Il Litorale • 12/2019
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ANNO XIX - N° 12 - 16/30 GIUGNO 2019 Il Litorale Pag. 33
S i m p o s i o
LIBERO INCONTRO ARTISTICO CULTURALE
Compendia una cosa sola: la sua filosofia.
Se nella pittura è lo spazio siderale in cui ogni cosa si fa aria e luce, nella scultura i
corpi ne vengono avvolti concretizzandosi plasticamente in un’intima connessione di
affetti. Le poesie sono come diafani afflati lievi eterei sussurri per l’incanto che pro-
ducono al suo orecchio all’unisono col cuore. Tutto ciò egli cerca di tradurlo con la
parola dialogante attraverso l’arte drammaturgica che dichiara di preferire in assoluto.
Ci ha provato anche in quest’ultima opera: «Il ritorno di Odisseo» per evidenziare
quale principio è alla base del suo pensiero. Un’opera didascalica che mette in evi-
denza la contraddittorietà dei rapporti umani quando domina l’egoismo e l’allontana-
mento dalla natura. La possibilità di rinascita è scoprire il mondo come unico elemen-
to respirante il Tutto. Elaborazione di un credo che Andrea-Odisseo, il protagonista
alter ego dell’autore cerca di trasmettere a chi gli sta vicino come missione, o sempli-
ce possibilità di dialogo con l’altro. L’idea di un viaggio alla ricerca della vera rotta di
Odisseo proposta da Ivano, Tiziano e Carlo è già un’opportunità per i primi ‘insegna-
menti’. È d’obbligo, raccomanda ai giovani una generosa condivisione per poter af-
frontare un viaggio su l’esiguo spazio di un’imbarcazione se alla base se non c’é una
crescita personale per superare le due forze contrastanti: l’attrazione e la repulsione
che soffoca possibilità di legame duraturo, perché Andrea sa che l’uomo ha in sé mil-
le sfaccettature. Ed è proprio durante il viaggio, nel momento dei primi disagi che es-
si si rivelano incapaci di generosità, altruismo e nella discordia sempre più crescente
ignorano la bellezza che li circonda, lo splendido firmamento, ove le stelle sono così
luminose; che ti entrano nel cuore.
Si domanda Andrea: Perché i nostri sentimenti umani sono così fragili?! Perché? Lui
stesso non immune da debolezze, come quelle pulsioni che improvvisamente scopre
di fronte alla nudità dei compagni.
Dopo il naufragio che cancella i tre litiganti dalla scena, Andrea si ritrova in una grot-
ta accanto ad un vecchio vegliardo cieco un Polifemo redivivo che deve compiere la
sua profetica missione. Nella sua parola risplende quella verità che Andrea andava
cercando. La spiegazione di quei misteri sul tempo e la morte, ma soprattutto l’annul-
lamento dell’essere che angoscia gran parte dell’umanità. No, se impariamo ad ascol-
tare la natura dentro di noi, nulla di tutto ciò esiste, dice Polifemo. Dev’essere un
ascolto prolungato lontano dal modo tecnologico che ti farà scoprire che tutto è un in-
finito divenire.
Una prova molto difficile
hanno dovuto affrontare gli attori impegnati in molte prove perché il racconto doveva
sottolineare più o meno con forza il carattere contrastante di una situazione che si
modifica gradualmente. Nell’intento dell’autore, quel contrasto vuole essere metafora
di tutta la situazione umana. Uomini troppo disinvolti all’idea di un’avventura; ambi-
ziosi di contrastare la veridicità storica della tradizione, ignorano che la grandezza di
una grande opera prende forma dalla fantasia modellata dai sentimenti che nascono
nell’ascolto di altri racconti trasmessi che ci collegano alle origini del tempo. Illudersi
di un’eterna amicizia senza sacrificare nulla di sé per poter affrontare un’avventura
sul mare può solo naufragare alle prime difficoltà, infatti la situazione degenera triste-
mente e gradualmente finisce nel suo opposto un naufragio non solo simbolico.
Alla fine solo la voce flebile del saggio vegliardo che dovremmo tutti ascoltare, ma
che invece giunge a pochi orecchi attenti, e tanto meno al loro cuore.
