SIMPOSIO
GIOIA DI VIVERE
Sì, sembra essere quella della natura che sta esplodendo intorno a noi in questi giorni. Ogni essere palpita di vita e anche noi, nonostante la situazione ancora precaria, ci troviamo a godere delle benefiche emozioni legate al fervore che anima ogni cosa: il piacevole tepore dell’aria, la fioritura generosa delle piante, anche di quelle poco appariscenti, i suoni sempre più melodiosi degli uccelli. Un invito al risveglio e all’amore, alla procreazione di ogni essere vivente che si apre alla bellezza per favorire la vita nel suo inarrestabile ciclo. Torneremo finalmente ‘liberi’? Sempre più prorompente sentiamo il bisogno di poter condividere le emozioni, con amici e persone care rimaste confinate in una distanza sociale che sembra rubarci la normalità delle relazioni. Eppure, la ‘gioia di vivere’ è, di molte anime belle, la conquista del sapersi adattare, non solo come fase necessaria del ciclo vitale, ma come gioia e ricerca della felicità insita nel desiderare esattamente ciò di cui si dispone.
Giuliana
Henri Matisse, La tristezza del re,
1952, (Centre Pompidou, Parigi)
Ultimo autoritratto dell’artista, realizzato quando un male incurabile lo costringeva sulla sedia a rotella e gli impediva di dipingere con i pennelli.
Matisse ha 81 anni e inventa le gouaches découpés, composizioni astratte di ritagli di carta colorata incollati sulla tela. Un’opera, questa, che diventa racconto melanconico della vecchiaia, tra simbologie e metafore, senza però perdere nulla del suo vigore creativo. Le scelte cromatiche squillanti e la libertà compositiva estranea a qualsiasi canone accademico, tradiscono, però la stessa passione, quella della “Gioia di vivere” come titolava il suo quadro del periodo “Fauves” dipinto del 1906, quarant’anni prima.
NEW YORK, NEW YORK!
di Alessandro Evangelisti
MANHATTAN – L’immagine che comunemente si ha oggi dell’Isola di Manhattan - compresa tra i fiumi Harlem, East River, Hudson, e le acque dell’Oceano Atlantico - è una irsuta distesa di grattacieli, che identificano il centro della moderna “Città di New York”.
Ma, quando fu avvistata nel 1524 dall’esploratore fiorentino Giovanni da Verrazzano (1485-1528), l’isola era solo una immensa foresta, abitata dai nativi Lenape (una tribù dei boschi, della famiglia degli Algonkini). Verrazzano ne aveva preso possesso in nome del re di Francia Francesco I, per conto del quale navigava.
Il re decise tuttavia di rinunciarvi, non ritenendo utile un territorio abitato da un popolo primitivo, e senza apparenti ricchezze.
Trascorse quasi un secolo, e nell’autunno del 1609 l’esploratore inglese Henry Hudson, (1570-1611), al servizio della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali (ndr: Hudson era alla ricerca di un passaggio a Nord-Ovest, dall’Oceano Atlantico al Pacifico attraverso l’Artico), a sua volta vi approdò e la descrisse dettagliatamente.
L‘intera regione, comunque, fu considerata dagli Olandesi un’interessante area per il commercio delle pellicce con i nativi e, per iniziativa della Compagnia, nel 1621 la elessero come loro colonia: la Colonia della Nuova Olanda, che comprendeva, oltre a Manhattan, gli odierni Connecticut meridionale e New Jersey orientale.
60 FIORINI – Nel 1624 i coloni olandesi acquistarono l’Isola di Manhattan dai nativi per l’importo di 60 Guilders-Fiorini (ndr: importo rivalutato in 24 US$ nel 1846, in 1.000 US$ nel 2006, tra 2.600 e 15.600 US$ nel 2014), corrisposto loro in merci (tessuti e coperte di lana, asce, coltelli, pentole, bollitori..) e gingilli (perline di vetro).
Nello stesso anno, con 30 famiglie di olandesi e valloni, fondarono sulla punta meridionale di Manhattan l’insediamento di Nuova Amsterdam, che, difeso da un Forte, divenne uno snodo strategico per il commercio del Nord-America con i Caraibi e con l’Europa per materiali grezzi, pelli, tabacco, legname.
