Dal libro “Pomezia Origini Genti e Personaggi” scritto dal professor Antonio Sessa ed edito dalla Angelo Capriotti Editore nel 1990
I preparativi per la fondazione di Pomezia
Il 25 aprile prossimo Pomezia festeggerà gli 83 anni della sua fondazione avvenuta appunto il 25 aprile del 1938. Ecco la cronaca dei preparativi che precedettero la cerimonia della fondazione della città.
Nel 1938, all’inizio della primavera - ricorda il friulano Romano Urbani - a Littoria, dove allora risiedevo, ebbi una comunicazione dalla mia impresa (Costruzione Vella e Mercuri, con sede a Roma in Corso Italia n. 43) per andare a iniziare i lavori preliminari per la fondazione di Pomezia. Raggiunsi il capo cantiere, signor Domenico Milone a Roma, quartiere Monte Sacro, e da lì raggiungemmo con una motocicletta la zona prescelta; prendemmo subito i primi contatti con i funzionari dell’Opera Nazionale Combattenti i quali ci diedero le istruzioni circa il luogo dove sarebbe sorta la futura città, nonché le disposizioni circa l’allestimento di locali per la direzione dei lavori. Non vi era nulla; così una grossa stalla venne trasformata in uffici e locali di soggiorno. Nei primi giorni mi sistemai, insieme a un funzionario dell’O.N.C., nella casetta di un boaro; la sera andavamo a mangiare a Pratica di Mare. Coprivamo il percorso a piedi, fin tanto che non andai a prendere la mia bicicletta a Littoria. Per l’inizio dei lavori gli operai furono ingaggiati da un incaricato, nella zona di Albano e dintorni; venivano a lavorare tutti in bicicletta. Per i dipendenti delle ditte appaltatrici, provenienti da altre regioni, costruimmo un buon accampamento. Finita la sistemazione degli uffici, incominciammo a innalzare le impalcature e a preparare tutto ciò che era previsto per la cerimonia della posa della prima pietra. Facemmo uno scavo nel terreno, a una profondità di circa 3,50 metri, e vicino costruimmo una baracca foderata esternamente con tela di juta per collocare la pianta della futura città di Pomezia. Elevammo inoltre due palchi per le autorità, a due metri sopra il terreno; di fronte agli stessi erigemmo due torri di una decina di metri di altezza con scheletro di legno rivestito di rami verdi. Le torri rappresentavano i fasci littori, naturalmente con la scure. Verso i primi di aprile ordinai, in un negozio di marmi vicino Roma, la pietra nella quale si doveva praticare un buco per introdurre il tubo di piombo con dentro la pergamena. La direzione dei lavori mi aveva fornito la misura della pietra e la sezione del buco. Il giorno della posa della prima pietra, quando portarono il cilindro, mi accorsi che quest’ultimo non entrava nel foro del blocco di travertino; così, dovetti far venire d’urgenza uno scalpellino dalla fabbrica per allargare il buco. Nella mia qualità di assistente edile dell’impresa, oltre alla preparazione degli uffici dell’O.N.C., ero il responsabile di tutto l’allestimento della struttura per la cerimonia.
I controlli su come procedeva il lavoro erano continui; ma c’era, o meglio c’era stato, dell’altro. La polizia segreta aveva preso, una quindicina di giorni prima, informazioni su me e sui miei dipendenti nei rispettivi paesi di origine. Il giorno precedente la cerimonia, prima di coprire il buco con delle tavole, la polizia fece varie perforazioni del terreno con un grosso stile, lungo 70 cm. Il mattino del giorno della cerimonia giunsero i carabinieri a prelevare due operai e li tennero tutta la giornata nella caserma di Pratica. Il sospetto, per questi due, era dovuto al fatto che erano stati molti anni a lavorare in Francia, nazione allora considerata un covo di antifascisti.