OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Politicamente SCORRETTO
(per una volta)
di Giancarlo Marchesini
So perfettamente che mi sto per attirare condanne, critiche e anatemi assortiti, ma per una volta voglio dire la mia, a modo mio.
Negro è politicamente scorretto, mongoloide è politicamente scorretto, frocio è politicamente scorretto. Va bene, evitiamo queste parole, ma che hanno a che fare queste decisioni con la politica? Secondo il venerabile Vocabolario Treccani, la politica è «la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la Costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato…». Che diamine c’entrano i negri e i mongoloidi, per non parlare dei froci, con l’arte di governare, la costituzione e l’amministrazione? Provate a cercare sul Venerabile (il Treccani intendo) la parola “politicamente” e sarete rimandati all’espressione INGLESE politically correct, come dire che “politicamente corretto” non è una buona traduzione, in linguistica si direbbe un calco.
Seguiamo il cammino inverso e chiediamo a un italiano che cosa vede nella politica. Dopo una serie di invettive di rito, ci parlerà di “mani sporche”, di voti di scambio, di corruzione, peculato e via discorrendo. La sfiducia nei partiti, nei loro leader, nella rappresentazione dei nostri interessi è talmente radicata da fare di tutt’erba un fascio.
Se per avventura si profilasse all’orizzonte un uomo (o una donna, non dimentichiamo le quote rosa) onesto/a, senza scheletri nell’armadio, nessuno ci crederebbe e tutti ci direbbero che al confronto l’apostolo Tommaso era un credulone.
E se, d’altra parte, provassimo a tradurre meglio questo “politicamente” (civilmente, intellettualmente, umanamente, ideologicamente) la nostra soluzione non attecchirebbe mai. Il “politicamente” è ormai acquisito (incancrenito?) nel nostro lessico e non riusciremo più a soppiantarlo.
Ma il suo solo uso mi puzza di ipocrisia. Ricordo che da bambino quando osavo puntare il dito (con immediate reprimende dei miei genitori) su uno sciancato, un gobbo, un down o uno storpio, mi dicevano «non stare a guardare, è un infelice». E questa parola racchiudeva partecipazione, prima che commiserazione. Ma, ormai, chi dice più infelice per parlare di un portatore di handicap? Altra ipocrisia: evitiamo di dire handicappato, che forse suona troppo esplicito, e lo edulcoriamo con “portatore” (per me un portatore resta un indigeno che trasporta nella giungla le masserizie del lord inglese, o il GungaDin di Kipling).
Ripercorriamo le tappe che ci hanno portato a dire nero. In Sudafrica – la patria dell’apartheid – qualcuno si rese conto che nigger era “politicamente scorretto” e venne introdotto il termine coloured (di colore). Poi qualcun altro pensò di chiedere ai niggers come si sarebbero definiti loro stessi. E loro dissero: black. così nacque in tutte le altre lingue la parola nero, noir, Schwarzer, ecc.
Due aneddoti istruttivi: la prima versione (1939) del capolavoro di Agatha Christie era intitolata Ten little Niggers (Dieci piccoli negri). Quando il dramma venne rappresentato a Broadway (1944) venne scelto il titolo Ten little Indians (Dieci piccoli indiani) come se gli amerindi non fossero mai stati soggetti a discriminazione, repressione o emarginazione!!
Un produttore di vini italiani vantava un pregiato marchio chiamato il Gallo Nero. Volendo proporre il suo prodotto sul mercato americano aveva scelto una sua traduzione (opera del figlioletto che frequentava le medie): The Black Cock (non vi sto a dire cosa significa questa parola per un americano, ma potete immaginarlo).
Con lancinante pragmatismo gli anglo-americani definiscono dementia (tout court, senza accenno alla senilità) il declino dei processi psichici che si verifica in età avanzata. E siccome medici e ricercatori non hanno bisogno di eufemismi, nessuno considera la “demenza” come un’espressione politicamente scorretta!! Ma, attenzione: ultimamente il termine scientifico di idiot savant è stato sostituito dal puro e semplice savant, anzi si parla ormai di “Sindrome del savant”. Ipocrisia? Senso della giustizia?
Se un giorno mi restasse abbastanza lucidità per riscontrare su me stesso i sintomi dell’Alzheimer cercherei la soluzione del suicidio assistito, sempre che questo termine sia politicamente corretto!
SCRITTURA
AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
QUERELLE DES FEMMES
La presunta colpa di Eva
marchia il genere femminile
di Ivana Moser
I MITICI RACCONTI BIBLICI DELLA CREAZIONE
Nel primo racconto della “Genesi” il genere umano è definito l’adam, che designa sia l’uomo che la donna (maschio e femmina lo creò)
Nel secondo, quello più significativo ai fini della subalternità femminile, si trova invece la famosa scena della “costola” presa da Adamo per modellare Eva e i vari passaggi che condurranno al peccato originale.
LA TRADIZIONE GIUDAICA CRISTIANA e L’EBRAISMO non sviluppano alcuna teoria sul peccato originale. La femminilità non conosce in questo senso il “marchio di infamia”.