La rappresentazione è avvenuta il 28 aprile scorso.
nel caso, come. Se l'apparenza non corrisponde alla propria personalità diventa un
bluff solo per attirare l'attenzione degli altri e basta. L'apparenza è spesso un mezzo
per nascondere, dietro una superficiale immagine, debolezze o insicurezze. Insomma
l'apparire dovrebbe essere lo specchio del nostro essere. Detto questo, quello che suc-
cede oggi nella nostra società è esattamente all'opposto. Tutti sgomitano per apparire,
creandosi o inventandosi ruoli e look assolutamente inadatti e quindi insostenibili nel
tempo. Creandosi problemi di personalità da non sottovalutare. Quando gli esempi
che vengono proposti sono di bassissimo contenuto inducono la gente a pensare che
quel modo di apparire sia sinonimo di successo. Mentre è solo immondizia. E così si
moltiplicano le copie di un originale già terrificante. E vediamo ragazze e ragazzi ,
che avrebbero possibilità mentali e fisiche per apparire in un modo più consono alle
loro personalità, trasformarsi in bambole e giocattoli di gomma tutti uguali, attori ed
attrici di uno squallido teatrino, dove chi è più trash e cafone vince. Apparire nel sen-
so stretto della parola, dovrebbe avere un accettazione positiva. Questo il punto fon-
damentale. Appaio al meglio di quello che sono. Ma che sono io. Non un altro o
un'altra che con me non condivide nulla nel pensiero e nell'atteggiamento. Apparire
per apparire, per piacere continuamente agli altri è uno sforzo davvero faticoso. Deve
essere una frustrazione, anzi, un'alienazione totale. Quando non c'è verità puoi solo
colpire l'immaginazione degli altri al momento, ma poi tutto finisce e si ha paura di
rimanere da soli con se stessi perché non si sa neanche chi si è. Apparire è perfetto se
è l'esaltazione della propria personalità, del proprio essere e se corrisponde a chi sia-
mo realmente. Diversamente è come essere una comparsa.
E le comparse, si sa, non hanno ruoli principali nel teatro come nella vita.
da sn. Giorgio Giustiniani, Roberta Collu, Roberto Pedrona, Pino Pieri, Maurizio Stasi
TUTTA L’OPERA DI PINO PIERI
APPARIRE O ESSERE
di Michele d’Auria
MORS ULTIMA LINEA RERUM EST (?)
ORAZIO
di Sergio Fumi
Apparire, in questo tempo, ha una valenza maggiore dell'essere. La moda dei tatuaggi
che negli ultimi anni imperversa tra i giovani ne è un esempio eclatante. Oggi il mo-
strarsi ad ogni costo sembra quasi una necessità vitale dove il mettersi in vista e’ ave-
re apparenza, quindi dove l’apparenza significa avere identità e riprova sociale. La
nostra è una società ormai che fa riferimento ad immagini-idolo, una cultura fatta di
modelli ed icone generati dal mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo,
della televisione, un mondo finto e preconfezionato nel quale l’apparire significa mo-
strarsi agli altri e, dunque, essere accettati, ammessi, ma soprattutto accettati nel biso-
gno d'amore. Vale la pena di ricordare che la televisione che era nata come mezzo di
comunicazione e di crescita nell’Italia degli anni ’50 , oggi si è trasformata in un po-
tente mezzo di manipolazione di massa dove l’apparire è diventato sempre più predo-
minante sull’essere, in un contesto di fragilità e di identità che pervade la nostra so-
cietà dei consumi. Quello che è fondamentale è capire quanto è importante apparire e,
La morte rimane per tutti gli uomini un dramma sempre incombente e inquietante e
un mistero impenetrabile. Cos’è morire e perché si muore? «In realtà non c’è espe-
rienza di morte. In senso proprio, non è sperimentato se non quello che è stato vissuto
e reso cosciente» (Camus). Quando parliamo di morire, ne parliamo come se si trat-
tasse di un evento vissuto. Ma nessuno di noi ne ha una esperienza diretta. Nessuno di
noi è morto e poi è tornato a vivere. Noi possiamo avere coscienza solo della morte di
altre persone, ma non della nostra. Infatti, come dice Epicuro: il più terribile dei mali,
la morte non è niente per noi perché quando noi ci siamo lei non c'è e quando lei c'è
noi non ci siamo. Quindi noi non possiamo avere coscienza della nostra morte, ma
solo della morte altrui. Quale mistero c'è nella morte? Cosa succede quando noi mo-
riamo?
La nostra vita è troppo breve: perché?
