In una “Scientocrazia” di fatto, i nostri esperti di Covid 19 facenti parte dei consulenti del Governo, non si trovano tra i vertici degli scienziati di fama
Scienziati di bassa classifica
A prescindere dal teatrino dei dati statistici e dei bollettini sul Covid 19 che, ormai è chiaro a tutti, non significano molto, visto che derivano da variabili controllabili ed incontrollate, un dato resta scritto sulla pietra ed è il numero dei decessi. Visto che non esiste un covid tedesco, uno russo o uno svedese i danni si misurano nel triste dato di coloro che hanno pagato con la vita un contagio preso spesso per colpa di coloro che avrebbero dovuto proteggerli. Non è chiaro, però, perché in Germania i morti sono solo 7,900 su 174.000 contagiati mentre in Italia si sono avuti 32.000 decessi su 225.000 contagiati. Certamente si tratta di un diverso livello di efficienza del servizio e di una diversa utilizzazione della rete di assistenza domiciliare che da noi è stata decisamente inefficace. C’è stata e c’è ancora molta confusione nel “modello italiano”, per quanto riguarda la gestione operativa mentre per gli aspetti logistici gli elementi deficitari hanno assunto livelli drammatici. L’organizzazione si è rivelata del tutto inefficiente e la parcellizzazione degli incarichi ha accentuata l’inefficacia degli interventi: il pasticcio delle introvabili mascherine a 50 cent è solo un esempio che rasenta il comico se non si trattasse dell’approvvigionamento di un presidio sanitario la cui carenza è stata la causa di migliaia di morti. Si cominciano a trovare mascherine a prezzo politico quando il contagio sembra si sia arrestato. Il caos più appariscente e che rimarrà a futura memoria è quello relativo alla comunicazione ed alla divulgazione dei dati conoscitivi che milioni di persone impaurite hanno cercato di recepire di giorno in giorno per reagire con comportamenti difensivi. Se ne sono sentite di tutti i colori a partire da “poco più di una semplice influenza” alla “non trasmissibilità da parte degli asintomatici” che ha provocato danni incalcolabili. Ricorderemo per decenni i volti dei “professori” epidemiologi e virologi che, del tutto sconosciuti dal pubblico, hanno lasciato i loro laboratori per inondare gli schermi televisivi. Mentre i loro colleghi “operativi” si spendevano nelle corsie degli ospedali, i “professori” hanno pontificato in modo spesso nozionistico e contraddittorio per descrivere il comportamento di un virus che essi non conoscevano. Hanno tenuto banco sul palcoscenico del Paese in cui il virus la faceva da padrone mentre milioni di cittadini italiani cercavano di orientarsi fra le loro contraddizioni. Ma chi sono questi illustri scienziati a cui una politica pasticciona ha affidato le sorti del nostro Paese colpito dalla peggiore epidemia dell’ultimo secolo? Da come essi si atteggiano e da come essi vengono apostrofati dal presentatore di turno essi appaiono come grandi luminari della scienza internazionale, ma non è così.
Stabilire il valore e l’autorevolezza di uno scienziato non è facile perché diversi sono gli approcci e diversi sono i contesti in cui i vari ricercatori si trovano ad operare. A livello internazionale, però, si ricorre ad un metodo di classifica che la comunità internazionale ha adottato per definire il livello di autorevolezza di un ricercatore; una valutazione basata sul lavoro svolto e sulla qualità di quanto prodotto. Durante lo svolgimento di questa drammatica pandemia erano gli scienziati che hanno indicato la strada ed è sulle loro decisioni che la politica, a volte in modo acritico, ha imposto condizioni di vita di cui si apprezzano i primi riscontri sanitari positivi ma le cui gravissime conseguenze economiche e sociali sono ancora tutte da valutare.
Esiste un parametro abbastanza affidabile, cui convenzionalmente ricorre la comunità scientifica per stabilire una gerarchia di merito: si chiama «h-index», un indicatore bibliometrico ottenuto facendo la media tra il numero di pubblicazioni scientifiche e il numero delle citazioni ricevute da un dato ricercatore.
