Il Litorale • 14/2019
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Pag. 34 Il Litorale ANNO XIX - N° 14 - 1/31 AGOSTO 2019
S i m p o s i o
LIBERO INCONTRO ARTISTICO CULTURALE
ANZIO
E-mail: ilsimposio@alice.it • aa amici del simposio di Lavinio
Giuliana Bellorini
è l’organizzatrice
del salotto sede del Simposio
Siamo ancora vicini al nostro amico. Vogliamo accompagnarlo con il nostro affetto
sul percorso del suo ultimo viaggio, verso l’approdo definitivo. Paradiso o Illumina-
zione ? Non lo possiamo sapere … forse egli è già alla ricerca di una nuova vita per
tornare tra di noi. Chissà.
Nel pensiero ZEN,
«ensò» è un cerchio
che esprime il momen-
to in cui la mente libe-
ra il corpo di creare.
Simbolizza l’illumina-
zione interiore, la for-
za, l’eleganza. L’Uni-
verso e il vuoto assolu-
to
Una storia vera, lunga eppure troppo breve con un epilogo.
Una storia affascinante, coinvolgente, assoluta. Una storia con momenti bassi utili a
sottolineare l'aura estasiata dei momenti migliori.
Mesi or sono, ma forse son passati secoli, un uomo incontrò una donna.
Ebbero un breve colloquio nella casa di lei. Inconsapevoli si trasfusero l'uno nell'al-
tra. Il profondo piacevole turbamento dell'uomo per la continua immagine di lei negli
occhi. S'incontrarono di nuovo. Il sapere del nuovo incontro elettrizzò l'uomo. I piedi
fremevano, ardevano nell'attesa di avviarsi. Un fremito di gradevole ansia adolescen-
ziale agitava il vecchio corpo. Le sensazioni di una gioventù lontana.
Un terzo incontro e dopo breve colloquio i due si baciano. Un unico bacio. Le mani si
toccano. Un tocco leggero. Si salutano per tornare indietro ma indietro non torneran-
no. Il fuoco sacro é acceso.
L'uomo s'avvia a piedi verso casa, vorrebbe urlare nel silenzio che lo circonda, vor-
rebbe annunciare la sua pienezza, la sua felicità. Geloso del suo tesoro tace. Uno scri-
gno dorato nel quale deporre la sua sensazione, il suo stato d'animo, la sua felicità, il
suo sapere d'essere. Sdraiato, gli occhi aperti nel buio della notte. Le immagini di lei.
Le immagini del film della sua vita scorrono.
ALLA RICERCA DI SÈ
LA POESIA DELLA MEDITAZIONE
di Alessandro Evangelisti
ATTESA QUIETA E TRANQUILLA
IN UN GIORNO D’ESTATE (ore 10,00)
ALESSANDRO ED IO
La responsabilità familiare dell'adolescenza zoppa. La necessità di lavorare per stu-
diare. Il desiderio di vivere l'università con lo studio, la goliardia, gli amici ma a mol-
to deve rinunciare. E tutto corre veloce, troppo veloce. Il matrimonio moralmente im-
posto. La necessità di dare benessere e sicurezza economica. E tutto é veloce, troppo
veloce. Un giorno l'alternativa. Essere un viaggiatore. Anni son passati. Nello spec-
chio africano l'uomo guarda il veloce pennello che insapona il viso. Poco dopo l'alba
il sole é un enorme disco non incandescente: «Guardami! Io non corro. Tutti i giorni
lo stesso percorso. Tutti i giorni illumino la gente e le sue venture ma non corro. Do-
ve vuoi arrivare?»
Il pennello rallenta ed accarezza, delicato, la pelle. Senza fretta il rasoio scorre. E il
sole continua:
«Correre solo? Per arrivare dove?»
L'astio, l'acredine dell'uomo verso il mondo si attenua.
Incrocia altre vite. Tutte ricordano un passato di "fretta", tutte desiderose di imporre
un "existere", tutte vogliose di un presente-futuro senza pause.
L'uomo gioca, ora, con bambini negri dal linguaggio sconosciuto. Un gioco di quando
lui era bambino, un gioco quasi dimenticato. Tra gli obblighi della "fretta" anche il di-
menticare i momenti piacevoli, ingenui, felici dell'infanzia: potrebbero corrompere,
distrarre.
L'uomo viaggia, conosce uomini e donne. Tanti amici, tante amiche, tanta solitudine.
Chiuso nella sua roccaforte non deve spiegazioni, guarda i film del suo passato, vive
tranquillo (pensa lui) il proprio presente. I progetti futuri sono ancorati ad occasioni
da prendere o lasciare. È un sì, é un no, all'istante. L'indipendenza della beata solitu-
dine. Scelte rapide, impulsive di quell'io desideroso di recuperare il passato, di ri-
spondere solo a se stesso.
La roccaforte si arricchisce di oggetti che raccontano il passato, che sono la rivalsa
contro il passato, che dicono quello che poteva essere e non é stato, che illustrano la
vita, il palcoscenico che avrebbe potuto battere e sul quale è salito troppo tardi.
A nulla serve il rammarico. Obbligo vero é accettare quello che si é.
Quando si accorse di essere nato poteva sembrare tardi a qualcuno. No, non é così.
La vita é una cosa meravigliosa che può durare un giorno, un mese, un anno e vale vi-
verla per quanto offerto.
