8 settembre 1943, dal “gemellaggio” con Frascati lo spunto per ricordare l’insurrezione nettunese il prossimo anno
«NON FATECI PASSARE PER EROI», SI RACCOMANDO’ SILVIO PIOLA
L’ 8 settembre del 1943, il giorno in cui decine di quadrimotori statunitensi lanciarono sulla città di Frascati centinaia di bombe procurando la morte di oltre seicento civili e settecento soldati tedeschi, è stato commemorato alla presenza di autorità del governo e delle città circondariali. Ospite d’onore alla cerimonia la città di Nettuno, rappresentata dal Commissario straordinario dott. Bruno Strati. Si legge nel comunicato del comune di Nettuno: “…per la storia comune, entrambe teatro di eventi importanti…la città tuscolana, infatti, subì il pesante bombardamento, proprio nel giorno dell’annuncio dell’armistizio e Nettuno, proprio a partire da quella data, cominciò ad insorgere contro il nazi-fascismo”.
Infatti nella motivazione del conferimento della Medaglia al Valor Civile, leggiamo: “Città strategicamente fondamentale per il comando tedesco, impegnato a bloccare lo sbarco degli anglo-americani, fu sottoposta, all’indomani dell’armistizio a dure evacuazioni e a feroci rastrellamenti e rappresaglie, dando prova di numerosi episodi di resistenza all’oppressore. Oggetto di violentissimi bombardamenti subiva numerosissime vittime civili e la quasi totale distruzione dell’abitato e del patrimonio agrario. I sopravvissuti seppero resistere, con fierissimo contegno, alle più dure sofferenze della guerra ed affrontare, col ritorno alla pace, la difficile opera di ricostruzione morale e materiale”.
Settantanove anni dopo, in una situazione critica della Repubblica Italiana, colpita da scandali e tracolli che le impongono di rifondarsi con mani pulite, la rievocazione di quei disastrosi giorni di settembre in cui parve che il bel paese s’inabissasse per sempre come una barca senza timone e senza remi, è dettata da due doveri: quello di onorare la memoria di chi sacrificò la propria vita alla salvezza di tutti e quello di trarne il pungolo per un impegno e una condizionemorale che restituiscano certezze al nostro futuro di nazione, anche se si tratta di accostare alle vergogne del tempo di guerra le vergogne del tempo di pace.
L’8 settembre 1943, con l’armistizio firmato a Cassibile all’insaputa dei tedeschi, con la fuga da Roma del re Vittorio Emanuele e del maresciallo Badoglio, con gli italianiabbandonati a sestessi, divisi, costretti a riprendere le armi e combattersi al fianco degli eserciti stranieri, fu appunto la maggiore vergogna della nostra storia, oltre la logica conclusione della guerra scatenata dal nazismo e dal fascismo. Di qui, tra le varie iniziative, più che la rimozione delle ultime scorie della guerra civile, che continua ad essere materia di stanche polemiche, deve valere per noi l’esempio dei coraggiosi che nell’Italia abbandonata a se stessa, mentre i più di ritiravano, dopo aver esultato all’annuncio dell’armistizio che aveva dato l’illusione della guerra finita, non persero la loro dignità di fronte all’occupazione tedesca.
Nell’elenco di quei coraggiosi, che prima che si organizzassero la lotta clandestina e le formazioni partigiane, comprendeva i Granatieri di Sardegna e i civili raccoltisi a Porta S. Paolo nel tentativo di difendere Roma, i Martiri di Cefalonia, gli scugnizzi delle quattro giornate di Napoli, hanno trovato posto anche i giovani di Anzio e Nettuno che uniti a un gruppo di militari, quasi interamente formato da artiglieri della Caserma Piave, ai quali si aggiunse un distaccamento di fanti proveniente da Fogliano, insorsero contro i tedeschi. Le testimonianze raccolte molti anni fa ci permettono una precisa ricostruzione della rivolta che a Nettuno ebbe inizio il 9 settembre e ad Anzio il giorno dopo. La differente data dipese dall’azione dei tedeschi, che non del tutto impreparati all’armistizio italiano con gli anglo-americani, sapevano come e dove mettere le mani, e cominciarono da Nettuno che era sede del presidio militare, al centro d’una struttura in cui si raggruppavano la Caserma Piave, la Caserma Donati e la Caserma Tofano, quest’ultima all’interno del poligono di tiro di Nettuno.
