- Nella Tragedia Greca il logos è la rappresentazione della realtà riflessa attraverso la mimesi, l’imitazione della natura circostante agli uomini che assumerà una sua specifica forma di valenza esistenziale-socilologica con precisi contenuti:
1) la via del fato è deciso dal volere degli dei, il destino irrevocabile stabilito fin da principio;
2) la via della salvezza, attraverso la , la personificazione della giustizia e l’accettazione delle avversità come punizione per aver per aver peccato di hýbris cioè aver ecceduto dalla giusta misura turbando l’ordine dell’universo.
- Il Giudaismo Alessandrino inizia a prospettare il significato di logos come la Parola creatrice in-formatrice di Dio nell’universo.
Gli Induisti parlano anche loro di Parola creatrice: all’inizio c’erano solo i ‘Suoni’ di dio Brahaman.
- I Maya anche loro credono in una Parola creatrice.
- Il Cristo testimonia la Parola vivente che diventa Verbo incarnato figlio di Dio.
- Plotino considera il logos come l’essenza delle energie vitali che differenziano gli uomini.
- Gli Stoici pensano al logos come il ‘principio vivente’ (il fuoco).
- Nelle grandi religioni si è perso il senso del logos.
Il logos è inteso come la volontà espressa di Dio nella creazione.
Il ‘fato’ è divenuto il destino modificabile con il libero arbitrio assorbendo così i principi universali del vecchio mondo, che, tuttavia, non sono mai sopiti del tutto.
Gli alfabeti impertinenti
di Alfonso Marino
Osservando i lavori che appartengono alla serie degli “alfabeti impertinenti” balza subito agli occhi la doppia attitudine nel comporli.
Da una parte c’è l’utilizzo di un Personal Computer. I lavori che ne vengono fuori presentano, con qualche rara eccezione, una scrittura nera sul foglio bianco A4, che più che immagini formano concetti. In una Lettera datata 6 ottobre 2015, Stelio Maria Martini scriveva: «non va dimenticato che si tratta di un mezzo in sé freddo, cioè meccanico: se ti lasci prendere la mano dal meccanismo non otterrai altro che risultati meccanici […] al contrario se sei tu a prevaricare sul mezzo, potrai ottenere una tavola persuasiva, facile, nitida e soprattutto così tua».
Sull’altro versante, quello che io chiamo “caldo” balzano subito all’occhio due costanti: la prima è la libertà nell’uso delle lettere messe in fila a formare immagini, le più variate possibili: formano spirali, divengono granelli di una clessidra, ne troviamo una in equilibrio su un filo, risultano costrette in forme concentrazionarie (le carceri) o messe in una gabbia per uccelli (meglio che vi siano le lettere) … il tutto con la presenza costante di un colore vivace usato sia per le lettere che per lo sfondo su cui si stagliano le figure.
Sabaudia 27/01/2021
OSSERVATORIO
LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
DIZIONARIETTO
della LINGUA
ITALIANA LUSSUOSA
di Alfonso Marino
Esce nel 1977, per i tipi di Rizzoli Editore, il Dizionarietto (Illustrato) della Lingua italiana lussuosa di Giampaolo Barosso, con illustrazioni di Romano Farina e Angelo Sgarzerla.
Dalla seconda di copertina: «Perché accontentarsi della lingua grigia e dimessa parlata dal popolino e nelle campagne? Essa potrà convenire alle necessità comunicative più basse, a farsi intendere dalle moltitudini. Ma quando la mente e i bisogni si elevano, occorre che la lingua si dilati, fiorisca, verdeggi, acquisti metallo robusto e ampiamente sonoro».
Il volumetto presenta 2000 vocaboli che presenti nei dizionari della lingua italiana di fine’800 ed inizi ‘900 (alcuni di essi li ho ritrovati nel Grande Palazzi che ebbi in dotazione al primo anno della scuola media 1959/1960 e che a tutt’oggi uso).
