SIMPOSIO
ESTATE … FINALMENTE!
Finalmente liberi in queste splendide giornate calde e piene di sole.
Il periodo trascorso per i più è già un ricordo da dimenticare, per altri è un ricordo che stringe ancora il petto. Le spiagge come l’anno scoro si sono riempite, ma altri temono ancora. Eppure questa preoccupazione fatta di timori è stata benefica alla spiritualità di un sentire tutto nuovo. Poeti sono e sgorgano dai loro cuori profonde parole. Scrittori sono che inventano storie. Quante attitudini sono nate in questi giorni obbligati dalla solitudine, quante trasformazioni della memoria e di un quotidiano che improvvisamente rivela i suoi molteplici aspetti.
In molti ne hanno approfittato, altri lo faranno, intanto l’estate è incominciata.
BUONE VACANZE A TUTTI
Giuliana
IL SILENZIO
di Maria Grazia Vasta
Il silenzio
Ora, solo ora infine penso
che seppur faticosamente
nei meandri del nero silenzio
la parola che illumina il cammino
incerto nella profonda notte
di un’anima turbata
possa apparire chiara e fulgida
come stella solitaria
nell’immenso blu dell’universo.
M.G.V. - 06.2020
L’ossimoro usato di frequente, “il silenzio assordante”, ben esprime lo straniamento di tutti noi davanti al fenomeno inusuale dell’assenza di rumore a causa dell’isolamento forzato degli ultimi mesi. Ancor più difficile quest’esperienza per chi è solo e specialmente per chi non ha mai imparato ad esserlo. Ma che tipo di convivenza civile può esistere tra persone che non sanno stare sole? In parte utilitaristica e non di scambio sentimentale e culturale, presumo. D’altra parte per Aristotele e in generale per l’antropologia l’uomo è un essere sociale, e nel migliore dei casi si è rafforzata la convinzione che nessuno si salvi da solo, che il senso di appartenere ad una comunità sia aggregante e consolatorio, che il pericoloso virus Covid 19 ci abbia insegnato ad apprezzare maggiormente il nostro prossimo (quando non ha acuito i dissidi) e ci abbia portato ad ammirare profondamente le persone di valore che si sono spese per gli altri, risvegliando inoltre il senso di unità nazionale, i valori morali e la solidarietà. Il silenzio, sempre così surreale, specialmente nei mesi scorsi, sa di morte solo per chi fugge da se stesso. Molti usualmente lo coprono in tutti i modi, con la TV, la musica, le parole, le persone; molti lo trovano imbarazzante. Al contrario esiste un altro punto di vista, che coglie con resilienza una rara opportunità: nel silenzio possono affiorare, come fiori di loto nello stagno dall’acqua torbida, i pensieri più nascosti, i tratti salienti della nostro io nudo, opacizzato generalmente dalle sovrastrutture della personalità e della società. Si apre uno spazio ulteriore alla nostra coscienza, ci si pone all’ascolto di suoni provenienti da un mondo parallelo. Come in un grande auditorium le note fluttuano più liberamente nell’aria, raggiungendo ogni angolo, parimenti si arriva all’essenza del nostro io più profondo e segreto. A volte la Bellezza sta nel non immediatamente visibile o nelle piccole cose. Ha a che fare con sensazioni pure, che ti solleticano l’anima, con rivelazioni improvvise, dovute al sintonizzarsi della mente con suoni e colori, profumi e contatti inaspettati: nel silenzio assoluto delle sere di lock down, seduta in terrazzo dopo aver spento prima del solito la TV, mi facevo uditorio privilegiato di un usignolo che abitava il giardino di fronte. Un vero emozionante appuntamento con lui e con me stessa. Ora è andato via, inutili le mie sortite, inutile mettermi melanconicamente all’ascolto. Sento che mi manca qualcosa adesso, ma che molto mi è stato donato.
L’usignolo
Mite e schivo usignolo,
gradito regalo della sera,
lontano va il tuo sereno canto
fende l’aria di fiori odorosa,
si spande in giro soave
e in difformi volute
reca suoni argentini
dagli sfumati colori,
come leggero prezioso manto
che lievemente ricopre
il sospeso e beato nulla
del mondo senza umani.
Siedo nel silenzio abitato
di una notte di primavera,
immobile e solitaria
nell’umida verde oscurità
visitata da radi lampioni,
mentre la musica astrae
lo spirito stanco
e le recondite parole,
fuggitive dalla luce del giorno
e dagl’inutili rumori,
affiorano nell’acqua limpida
del trillante assolo,
liquida dolce culla
ai miei remoti pensieri.