Rimaneva un ultimo impegno. Uscire dalla roccaforte. Uscire e chiudere il pesante
portone. Sforzo immane, enorme. Deve sgorgare il desiderio di chiudere. L'età non
aiuta. Davanti il futuro si riduce. L'uomo ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di quell'aiu-
to inconsapevolmente cercato e mai trovato. E quando lo trova ha premura. Non vuo-
le guardare indietro per non inquinare il presente, non vuole guardare avanti per non
accorciare il presente. Trova colei che fa veleggiare tranquilla la nave, che lo traspor-
ta in quel sicuro porto tanto vanamente cercato. Ora non c'é più fretta!
L'uomo attende la donna, quieto e tranquillo in quella casa estranea da subito consi-
derata sua.
Chi lo conosce e lo vedesse ora non riconoscerebbe quell'uomo. Pacioso in poltrona
legge ed attende. Non riconoscerebbe quell'uomo. Cucina ed attende. Quell'uomo
passeggia senza fretta e si sofferma a guardare ciò che esisteva anche ieri. E attende.
Senza premura attende colei che lo ha preso per mano: madrina del suo battesimo alla
vita. Attende colei che lo ha aiutato a sigillare la roccaforte della falsamente amata
solitudine.
Quale l'epilogo? Sarà quello desiderato oppure ...
L'impronta di questo intervallo rimarrà indelebile. Sempre vivi rimarranno i magici
istanti. Sempre calda nel cuore l'immagine piacevolmente invadente di lei.
Rodolfo Menicocci
La pratica buddhista giapponese zen è una metodologia dello spirito, della coscien-
za e della mente che, nella persona, enfatizza il pensare, il riflettere, il meditare. In-
trodotta in Giappone dalle scuole del buddhismo chan della Cina, la sua via è di por-
tare alla coscienza il fluire dei pensieri, permettendo il loro nascere e scorrere senza
alcuna interferenza, sino al raggiungimento di una folgorante illuminazione della na-
tura vera della realtà. Sino alla vipasyana “visione del cuore delle cose”.
Ne è momento l’haiku, forma poetica semplice e concisa, che esprime immagini mi-
rabilmente condensate in componimenti lirici di tre versi, in genere. I soggetti vi sono
trattati con la descrizione di scene rapide, ma intense. Tra i versi stessi la mancanza di
nessi evidenti è indubbia. In vero, quei volontari vuoti sono solo apparenti e ciascuno
può colmarli con ciò che gli suggerisce il proprio animo. E per non alterare alcunché
e lasciare il lettore libero di immaginare le emozioni che desidera, gli haiku non han-
no un titolo.
Il mondo della Natura, nel variare con le stagioni, assume per ogni sua forma di vita
un’importanza rilevantissima, il cui valore non è facile a volte percepire. In particola-
re, la quotidianità dell’individuo, oltre che dal trascorrere del tempo, dalle preoccupa-
zioni e dalle ansie, è disegnata da cose semplici e piacevoli. Talmente semplici da
passare spesso inosservate. Ecco, quindi, con l’haiku, la capacità di cogliere la pro-
fonda spiritualità insita in quei frammenti di realtà, e di condensarli, e di fermarli nel-
la brevità del componimento. Brevità che pur riesce a far percepire la straordinarietà
dell’ordinario e a trasformare una vita di azioni monotone e banali in una espressione
di arte poetica, piena di genuina creatività interiore.
Come in questi versi di poeti anonimi …
POCHI SOFFI, E … L’ARIA SI RINFRESCA
- Vento marino / sul prato fa onde d’erba / vele farfalle.
POSSO SOGNARE
- Navigo un mare / che in onde levitare / frange le stelle.
ASPETTARE CHE FINISCA LA CALURA
- Mescola il vento / terre e sabbie lontane / sul mare brine.
Apro con questi haiku di Italo Biddittu di una raccolta illustrata da lui stesso con disegni essenziali come i suoi versi che presentò al
simposio anni fa. Era una fredda serata d’autunno con pioggia e vento, ma lui con la moglie arrivò puntuale. Veniva da Cassino ove
insegnava dal 1957 all’Università Paleontologia e Paleoecologia. Il titolo del libro da lui presentato: «Tropico del cancro» era stato
scritto per raccogliere fondi per il Museo Preistorico di Pofi da lui progettato sulla Preistoria del Lazio meridionale ove contiene Ar-
gil, il fossile umano più antico che scoprì nel 1994. Aver accettato i disagi di quell’incontro, per quel Professore non più giovane,
aveva lo scopo di farci conoscere tutto ciò che era ed è la sua grande passione. Per noi, non solo per riconoscenza, potrebbe essere
un suggerimento per una bella gita. Giuliana
Si! Ci sono tornato in quel bar in riva al mare dove eravamo soliti incontrarci! Tu,
con la tua fiaschetta da perfetto gentleman, piena di grappa per allungare il caffè; te lo
ricordi? Una terrazza affacciata sulla spiaggia, con il mare su cui i nostri sguardi va-
gavano sino ad incontrare l’orizzonte, il tepore del sole a riscaldare le nostre “quat-
tr’ossa”!
Andavamo lì anche d’inverno, quando il vento sferzava i nostri volti ed il mare in
burrasca pareva accordarsi con la malinconia dei nostri lunghi anni trascorsi; tu dodi-
ci anni più dei miei. A volte li ho invidiati quei tuoi dodici anni pieni di ricordi, di
esperienze! La guerra, il primo risollevarsi di questa nostra terra, le prime sperane. Io
sono venuto dopo ed ho vissuto tempi migliori! Migliori? Forse si, forse no! Per noi
erano i migliori che si potessero immaginare: eravamo giovani! Quante confidenze ci
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