Continua la confusione tra profughi e clandestini
Ecumenismo ideologico
Mentre si affievolisce l’afflusso di profughi dalla guerra ucraina l’invasione migratoria nel nostro Paese dal nord Africa continua alla grande e le polemiche sulle capacità della Ministra degli Interni sono sempre più messe in forte dubbio. Due sono le sponde: i fautori di un ecumenismo ideologico che vorrebbero far traslocare tanti immigrati da riempire tutte le stazioni ferroviarie italiane e coloro che vorrebbero che il fenomeno venisse governato e che cioè fosse soggetto ai limiti ed alle regole che il nostro Paese democraticamente fissa secondo il principio per molti desueto della sovranità nazionale. Poche sono le volte in cui è possibile alimentare un dibattito nel merito, perché la logica non riesce quasi mai a dibattere proficuamente con l’ideologia.
Ma anche nei casi di confronto nel merito del problema migratorio essi si concludono spesso con la fuga dei fautori delle porte aperte che si rifugiano nell’art 10 della Costituzione che, tra l’altro, recita:
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.”
Questo articolo, concepito nel secolo scorso, si limita ad una enunciazione di principio che rimanda alle leggi dello Stato e quindi alla sua evoluzione storica. La sua strumentalizzazione significa rinunciare alla sovranità nazionale ed alla difesa dei confini della Repubblica. Accettarne la lettera significa che, tranne gli abitanti dei Paesi Scandinavi e di alcuni di quelli Anglo-Sassoni ed a democrazia avanzata, tutti gli altri cittadini del mondo hanno il diritto costituzionale di entrare in Italia e di restarvi. Naturalmente questo include i cittadini di buona parte degli Stati Uniti dove si pratica il rito barbaro della pena di morte.
Mi trovo nell’altra sponda di pensiero forse perché ho forti limiti nel concepire oggi l’immigrazione come la risposta all’imperialismo passato ed anche perché, nel caso, col nostro mini-impero ci dovrebbero toccare solo un po’ di Somali e qualche Libico. E poi credo ancora in principi vetusti come quello di Patria, di Stato e la Bandiera non è quel pezzo di stoffa che si sventola quando la nazionale vince gli Europei.
Quindi sono convinto che l’Italia sia la casa degli Italiani e di quelli che, legalmente, vi diventano. Come in ogni casa per entrare si bussa alla porta e si entra dopo che è stata concessa l’autorizzazione ad entrare. La casa in cui entrano tutti anche quelli che si vorrebbero respingere non è un casa è un bordello ed il capofamiglia non è una persona capace di difendere i suoi familiari dalla sopraffazione di chi viola le legge e le regole del vivere legale. Sarebbe troppo semplice cavarsela con queste affermazioni che appaiono solo frutto dell’egoismo di coloro che hanno la pancia piena ma la logica e la storia non possono essere in balia dell’ideologia di coloro che, pur di trasformare il nostro Paese nella patria dei meticci, mettono sotto i piedi la leggi, le regole, la sanità, la sicurezza , l’economia e soprattutto la logica che ne regolano la vita sociale. L’Italia ha aderito a trattati di solidarietà internazionale ai quali deve attenersi ed a cui si attengono la Germania, il Belgio, la Francia, l’Olanda ecc. quando accolgono una piccolissima parte degli immigrati che approdano nel sud d’Italia.
Loro accettano solo i profughi e lo fanno dopo accurate analisi e controlli. Loro hanno norme e leggi a cui attenersi perche sono Stati Sovrani che si sono, come l’Italia, legati a trattati internazionali e che ad essi si attengono. Nonostante i fautori delle porte aperte indulgano nel chiamare profughi gli immigrati clandestini tra i primi e questi ultimi passa la differenza tra chi entra nella mia abitazione dopo aver bussato alla porta ed aver ottenuto il diritto ad entrare e chi vi entra scavalcando il davanzale della finestra per imporre in casa altrui la sua presenza non desiderata. Perché sono certo che, se ne fosse capace, anche la Ministra degli Interni impedirebbe l’ingresso a chi non è autorizzato ad entrare. Quindi i clandestini entrano nel Paese per l’incapacità di impedirlo e quindi per la debolezza delle istituzioni e del governo del Paese. A parte l’ondata di profughi che provengono dall’Ucraina, i profughi da altre provenienze rappresentano attualmente il 3-4% di coloro che approdano in Italia: Sono coloro che i trattati internazionali, che si riferiscono sempre ai “refugee” e non agli “immigrants”, proteggono perché nel loro Paese sono perseguitati o rischiano la vita e quindi sono meritevoli della solidarietà internazionale.