Nel 2013 ne trovai una copia su di una bancarella, incuriosito dal titolo e dalla bellissima copertina, l’apersi e subito mi si rivelò un mondo sconosciuto fin ad allora.
Utilizzando alcuni vocaboli presenti nel Dizionarietto ho composto alcune poesie che ho denominato “lussuose”. Le mandai al Barosso che ne fu molto contento, si complimentò chiedendomi il permesso di farle girare tra i suoi amici. Purtroppo il nostro contatto durò pochissimo perché dopo alcuni mesi di corrispondenza, nel 2014, sopravvenne la morte dell’autore.
Uno strano salóne
Un barbiere falòtico 1 e uberoso 2
stava radendo un sugliardo 3 peloso
canzoni d’amore spippolando 4
e su un sol piede un giambice 5 suonando
mentre uno sfrutacchione 6 e uno squarquoio 7
tenevano un duello col rasoio,
intanto un cacocerdo 8 ed un buzzurro 9
mangiavano tartine con il burro
ed un braschino 10 facea l’occhio di triglia
a quel tricotomista 11 di Siviglia.
20/042013
Note
1 stravagante 2 provvisto di mammelle 3 ragazzo schifoso 4 cantando 5 cetra triangolare 6 milord 7 vecchio cascante 8 chi fa guadagni di mal acquisti 9 svizzero che vende pasticcini 10 ragazzo che fa piccoli servizi 11 barbiere
ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
15ª parte
di Francesco Bonanni
Gli Svevi
Con l’arrivo degli Svevi nell’Italia Meridionale i rapporti tra il papato e l’Impero divennero piuttosto complessi soprattutto per il fatto che ancora non era chiaro quali fossero i territori sottoposti alla sovranità del Papa e quali i territori spettanti al dominio dell’Imperatore anche se Federico I, conosciuto come il Barbarossa, dopo la pesante sconfitta a Legnano nel 1176 si era impegnato a restituire al Papa “Universa regalia et alias possessiones Sancti Petri” dei quali i suoi predecessori nel passato si erano impadroniti.
Poiché tale impegno non fu mantenuto, il 12 luglio del 1213 l’Imperatore Ottone IV promise di ottemperare a tale promessa.
Infine nel 1219 Federico II di Svevia, lo “Stupor Mundi”, al momento di essere incoronato Imperatore confermò l’impegno di cedere al Pontefice alcuni territori dell’Italia Settentrionale.
Il grande Papa Innocenzo III riuscì a concretizzare tutte le promesse fatte ai suoi predecessori che erano rimaste fino allora solo sulla carta.
Difatti ottenne la restituzione dei territori dell’ex Esarcato di Ravenna, formato da Bologna e dalla Romagna, e della Marca di Ancona.
Ottenne inoltre i Ducati di Spoleto, Assisi e Sora.
Con tali restituzioni lo Stato della Chiesa fu costituito da cinque Province nelle quali le Città furono distinte in “Mediate subiectae”, amministrate in forma feudale da un Signore ed in “Immediactae subiectae”, invece amministrate in una forma mista: al Signore era attribuita la carica di Capitano del Popolo mentre l’effettivo detentore del Potere Temporale era il Rettore, di nomina pontificia.
Inizialmente furono mantenuti gli Organi Comunali, soprattutto dove questi erano radicati, ma nel1230 Papa Gregorio IX li soppresse sostituendoli con i Rettori che ebbero i pieni poteri.
Infine Papa Innocenzo IV nel 1244 nominò nella persona del cardinale Raniero Capocci un unico suo rappresentante per tutto il territorio dello Stato della Chiesa.
Col dilagare del Partito Ghibellino e a seguito della sconfitta subita nel 1260 a Montaperti dai Guelfi, il Pontefice decise di chiedere l’aiuto di un Principe straniero, Carlo d’Angiò, il quale scese in Italia, e dopo aver sconfitto gli Svevi nel 1266 nella battaglia di Benevento, occupò il Regno di Sicilia, riconoscendone però la sua Sovranità alla Chiesa.