L’ultima pubblicazione di Manuela Mazzola
Parole Sospese
Prefazione di Piergiorgio Mori – Il Convivio Editore, 2021, pagg. 46, € 8,00
Con Parole Sospese sono quattro le opere che Manuela Mazzola ha pubblicato nello spazio di due anni: tre di versi e un saggio sul pittore Enzo Andreoli e, dato i tempi, ci vuole veramente costanza e coraggio per tenere un simile ritmo, considerando pure che Lei ha una bella famiglia cui badare e che collabora con una radio privata e con almeno sei/sette periodici e riviste, attraverso recensioni di libri ed altro. Attività la sua, allora, che non può non suscitare ammirazione.
Parole Sospese è un poemetto composto di 30 brevissime lasse - giacché la narrazione si riduce all’essenziale -, che suggerisce più che descrive, e in lampi di uno, due versi spesso rende un quadro completo: “Nemmeno una lacrima/hai potuto versare”; “Sei venuta al mondo sola”; “La sirena suonava,/tua madre correva/e tu sulla scalinata,/salivi un gradino alla volta”.
Parole Sospese, perché non dette al momento opportuno; perché avrebbero potuto essere dette ma ne è mancata l’occasione; perché il vortice della vita ha deciso diversamente.
Ora è la poetessa che le pone in bocca ai protagonisti, che li fa parlare attraverso la propria voce e le proprie riflessioni. È la storia di una donna che si è dovuta costruire la vita senza il concreto sostegno del padre, attingendo alla realtà del quotidiano, giorno dietro giorno, indovinando, sbagliando, perché ancora piccola e inconsapevole di “cosa fosse giusto/e cosa sbagliato”.
Il doloroso quadro dell’uomo, inchiodato sull’”amaro fronte”, consapevole “che/non sarebbe più tornato”, la bambina lo ricava dalle lettere che lui scriveva e che lei legge e rilegge alla ricerca di “una ragione/per spiegare l’assenza” e avendo nella mente, indelebile, il fotogramma di quando ha visto “per la prima/e unica volta/il viso del padre”. Un simile quadro scioccante lo abbiamo in Luigi De Rosa, quando, fanciullo, ha dovuto assistere all’allontanarsi e per sempre della madre. Ci si sente soffocare, scrive la Mazzola, “Quando la voce/fugge tra le labbra,/è come vivere/una vita incompiuta”.
Il poemetto lo si può dividere in tre parti.
Nella prima, fino all’incirca il sedicesimo brano, abbiamo la madre bambina smarrita; poi la figlia che si specchia nella madre e viceversa (“Mi guardavi/andare via/dietro recinsioni/di filo spinato./Come al solito/non dicevi nulla./Allora alzavo la testa/e ti intravedevo/nascosta tra i vetri/di una finestra/aperta appena”) e, infine, la fusione delle due in un’unica concretezza o in un unico fantasma.
Il tutto come in una sequenza filmica: “Il flusso della memoria/corre veloce”.
Parole Sospese è il primo verso del decimo brano e sono quelle che “bruciano nella gola/e come carta abrasiva/grattano via/la voglia di parlare” e si sa, è come vivere una vita di solitudine e di stenti e la volta che sembrerebbe, finalmente, poter assaporare un momento di quiete e di serenità, ecco arrivare il coronavirus che costringe a una nuova e più dura segregazione. La poetessa si domanda: “Qual è allora il senso della vita?”.
La risposta non c’è, è sospesa. “Se quelle parole,/rimaste sospese,/fossero state pronunciate,/magari, oggi,/ti sentiresti più leggera./Probabilmente/gli alberi di mimosa/sarebbero ancora in fiore/e la rosa bianca/non sarebbe morta./Forse”. La figlia si vede e si sente giustamente come il prolungamento della madre: “Ti porto con me/come un fardello,/come un prolungamento./Ti porto con me/come una valigia,/in cui posso trovare/ogni cosa./Ti porto con me/come un libro,/al bisogno/ne saggio una pagina”.