Nel 2021 i migranti giunti in Italia provengono da Tunisia (24%), Bangladesh (14%), Egitto (8%), Costa d’Avorio (8%)e Guinea (5%). Tutti Paesi nei quali non esistono, se non per ragioni particolari e personali, ragioni tali da giustificare la condizioni di rifugiato e quindi non possono godere del diritto previsto nei trattati e non sarebbero nemmeno accettati dagli altri paesi europei nel caso di ridistribuzione. Credo che la triste cronaca internazionale ci può dare un esempio plastico di coloro che debbono godere del diritto di asilo e che possono bussare alla porta del nostro Paese e degli altri paesi con diritto di essere accolti; sono i profughi afgani e quelli ucraini, quelli si che sono profughi: perché essi non migrano, essi fuggono. Essi si che sono rifugiati che sono costretti a lasciare la propria patria, i propri cari, il proprio benessere, per sfuggire ad un destino segnato da aventi inoppugnabili. Solo se e quando questo Paese saprà rispettare la distinzione che è basata sul diritto e sulle norme saprà ritrovare i valori di equilibrio sociale e di legalità necessari per un vero progresso storico e culturale.
Sergio Franchi
L’opposizione ad aiutare l’Ucraina nasconde un sogno incoffessabile
Le armi d’Italia
Non bastano Draghi e la sua affidabilità a far lievitare la nostra credibilità agli occhi dei nostri alleati. Le liti e le diatribe di una politica destrutturata sono solo un segno di quella mancanza di coesione che non dovrebbe mai mancare quando è l’Italia che deve rispondere agli obblighi internazionali. La politica dei cento orticelli viene imposta anche di fronte agli obblighi ed agli impegni da personaggetti senza carattere e con poca storia che pretenderebbero di far valere una propria tesi quando quella tesi non è nemmeno proponibile. La guerra in Ucraina continua, il confronto fra Davide e Golia, dove Davide è quello colpito a tradimento, prosegue solo perché il mondo occidentale non ritiene sia giusto che prevalga la prevaricazione di uno stato contro un altro nel cuore dell’Europa. Stare con Davide non è, però, solo un gesto di altruismo ma appare sempre più come un atto di dissuasione contro il pericoloso atteggiamento neo-imperialista della Federazione Russa. Un atteggiamento che l’Europa ha la sola colpa di aver sottovalutato quando esso era diretto in altre direzioni ma che ora deve contrastare con tutti i mezzi. In clima di pre-campagna elettorale, leader politici di partiti in crisi di consenso stanno sbracciandosi e gesticolando per limitare l’invio di armamenti al governo ucraino che non vuole piegarsi all’arroganza russa. Forse è il caso di fare un po’ di chiarezza: l’Italia fa parte dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico dal 1949 e per 73 anni ha vissuto il più lungo periodo di pace della sua storia; un periodo di pace anche nel clima di guerra fredda che ha visto tumulti e capovolgimenti nel continente europeo. Se l’Italia non fosse stata parte della NATO il Partito Comunista più forte dell’occidente l’avrebbe certamente trasformata in uno dei satelliti dell’impero Sovietico ma Berlinguer, che di quel Comunismo è stato il leader indiscusso, fece un dichiarazione, in una storica intervista al Corriere della Sera, con cui stigmatizzò la politica ed il futuro del PCI “Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico «anche» per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua”. Un patto a cui si aderisce da 73 anni può essere anche oggetto di odio da parte di coloro che si sentono di sostenere Caino e che condannano Abele, ma non può vedere uno dei membri fondatori, un componente dei sette grandi, uno degli stati che più hanno beneficiato, anche in termini di spese per la difesa nazionale, dell’ombrello e della sicurezza che quell’alleanza, rifiutarsi di far fronte ai propri impegni. “Pacta sunt servanda” e ciò anche se Conte o Salvini non sono d’accordo. Ma loro rappresentano il popolo e, per Conte, si hanno anche dubbi in tal senso; ma se questo è il volere del popolo, si metta in discussione quello che fu tanto discusso e mai deciso negli anni 