Trasformazioni nel Costume
Nelle tre puntate precedenti abbiamo visto la dura ma tenace lotta delle donne per affermare il loro diritto ad esistere e quindi ad affermarsi anche al di fuori dell’ambito familiare. È ciò è avvenuto, non certo per puro caso, in un contesto molto particolare: il contesto bellico. Quel periodo non fu caratterizzato solo dalle profonde innovazioni tecnologiche introdotte nelle battaglie, che nei quattro anni di guerra si evolsero ulteriormente con un notevole sforzo finanziario, ma anche da altrettante profonde trasformazioni nel Costume, con particolare riferimento alla condizione femminile. Trasformazioni che si concretizzarono pienamente nell’immediato dopoguerra.
Drastico accorciamento delle gonne:
un fenomeno unico nella storia della moda femminile. Se pur dall’epoca dell’Antica Grecia e dell’Antica Roma fino agli anni dieci del XX secolo la foggia dell’abbigliamento femminile in Occidente ha subito vari cambiamenti (dall’ampiezza delle scollature alla dimensione delle maniche) tuttavia, la lunghezza delle gonne fino alla caviglia è rimasta invariata. Rappresentava anche in un’epoca definita “libertina”, come fu il ‘700, il simbolo immutabile della Femminilità, intesa come una particolare condizione della donna. Nemmeno la prorompente Rivoluzione Industriale, foriera di tanti cambiamenti, riuscì a modificare tale lunghezza.
Capelli corti alla maschietto
Poi, nei successivi anni ‘30 l’immagine complessiva della moda femminile subì una ulteriore radicale trasformazione.
Basti pensare alla pettinatura “alla garcon” che, dal nome stesso, stava ad indicare una sorta di sfida al mondo maschile.
I pantaloni! ultimo taboo nel mondo occidentale.
Per l’ultima tappa di questo percorso, quella di poter indossare liberamente i pantaloni bisognerà aspettare addirittura la fine degli anni ‘60 del Novecento. Introdotti dai Popoli cosiddetti Barbarici rimasero per lungo tempo, non solo l’inconfondibile immagine tradizionale della figura maschile, ma anche il simbolo indiscusso della Virilis Auctoritas. Difatti fino a pochi decenni fa la frase frequentemente pronunciata dai mariti era: “anche in casa i pantaloni li porto io!”. E fu proprio l’utilizzo dei pantaloni da parte dell’elemento femminile a provocare inizialmente un grande scandalo. Tale atteggiamento non fu causato evidentemente da motivazioni sessuofobiche ma da motivi strettamente ideologici, legati ad una concezione della donna per tradizione relegata a ruoli solo domestici. Difatti l’accorciamento delle gonne, che avrebbe potuto contrariare i moralisti, a causa di lasciar scoperte parti delle gambe, non incontrò quella così ostinata ostilità riservata ai pantaloni. Era frutto di una concezione della Tradizione completamente deformata: come ebbe ad affermare il famoso musicista Gustav Mahler: “tradizione non significa adorare le ceneri ma custodire il fuoco”.
Curiosità dal Corriere della Domenica
Da un articolo di cronaca nei primi anni dieci del ‘900:
“A Milano, in piazza San Babila, compaiono per la prima volta in Italia le jupeculottes; le gonne-pantalone: sottane che, all’altezza del ginocchio, si dividono in larghe brache tenute alle caviglie da nastri e fronzoli, A portarle sulle strade sono due Mannequini,vale a dire due indossatrici. Succede il finimondo. Vi furono grida, fischi, lazzi tali che le poverette dovettero cercar rifugio nei portoni”. Dopo alcune considerazioni sulla moda femminile dell’epoca l’articolo continua: “L’esordio mondiale della jupeculotte è avvenuto un mese prima, naturalmente a Parigi, e l’accoglienza non è stata diversa che a Milano”. Appare incredibile: la “Parigi trasgressiva”, considerata nell’Italietta provinciale del Primo ‘900 quasi una “nuova Gomorra”, si scandalizza di una semplice gonna pantalone! Ma nella avanzata America succede di peggio. Presegue l’ articolo: “Al Parlamento degli USA il senatore Max Lenedan dice “Signori, la Patria è in pericolo. La tendenza della donna è a mascolinizzarsi, imperdonabilmente tollerata sino ad oggi porterà a conseguenze gravissime che minacciano di turbare l’equilibrio dello Stato”. Anche se il suo “grido di allarme” non venne totalmente accolto, tuttavia l’articolo ci informa che passò una Ordinanza provvisoria che comminava 152 dollari di multa ai mariti incapaci di impedire alle mogli di indossare la jupeculotte e che addirittura prevedeva cinque giorni di carcere o 923 dollari di ammenda agli Impresari Teatrali, ai Titolari di Fabbriche e ai Direttori di pubbliche Amministrazioni che non fossero stati capaci di fare altrettanto con le loro dipendenti, fossero esse attrici, operaie, contabili, commesse o dattilografe.
E per concludere
Da non dimenticare che una delle accuse pesanti che la portarono al rogo fu quella di imputare a Giovanna d’Arco di indossare i pantaloni. Era sì il Medioevo, ma un Medioevo che per la donna si è protratto sino a pochi decenni fa. D’altronde come ci rammenta Einstein nel suo aforisma: “Due cose sono infinite: l’Universo e la stupidità umana, ma riguardo l’Universo ho ancora dei dubbi”.