Il comunicato di Donne di Classe Aprilia sulla campagna Nastro Rosa che durerà tutto il mese di ottobre per la “prevenzione” del cancro al seno
Meno rosa, più informazione e ricerca
Una città di circa 80 mila abitanti in cui non esiste un ospedale pubblico né la possibilità di effettuare un esame diagnostico senza ricorrere al privato e che si trova in un territorio pieno di “emergenze” ambientali, non è certo di edifici illuminati di rosa quello di cui avrebbe bisogno. Eppure è quello che si appresta a fare l’Amministrazione comunale di Aprilia che ha dichiarato che per il mese di ottobre manterrà illuminato un edificio di rosa. “Per tutto il mese di ottobre” si legge sul sito del Comune “i Comuni della provincia illumineranno di rosa un monumento o un angolo caratteristico delle rispettive città, per ricordare a tutti l’importanza di lottare uniti contro il cancro al seno”.
“‘Dal cancro si guarisce’ si legge ancora sul sito ‘ma serve diagnosticarlo precocemente attraverso la prevenzione’ dichiara il dott. Alessandro Novaga, tra gli organizzatori dell’evento”.
Purtroppo le cose stanno diversamente. Infatti, innanzitutto occorre distinguere il concetto di “prevenzione” da quello di “diagnosi precoce” perché una mammografia non elimina né riduce il rischio di ammalarsi di cancro al seno e la situazione non è così rosea (è proprio il caso di dirlo) come si fa credere.
OLTRE IL NASTRO ROSA
Le attiviste di “Oltre il nastro rosa”, che si battono per una informazione corretta e non romanzata del cancro al seno e del cancro al seno metastatico, fanno sapere che “Ogni anno in Italia 12.000 donne muoiono di cancro al seno e si registrano 50.000 nuovi casi. Nonostante queste cifre, la malattia continua a essere descritta come guaribile nella stragrande maggioranza dei casi e come un rito di passaggio capace addirittura di rendere migliore chi ne viene colpita. Una narrazione che nasconde la realtà di terapie estenuanti e prolungate che non offrono garanzia di guarigione: circa il 30% delle donne che si ammalano di cancro al seno, muore (a prescindere dallo stadio al momento della diagnosi).
È giunto il momento di dire basta a tutto questo. Non smetteremo di ammalarci e morire finché non si aprirà un dibattito pubblico serio che parta dal riconoscimento dei dati di fatto.” In particolare sulla “prevenzione” spiegano che “Gli screening mammografici hanno portato a diagnosi precoci e all’individuazione di carcinomi in situ, ma non alla riduzione della mortalità che ci si aspettava. Si crede erroneamente che si diventi metastatiche perché non ci si è sottoposte agli screening mammografici. Inoltre, l’idea che le dimensioni del nodulo e la tempestività nell’individuarlo siano più importanti delle sue caratteristiche biologiche è il retaggio di un approccio ormai superato dalla raggiunta consapevolezza che il cancro al seno è una malattia sistemica. I meccanismi di diffusione ad altri distretti corporei sono, tuttavia, lontani dall’essere chiariti”.
Ecco, quindi, che il “pink ribbon” (il fiocco rosa) che viene venduto come il simbolo della lotta contro il cancro al seno, è in realtà il simbolo della sua spettacolarizzazione a fini commerciali, dell’uso ancora una volta del seno e del corpo delle donne per vendere prodotti, della colpevolizzazione delle donne che se si ammalano è perché non hanno seguito “uno stile di vita sano”, ed è il simbolo di quello che viene chiamato “pink-washing”, cioè quell’operazione che usano numerose aziende per vendere i loro prodotti, spesso contenenti anche sostanze cancerogene, in nome della ricerca sul cancro, come semplice strategia di marketing. E il cancro al seno è la gallina dalle uova d’oro del cosiddetto marketing sociale, un fenomeno capitalista, molto diffuso negli USA e che si sta diffondendo anche nel resto del mondo, in cui si associa una causa a cui i consumatori tengono per aumentare le vendite e quindi il profitto.
LA SALUTE
NON E’ UNA MERCE
Allora, quello che ci serve è che la ricerca sul cancro non sia assoggettata alle logiche del profitto e che la sanità sia pubblica, efficiente e universale. Quello che ci serve è costruire una società in cui la salute sia un diritto, al contrario di quello che succede nella nostra società a guida capitalista, in cui, in nome del profitto, le aziende sono libere di inquinare, distruggere l’ambiente e far ammalare le persone e poi guadagnarci di nuovo sopra.
IL ROSA NON CURA:
MENO ROSA, PIU’ RICERCA E INFORMAZIONE
In questo quadro si aggiunge, ovviamente l’ “emergenza Covid”, usato spesso come occasione per ridurre o eliminare servizi, anche essenziali. E così come per qualsiasi altro ambito della sanità pubblica, anche in ambito oncologico le cure, gli esami diagnostici, le visite e i controlli sono stati cancellati, rimandati, svolti a distanza, come ha denunciato anche con un sondaggio l’Associazione “Codice Viola”.
Questo perché il nostro sistema economico-sociale, che ha come obiettivo sociale il profitto dei privati, non può fare a meno, per esistere, di lucrare sull’ambiente e sulla salute pubblica.
E le conseguenze ricadono sulle nostre vite. Per questo diciamo che nella società giusta che vogliamo la sanità non deve essere subordinata agli interessi privati, come accade invece oggi, e facciamo nostri gli slogan “meno fiocchi rosa, più informazione e ricerca”, “il rosa non cura”.
Donne di Classe
Aprilia