Domenico Defelice
Intervista all’ideatore del sito facebook che pubblica foto storiche del territorio
Gente di Pomezia
In questo numero del Pontino voglio parlare di un’altra pagina facebook che ha attirato la mia attenzione. Mi riferisco a “Gente di Pomezia” che ha come amministratore Franco Zanotti. “Gente di Pomezia” fin dalla sua nascita, soprattutto attraverso una importante documentazione fotografica, racconta la storia della città fin dalla sua fondazione. Un importante ed appassionato lavoro che il buon Franco, anche quando parla di temi attuali, svolge con educazione e nel rispetto di tutti.
- Franco mi racconta la sua storia personale?
“Sono nato a Pomezia nel 1955 a casa, come si usava una volta, infanzia dura e triste di famiglia numerosa a tre anni in collegio per 6 anni, rimasto orfano a 10 anni, finite le elementari fui mandato a lavorare come apprendista barbiere. Era il 1966 da Guido Di Michele uno dei primi barbieri di Pomezia. Prendevo 250 lire a settimana. Mille lire al mese. Il paradosso era che abitando fuori Pomezia a circa 2 km e mezzo spendevo 420 lire di autobus e allora spesso andavo a piedi a casa. Negli anni in quel locale ho avuto modo di conoscere tante persone che mi sono rimaste impresse. Ne cito alcune senza offendere gli altri: Monsign. Pintonello, Caponetti, Panaccione, Don Cocuzza, Frank Coppola, Cornalba Cesare, Remigio, Castigliani e tanti altri ma uno in particolare era unico, il Segretario Comunale signor Frosoni.
Aneddoti ne ho tanti e sono stati per me un buon bagaglio culturale. Un pensiero a mio Zio Giuseppe Padula che essendo cognato di Guido lo supplicò di prendermi a lavorare. Passarono gli anni e Pomezia cresceva, appena patentato andai nel 1974 a lavorare a Torvajanica da un’altra bella persona epocale il primo barbiere Gino Di Biagio di cui ho un bel ricordo. Ho lavorato da Gino per 12 anni e ho visto Torvajanica crescere. Poi nel 1986 mi sono messo in proprio fino a marzo 2020 poi la pandemia è varie vicissitudini mi hanno costretto a chiudere”.
- Come mai ha avuto l’idea di creare la pagina Facebook “Gente di Pomezia??
“Creare una pagina Facebook è nata per incomprensioni con un altro social nato qualche anno prima, inizialmente cominciai a postare foto d’epoca di cui ne avevo molte poi decisi di uscire dal gruppo e creai Gente di Pomezia”.
- Perché il titolo “Gente di Pomezia” ?
“Scelsi questo nome perché essendo pometino conoscevo molte persone e spesso racconto storie vere legate a varie persone”.
- Come riesce ad avere quelle foto, alcune veramente molto rare?
“Le innumerevoli foto che ho in parte le ho prese dai vari libri di Pietro Bisesti, Antonio Sessa, Mario Bianchi e scambi con un mio caro amico Domenico Mellone. Poi tante foto me le hanno mandate altre persone, elencarle sarebbe troppo lunga. Ciò non toglie che tante ne avevo io e malauguratamente le prestai a persone comunali era il periodo di De Fusco non mi sono più tornate indietro, peccato erano cartoline originali. Mi dissero che servivano per un libro”.
- Lei è uno che fa un lavoro pregevole di memoria storica. Ha mai pensato di utilizzare tutta la sua enorme documentazione per una pubblicazione?
“Pensare di creare un qualcosa di mio non l’ho ritenuta giusta anche perché le foto non erano tutte mie e sinceramente non mi sembrava una cosa giusta.
Da sempre però ho cercato con le foto e con le storie di raccontare una Pomezia che fa parte di un tempo che non c’è più ma che è viva nei miei ricordi. Ho più di 9.000 iscritti e spesso vengo fermato e mi fanno i complimenti, cosa che a me fa piacere. Cerco di tenere lontano il calcio e la politica, li lascio ad altri social. Ogni tanto mi scontro con qualcuno che a tutti i costi ce l’ha con chi governa ma anche se vivo la politica, cerco di tenerla fuori. Altrimenti creerei un social inerente al discorso. Ringrazio lei professor Sessa, di avermi dato questa opportunità, approfitto di questo spazio e faccio i migliori auguri di buon anno a tutti che mi seguono e non. Grazie”.
A.S.