IL CRISTIANESIMO
È con il cristianesimo che la creazione di Eva e il suo protagonismo nel peccato offrono materiale per giustificare la subordinazione della donna: l’inferiorità sotto l’aspetto fisico (tratta dall’uomo), quello morale (induce al peccato) e, di conseguenza, quello giuridico (bisognosa della tutela di un uomo).
San Paolo per primo afferma la subordinazione della donna, rifacendosi proprio all’atto della creazione.
I Padri della Chiesa dopo di lui sanciscono il ruolo subordinato della donna, la sua “religiosamente naturale” sottomissione all’uomo.
Il MEDIOEVO
Questa età, contraddistinta dal pensiero aristotelico circa l’inferiorità spirituale e intellettuale femminile, riconferma la tesi sulla responsabilità di Eva del peccato originale.
La donna, impura per natura, viene relegata ai margini della vita della Chiesa e non solo.
In verità in quella sorta di “oscurantismo” e preclusione agiscono importanti figure di donne all’interno della chiesa: suore di clausura, mistiche e badesse che svolgono un’alta funzione spirituale e perfino politica.
Ildegarda Di Bingen (1098 - 1179), mistica e teologa tedesca, è una delle figure più significative di quel periodo e della lunga storia delle rivendicazioni femminili. Ildegarda valorizza la femminilità, partendo proprio dalla difesa di Eva e rovesciando le argomentazioni a svantaggio della donna.
La mistica salva la prima donna e le conferisce dignità e positività, poiché questa non è stata creata dal fango ma dalla carne già umana e innalza inoltre Eva al livello di Maria, madre del Salvatore. I pilastri della storia umana sono dunque, per Ildegarda, due donne e la donna è al centro del Creato, sua ragione e sua salvezza.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Piuttosto arduo il compito delle donne colte di quel tempo: per riscattare il sesso femminile, sostenere il valore e la dignità delle donne, liberarle dal cono d’ombra di peccato e negatività che le attorniava, era necessario scagionare Eva.
Christine De Pizan (1365 - 1430) è la prima a prendere le difese di Eva. Dopo un approccio semplicistico che definisce il gesto di Eva dettato da ingenuità priva di malizia, Christine approfondisce la questione, riprendendo il pensiero di Ildegarda circa la materia di origine di Adamo e Eva, vile fango e corpo dell’uomo, e sottolineando il principio di uguaglianza: […] plasmata Eva ad immagine di Dio, dotata della stessa anima buona e nobile di Adamo, si poteva escludere il marchio genesiaco della maledizione divina. Nel paradisiaco giardino dell’Eden, dunque, non era stata creata l’inferiorità femminile […].
Isotta Nogarola (1418 -1466) si assume l’onere di disputare in pubblico con Ludovico Foscarini (podestà di Verona) la questione su chi avesse più colpa tra Adamo e Eva. In un primo approccio alla questione, Isotta evoca la fragilitas di Eva, l’ingenuità di Christine de Pizan, ma solo per far emergere la corresponsabilità se non l’unicità della colpa di Adamo, […] a cui spettava il maggior giudizioe senno. Il gesto di Eva viene poi da Isotta motivato non in ragione di un atto di disubbidienza, ma per vivo amore del sapere e della conoscenza.
Moderata Fonte (1555 - 1592:
[gli uomini] sono nati inanzi di noi non per dignità loro, ma per dignità nostra: poiché essi nacquero nell’insensata terra, perché noi nascessimo della viva carne […] Prima si gettano le fondamenta in terra di niun valore, o vaghezza, e sopra vi s’ergono poi le sontuose fabriche. [Eva] a buon fine desiderosa d’intender la scienza del ben e del male si lasciò trasportar a gustar del vietato frutto. Ma Adam non per ciò mosso, ma per avidità e per gola […].
Lucrezia Marinella (1571 - 1653):
[…] le prime cose son generate per cagion delle ultime […] si potrebbe dire, che l’huomo fosse oltre altri fini dalla divina Bontà prodotto per generar del corpo suo la donna, ricercando la nobiltà di un tal sesso materia più degna, che non si ricercò all’huomo nella sua creazione. Da Eva dipendeva, secondo Lucrezia, l’essere di tutte le cose del mondo, - […] compreso il poco cortese maschio a cui lida l’anima e la vita […], pensiero che smentiva l’idea di Aristotele e di quelli che affermavano che l’anima fosse requisito solo maschile.
Suor Arcangela Tarabotti (1604 - 1652):
Non t’arrogar maggioranza; poichesicome da una bell’ opera se ne cava una più perfetta, cosi essendo questa donna cavata dalla prima bell’ opera (creazione di Adamo)della divina mano, viene ad esser di maggior eccellenza, gratia, bellezza, che tù non sei […] Tanto la femina, quanto il maschio nacquero liberi, portando seco, come doni pretiosi di Dio, l’inestimabile thesoro del libero arbitrio […], intendendo che se Eva aveva peccato, ciò era dovuto alla sua libertà di pensare e di decidere, a differenza delle donne dell’ epoca di Tarabotti.