Dal tempo dei romani la durata di vita degli uomini è aumentata più del doppio per
diverse cause, principalmente per l’avanzare della scienza. Ma questo non basta se lo
confrontiamo ai tempi dell'universo: la vita di una stella, ad esempio il sole, si misura
in miliardi di anni e poi non muore, ma si trasforma. Per arrivare alla più vicina stella,
alfa Centauri, ci vorrebbero anni luce (un anno luce è la distanza che la luce percorre
nel vuoto in un anno alla velocità di 300.000 Km. al secondo ed è pari a 9.461miliardi
di Km.) Per avvicinarsi ad uno delle migliaia di pianeti inseriti nelle zone dove è pos-
sibile la vita sono necessari centinaia e centinaia di anni luce.
CONSIDERAZIONI
Ma dobbiamo pensare che esista sempre una fine della vita, e che non esista un’altra
soluzione? Se le migliori condizioni di vita e la scienza hanno permesso di raggiunge-
re traguardi impensabili, ora si potrebbero raggiungere traguardi più ambiziosi. Pen-
siamo ai telomeri, piccole frazioni di DNA posti all’estremità dei cromosomi e che
servono a salvaguardare i cromosomi stessi e quindi le cellule. Con la divisione delle
cellule i telomeri tendono a usurarsi, ad accorciarsi con conseguente danno dei cro-
mosomi e delle cellule stesse. Intervenendo su questi, cosa già attuale, si potrebbe
prolungare la vita ai cromosomi e quindi alle cellule. Si è già riusciti attraverso le cel-
lule staminali a ricreare tessuti e organi malati. Ed ora si parla di sostituire tessuti e
organi malati o non funzionanti con nuovi tessuti e organi con la stampante a 3 D. Si
potrebbero fare altri numerosi esempi, ma sarebbero esempi lontani dalla sostanza del
nostro problema. Ciò avviene in Natura, vedi l’ameba, un protozoo pressoché ubiqui-
tario. L’ameba ad un certo punto della sua vita si divide, da luogo a due individui di-
versi e così via: ecco superato il destino degli esseri viventi, nascere, crescere, ripro-
dursi e non morire. Certo si tratta di un essere monocellulare. L’uomo, con i suoi cen-
tomila miliardi di cellule potrebbe intaccare il principio dell’ineluttabilità della morte.
Però, esistono cellule “immortalizzate”, capaci di replicarsi indefinitivamente, se nu-
trite. Sono cellule ottenute da vari tessuti umani che vengono trattate con tecniche di
biologia molecolare e ingegneria genetica. Altre che si ottengono da tumori sono già
“immortali”: vedi quelle da cellule ottenute da un tumore dell’utero da una donna
americana. Le cellule del nostro corpo mediante un processo chiamato autofagia si
rinnovano continuamente espellendo dalla membrana le parti invecchiate o inutili.
Questo processo però mano a mano si rallenta fino a cessare del tutto determinando la
morte della cellula stessa. Alcuni studiosi tedeschi hanno osservato che in alcuni ver-
mi Caenorhabditis elegans il processo di autofagia si comporta come nell’uomo: in-
vecchiando si rallenta per poi fermarsi. Trovati i geni che erano coinvolti in questi
meccanismi li hanno “silenziati” ottenendo un notevole prolungamento della loro vi-
ta. Un altro esempio è dato dai cromosomi. L’uomo, col suo potente istinto sessuale
per la conservazione della specie, dando luogo alla filiazione, trasmette parte dei suoi
cromosomi ai figli ed i figli ai propri e così via. I cromosomi così vivranno pratica-
mente una vita eterna finché l’umanità sarà su questa terra. E allora che cosa si ricava
da quanto scritto?
Progressi dell’Homo sapiens
Dalla preistorica grotta alla conquista della luna, sino ai traguardi meravigliosi ed ina-
spettati in tutti i campi del ‘900 come la durata della sua vita più che raddoppiata dal
periodo degli antichi romani ad oggi. Un progresso destinato a durare e migliorare vi-
ste le nuove frontiere della ricerca. L’intelligenza dell’uomo e la sua creatività posso-
no portare a risultati sorprendenti seguendo la strada già intrapresa dalla natura con
l’ameba e con i cromosomi cioè modificare il destino dell’uomo e di tutti gli esseri
viventi e cancellare l'assioma di ogni essere vivente, nasce, cresce, si riproduce e
muore trasformandolo in nasce, cresce, si riproduce e … ?
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