Alle cinque del mattino, il reggimento d’artiglieria di stanza alla Caserma Piave ebbe la sveglia da un reparto tedesco che con le mitragliatrici piazzate sulle terrazze e sui tetti delle case circostanti gli intimavano la resa. Due ore più tardi, a piazza Mazzini, puntato un cannoncino anti-carro contro il palazzo del presidio, altri tedeschi gridavano da un megafono agli ufficiali italiani di venire fuori con le braccia alzate. Gli rispose il colonnello Bruno Toscano: “Datemi il tempo di far uscire le donne e i bambini, e poi fate quello che volete”. Uscite le donne con i bambini, i tedeschi non esitarono a far fuoco: tre colpi che centrarono il primo piano del palazzo con un rimbombo che chiamò a raccolta i nettunesi, per lo più ragazzi, subito sospinti da uno dei personaggi più noti: Giuseppe Ottolini, ad armarsi nella vicina Caserma Donati abbandonata dai militari. Altri nettunesi, appena tornati a casa dai vari fronti di guerra, Costantino Cestarelli, Mario Trippa e soprattutto il tenente dei carristi Angelo Lauri, ancora in divisa, si misero alla testa dei ragazzi addestrandoli alla svelta all’uso delle armi. Nell’eccitazione i ragazzi di piazza Mazzini, tra i quali l’allora diciassettenne Marcello Simeoni, furono i primi a sparare, dovendo opporsi anche al saccheggio dei negozi. Le raffiche d’un mitragliatore, dall’alto del terrazzo della Caserma dei Carabinieri di via S. Maria, mandarono all’aria una motocarrozzetta con due tedeschi. Dalla insurrezione spontanea, e quindi l’improvvisazione, si passò in fretta e furia a un meno confuso piano strategico, grazie alla partecipazione degli artiglieri, ribellatisi nel frattempo all’ordine di resa del loro comandante e riusciti a cacciare i tedeschi dalla Caserma Piave, da dove alla 10,30 il sergente Carlo Colombi, in compagnia del sergente Puzzi, prese la strada di Anzio. Gli si può assegnare nell’insurrezione di Anzio, il ruolo di stratega che ebbe a Nettuno Lauri. Con un vecchio cannone della I guerra mondiale adibito alla difesa del porto, verso le ore 11 del 10 settembre, presero di mira un trattore per metà cingolato con sopra una decina di soldati tedeschi. Sbalzati a terra a raccogliere i feriti, alcuni di loro salirono sul campanile della chiesa e agirono da micidiali cecchini. Per due giorni, il porto di Anzio rimase in mano degli anziati, come Nettuno si trovava in mano ai nettunesi che, col sostegno di un carro armato M13 scovato al poligono e messo in moto da Lauri, si erano barricati al castello Sangallo, costringendo i tedeschi ad andarsene. Sulle barricate spiccava la figura del più ammirato calciatore dell’epoca, Silvio Piola. Appassionato di caccia e pesca, giungeva spesso ad Anzio e Nettuno, e non si tirò indietro al momento del fuoco. Si trattava però, nell’Italia lasciata in balia d’una spietata macchina da guerra, del coraggio degli inermi destinato ad esaurirsi presto.
Vi fu un’incursione di stukas che bombardarono viale Mencacci. Mentre la colonna dei camion dell’esercito tedesco, dopo aver mostrato di ritirarsi a Campoleone, tornava indietro più agguerrita. Anzio e Nettuno si arresero tra la sera dell’11 e il mattino del 12 settembre, per effetto pure di trattative in cui i tedeschi promisero che non ci sarebbero state rappresaglie contro la popolazione, né contro i militari.
Le rappresaglie, invece, furono tante. Sono queste le pagine più buie, quelle della caccia all’uomo, delle deportazioni, dei colpi alla nuca, vanno però rilette con la consapevolezza delle responsabilità e soprattutto con i sentimenti che nel dopoguerra portarono all’Europa Unita.
Silvano Casaldi