenso Barenboim erano affrancati dal suo uso. Nessun dubbio che tutti gli artisti siano stati assoggettati a test scrupolosi. Ma sempre mi stupisce come i popoli teutonici siano capaci di decisioni radicali (e le chiamano pragmatismo): il morbo infuria ma il concerto in presenza è irrinunciabile: mascherina per il pubblico, volto scoperto per gli artisti.
Meno audaci e assolutisti gli italiani, o meglio i veneziani: senza mascherina il direttore Fabio Luisi (che cantava insieme al coro) e i due solisti. Ve lo immaginate un Libiamo senza la mimica aggraziata di Pretty Yende o quella, un po’ più impacciata, ma pur sempre efficace di Bryan Jadge? Il coro e l’orchestra sono stati l’elemento a sorpresa, almeno in confronto alle decisioni prese a Vienna. Tutti con mascherine (elegantissime, nere con lo stemma della Fenice, ma pur sempre “dispositivi di protezione”, come li chiama il Ministero della Salute). Tutti, immagino, con doppia dose di vaccino + booster + tampone. Tutti, ripeto, meno i fiati, per ovvie ragioni (non hanno ancora inventato la mascherina col buco a tenuta stagna, che sarebbe anche utile per i fumatori). Quale protocollo è giusto? Più previdente? Quello del Musikverein o quello della Fenice?
À la guerre comme à la guerre, dicono i francesi. Il Covid ci ha insegnato molte cose: a non abbracciarci, non baciarci, non darci più la mano (per non parlare di contatti più intimi, banditi d’emblée e senza concessione alcuna). E in questo contesto da tregenda perfino l’aura di Walter Benjamin cambia, deve cambiare. Diventa una cosa più intima, da vivere personalmente, ognuno di noi affossato nella propria monade, almeno finché sentimenti, comportamenti o fruizioni non torneranno a vedere la luce, a esplodere nel giubilo della partecipazione.
Di una cosa sono certo. In entrambi i concerti di capodanno l’aura c’era eccome. Sotto la guida dei due direttori, musicisti, cori e corpi di ballo si sono fusi in un’unica voce, hanno trovato al proprio interno un’aura degna delle maggiori opere d’arte. E noi l’abbiamo vissuta, di riflesso, come l’albedo di una stella lontana. Ma non ci facciamo l’abitudine, il nostro compito è andare avanti e tornare alla normalità. Se avessi la fortuna di rinascere e (se con ancora più grande fortuna) diventassi un vero musicista, e non uno che pesta a orecchio i tasti del pianoforte, sceglierei come strumento uno dei fiati (flauto, oboe, corno inglese, clarinetto, controfagotto e via suonando). Così potrei esibirmi senza mascherina in caso di epidemia. Just in case!!