70 e si voti per l’uscita dell’Italia dalla NATO; un sogno di alcuni pensatori italiani e l’aspirazione russa dal dopoguerra ad oggi: dividere la NATO ed indebolire l’Europa. Come spesso accade nella politica italiana si fanno le battaglie su argomenti costruiti per fare battaglie; Nessuno si prende la briga di analizzare nei dettagli per misurarne la consistenza. Si parla, da un paio di mesi, delle armi che l’Italia invia all’Ucraina: “Basta con l’invio di altre armi”, “L’Italia non rivela la lista delle armi”, “Armi e droni dall’Italia all’Ucraina”, “Esclalation di armi italiane per Kiev”, alcuni dei titoli che stanno bombardando l’opinione pubblica alimentati dalla cattiva informazione e da quel pacifismo strisciante, quello di “io non sto ne con Putin e ne con la NATO”, che nasconde sempre un compromesso di cui non andare orgogliosi. Dai dati pubblicati dal Kiel Institute e confermati da rappresentanti del Governo Italiano, appare chiaro che se l’Esercito Ucraino avesse dovuto contare sulle armi inviate dall’Italia, Putin avrebbe insediato a Kiev un altro Lukashenka gia nella settimana successiva a quella dell’inizio dell’invasione. Quando si sente parlare di armi, di riarmo, di eccesso di armi, di forte impegno italiano a fianco del popolo ucraino è meglio sapere che l’apporto dell’Italia, sia per tipologia di armamento e sia per suo valore economico, è del tutto insignificante. Al mese di maggio del 2022 il contributo dell’Italia, in termini di armamenti, è di un decimo di quello della Polonia e della Germania, un quindicesimo di quello del Regno Unito, un quinto di quello della Norvegia ed anche la metà di quello dell’Estonia, una piccola repubblica di poco piu di un milione di abitanti. I pacifisti di vecchia e nuova data che popolano i nostri talkshow possono trasformare le frottole in armi nucleari ma i legislatori non possono farlo: loro devono guardare ai fatti, loro devono analizzarli e farli analizzare, loro decidono le sorti della politica nazionale. Loro non possono asfissiare il popolo italiano con il fatto che l’Italia si stia svenando per inviare armi all’Ucraina e che smettendo di farlo l’Ucraina sarebbe costretta a negoziare. L’Ucraina decide del proprio destino e ne Salvini e ne Conte possono decidere che cosa deve fare il popolo ucraino; aiutare quel paese a difendere la propria libertà è, innanzi tutto, un obbligo morale. La settima potenza del mondo economico partecipa agli aiuti di armamenti all’Ucraina in modo decisamente modesto e con armamenti, molti dei quali, non rappresentano certamente esempi di alta tecnologia. Se l’Italia dovesse smettere di contribuire con l’invio di armi non se accorgerebbe nessuno: i prezzi dell’energia non cambierebbero, l’inflazione resterebbe alta e la retorica delle famiglie che non arrivano alla fine del mese resterebbe valida per altre ragioni...quelle vere. Con buona pace dei contatori di frottole. Ma sarebbe un fatto gravissimo sul piano politico e della credibilità internazionale del nostro Paese; costituirebbe una lesione significativa del fronte democratico occidentale; sarebbe l’auspicata rottura dell’anello da sempre debole ed un momento di forte soddisfazione per chi vede in Putin e nella sua politica la via vincente della futura politica europea. Se poi è questo che sperano i pacifisti della domenica che siedono in Parlamento, con pacchi di vecchie lettere d’amore per Putin e magliette dismesse del dittatore che ha scatenato una guerra fratricida, sono certo che saranno gli italiani a far loro capire che l’Italia è un Paese occidentale, di cultura occidentale ed europea che non ha niente da dividere con l’autarchia neo-imperialista. Loro e tutti coloro che hanno abbracciato la causa dell’aggressore possono farlo liberamente in questo Paese proprio per quella libertà democratica che la Russia non ha mai conosciuto nella sua storia e che oggi non riesce nemmeno a concepire. Per gli Italiani la Russia ha aggredito l’Ucraina con un’azione di guerra fratricida: non sta attuando una “operazione speciale” per liberare il mondo dal Nazismo.
Sergio Franchi