M.G.V. - 05.2020
I MORTI NON MORTI
da Spoon River ai nostri giorni
di Maria Grazia Vasta
Nella sua “Spoon River Anthology”, “L’Antologia di Spoon River” (1914-15), lo scrittore e poeta Edgar Lee Masters dà voce agli abitanti deceduti di un villaggio del Midwest americano, sepolti su una collina, facendogli narrare, mai così lucidi e consapevoli come da morti, le loro vite, amori, delusioni, rimpianti, ambizioni, dolori e umiliazioni, che non sono riusciti ad esprimere, a realizzare o a risolvere da vivi.
Masters si nasconde forse dietro alcuni personaggi come “George Gray” (cognome mutuato da quello del poeta inglese Thomas Gray dell’“Elegy Written in a Country Churchyard”, l’“Elegia scritta in un cimitero campestre”, 1751) un uomo che non ha avuto il coraggio di cogliere le occasioni e il mondo in tutti i suoi aspetti, l’amore, il dolore, l’ambizione per migliorare la propria esistenza. Vivere i sentimenti può essere rischioso, ma evitandoli la vita è piatta e senza emozioni.
Oppure come “Francis Turner” (alter-ego dell’altro personaggio), poesia che per prima colpì la scrittrice Fernanda Pivano, dove invece, il ragazzo debole e cardiopatico, attuando il più dolce dei suicidi, bacia l’amata pur sapendo che il suo cuore cederà, ma preferisce affrontare la morte piuttosto che continuare a condurre un’esistenza triste e inutile. È questo il messaggio principale dell’Antologia: vivere pienamente la vita, essere leali e sinceri, darle un senso prima che sia tardi, per non avere rimpianti, per non morire interiormente, con l’anima tarpata, prima del tempo.
Francis Turner
Io non potevo correre né giocare
quand’ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti –
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary –
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra,
l’anima d’improvviso mi fuggì.
Mi si stringe quindi il cuore al pensiero della crudeltà della sorte che ha colpito le migliaia di persone morte a causa dell’attuale pandemia, essendo così rapidi e rovinosi il decorso della malattia e la frequente letalità della stessa, e che non abbiano avuto il tempo materiale per esprimere i propri sentimenti, per realizzare i propri sogni, per godersi partner, figli e nipoti, per vivere appieno la loro semplice o complicata meravigliosa vita. Molti di loro avranno pensato di non aver saputo cogliere le occasioni, per negligenza o superficialità, di viverla intensamente, dandole il giusto valore, con pienezza di sentimenti, senza dare nulla per scontato. E la seguente poesia mi fa pensare proprio a tutti coloro che si sono visti morire e che hanno provato il rimpianto di non aver intrapreso in tempo azioni e preso decisioni, di non aver fatto tempestivamente un qualcosa o almeno abbastanza bene quanto avrebbero voluto o potuto.
George Gray
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una nave con le vele ammainate, in riposo nel porto.
In realtà non ritrae la mia destinazione,
ma la mia vita.
Perché l’amore mi venne offerto, ma io fuggii dalla sua delusione;
il dolore bussò alla mia porta, ma io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti i suoi rischi.
Pure tutto il tempo avevo fame di un significato nella vita.
E ora so che bisogna innalzare le vele
e cogliere i venti del destino,
ovunque essi guidino la nave.
Dare un senso alla vita può sortire follia,
ma la vita senza significato è la tortura
dell’irrequietezza e del desiderio vago -
è una nave che anela al mare eppur lo teme.
I FAVOLOSI ANNI ‘60
di Alessandro Evangelisti
TERREMOTO GIOVANILE
Negli Anni ‘60 la generazione che era nata nell’ultimo dopoguerra divenne adulta e prese coscienza di vivere in un mondo che apparteneva ancora al passato, e in cui non si riconosceva. Quella gioventù - allegra, spensierata, alla continua ricerca di forme di evasione - sentì pertanto che doveva conquistarsi una identità, una morale e uno stile di vita nuovi. Già negli Anni ‘50 vi erano stati dei mutamenti nell’ambito giovanile: nella musica (il rivoluzionario rock’n’roll) e nell’abbigliamento (i blue-jeans, le T-shirts, i maglioni, il look trasandato e sportivo). Dal 1956, in Inghilterra avevano inoltre iniziato a crearsi i presupposti di quella Londra modaiola che, da lì a un decennio, sarebbe