Facendo riferimento a questo indiscutibile parametro di valutazione, quanto sono competenti gli esperti italiani? Possiamo tranquillamente affermare che i grandi professori che hanno deciso la strategia contro il Covid 19 del nostro Paese non sono in cima alla classifica e nemmeno nella parte media.
L’indice h-index vede al vertice della classifica Anthony Fauci, virologo della task force di Donald Trump, e Didier Raoult, luminare francese della medicina e direttore dell’Istituto Malattie Infettive dell’Università di Marsiglia i cui indice è rispettivamente di 174 e 175. Tanto per capire i valori in campo, l’indice di Giuseppe Ippolito, direttore dell’INMI dello Spallanzani, è di un modesto 61, mentre quello di Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, il Golgota della sanità nazionale, è addirittura di 21. Parliamo del peso scientifico internazionale di persone ai vertici del Comitato nominato dal Governo che ha influenzato pesantemente le decisioni prese nella gestione della pandemia. Scorrendo la lista dei ricercatori nazionali prende consistenza l’ipotesi che il valore internazionale della nostra “intellighenzia” sanitaria sia inversamente proporzionale al ruolo degli esperti durante la gestione della pandemia: insomma a decidere in Italia non sono stati i migliori scienziati del mondo ma nemmeno i migliori esperti nazionali.
Walter Ricciardi, super consulente dell’OMS, ha un indice, piuttosto modesto, di 39; Ilaria Capua, virologa dell’Università della Florida, con un passato in politica, ha un h-index di 48; Roberto Burioni, virologo e principale stella del nuovo divismo scientifico, ha un h-index decisamente basso di 26. I valori internazionali dei nuovi divi della sanità nazionale, resi famosi dall’azione del Governo nella gestione del Covid 19, non sono affatto a livello di eccellenza soprattutto se paragonati a quelli di altri esperti italiani molto meno popolari, come Alberto Mantovani (h-index 167, altissimo), Giuseppe Remuzzi (158) e Luciano Gattinoni (84), solo per citarne qualcuno. Certo è che il valore scientifico di un ricercatore non può essere delimitato solo da un indice ma è proprio quell’indice che ne definisce il peso ed il valore internazionali e se quell’indice offre un parametro offerto ai cittadini per valutare chi decide le sorti della loro vita esso merita di essere fatto conoscere.
Sergio Franchi
Autovetture per l’API
La ASL Roma 6 ha consegnato il 24 maggio scorso due delle quattro vetture pronte per l’API. L’API (Assistenza Proattiva Infermieristica) è stata ed è di grande utilità durante questa pandemia da Covid-19, perché la crisi non è finita.
Essa interviene in tutte le situazioni di emergenza a domicilio, pertanto è intervenuta nei casi sospetti da Covid-19, sia per monitorare le persone più a rischio di contagio, sia nei casi confermati, sia per monitorare le strutture di lunga degenza degli anziani, le cosiddette RSA che hanno fatto registrare molti casi di positività in tutta Italia. In particolare l’API con il suo personale qualificato si occupa di sottoporre ai tamponi, di fare prelievi, visite a domicilio; inoltre in questo periodo consegna, sempre a domicilio, il Kit ‘Doctor Covid’ e guida al loro utilizzo. Di minimo ingombro (è grande quanto un volume), il Kit é semplice da utilizzare; riesce a dare il responso in soli 20 minuti, per sapere se si è positivi o negativi. L’API, inoltre lavora in sinergia con IFeC (Infermieri di Famiglia e Comunità), personalizzando l’assistenza dedicata ai malati di Covid-19, soprattutto alle persone con fragilità croniche. La loro azione congiunta è mirata al contenimento della pandemia ed è perfettamente allineata alle disposizioni della Regione Lazio in seno al programma di potenziamento delle cure per combattere ed abbattere la famigerata Sars Covid-19.
Rita Cerasani