Poiché quei ricchi territori erano molto ambìti, nel tempo, scoppiò un conflitto anglo-olandese per il loro possesso. Nel 1664 Nuova Amsterdam venne conquistata dagli Inglesi, che ne mutarono il nome in “Nuova York” che ben conosciamo.
UNA NATURA ACCOGLIENTE - Per tutto il 1600, genti d’ogni nazione, d’ogni razza e d’ogni religione, si imbarcarono dall’Europa verso le fertili terre del Nord-America. Dopo sei, otto, dodici settimane di faticosa navigazione, uno spettacolo meraviglioso si offriva loro: una terra, fino a pochi metri dal battente dell’onda, coperta di foreste rigogliose; un cielo sereno come nel Mediterraneo; e un mare trasparente come il cristallo, con insenature, golfi e baie accoglienti.
Fiumi rumoreggianti rompevano a tratti il silenzio della foresta con le loro acque fresche e limpide. “L’acqua è dolce e trasparente come quella di un giardino in fiore”, scriveva William Penn, il fondatore della
Pennsylvania. Nel cielo passavano, a migliaia, colombi e anatre e ogni altra specie di uccelli; nel bosco cantavano i tacchini e scalpitavano branchi di daini, di cervi e di alci gigantesche.
IL PREZZO DELLA SCOPERTA - Nella regione intorno all’Isola di Manhattan, i nativi vivevano da secoli praticando un’agricoltura primitiva e cacciando i grandi animali della foresta. Erano gli “Indiani” algonkini dei boschi (delle tribù Abnaki, Leni-Lenape, Mattabises, Micmacs, Mohicans, Nantas, Passamaquoddy, Penobscot, Pequod, Pokumtuk, Shawnee ….). Incontrarono “I fratelli venuti dal mare” - così avevano chiamato i coloni europei - che portarono molti cambiamenti nel loro tradizionale modo di vivere: le armi da fuoco cominciarono a rompere il silenzio secolare delle selve; le scuri diradarono i boschi; l‘aratro scavò profondamente il suolo che coltivavano in modo primitivo. E per loro fu il principio della fine. Difesero disperatamente la terra dei loro avi, ma fu tutto inutile. Nel corso del XVIII secolo sarebbero stati sospinti sempre più verso Ovest, a mano a mano che la frontiera avanzava.
SUL PRINCIPIO DELLE COSE
Spazio aperto alle riflessioni di tutti
IL MITO E IL LOGOS
di Adriana Cosma
Il MITO ha risposto alle prime esigenze umane quando l’uomo scrutando il cielo e la terra vedeva fenomeni spaventosi che non sapeva spiegare, ma dei quali voleva acquisire il potere. Per ottenere questo risultato l’uomo doveva entrare in contatto con queste energie cosmiche ed è così che nasce l’animismo sciamanico e successivamente il Mito, una forma di conoscenza tramite l’elaborazione fantastica della realtà.
Nella mitologia l’uomo trasforma queste energie in esseri a lui superiori per poter avere accesso, una figura che faccia da tramite. Nella religione è lo sciamano, nel mito è l’eroe, ma può essere una creatura metà umana e metà divina. Tutto ciò per rendere accessibili queste forze e poterle dominare e per giungere allo scopo non esita a scendere a patti. Un esempio è “la discesa agli inferi” per i motivi più diversi raccontata in tutte le civiltà.
IL LOGOS viene individuato in un secondo momento e si sviluppa dopo il mito che a sua volta era già in parte l’elaborazione rappresentativa della realtà, ma che la dialettica successiva sviluppatasi in Grecia con la filosofia, aiuterà nella comprensione dei misteri della vita.
- Eraclito (450 a.C. circa) il logos è il nesso fra le cose, una legge universale. È questo un concetto tanto importante da essere condiviso dal resto del mondo. Infatti, nello stesso periodo dall’altra parte del globo
- Lao Tze, il fondatore del taoismo spiega il Tao come l’equilibrio universale ed eterno della natura, il nesso fra i nessi.