Il vino nettunese è stato il testimone di ogni allegra conviviale dei soldati e dei comandanti americani nel loro quartier generale di Nettuno
Il ruolo del vino Cacchione nello sbarco alleato
È constatato che non sempre la storia – chiamata a rendere conto d’un conflitto mondiale – può soffermarsi sulle vicende d’una piccola comunità: non si deve dimenticare nulla.
Il corrispondente di guerra Ernie Pyle - pseudonimo di Ernest Taylor, caduto poi nel Pacifico, durante un assalto di marines – ha scritto: “… Il soldato che ho conosciuto in prima linea era un uomo che viveva come un animale… Viveva nella sporcizia, mangiava se e quando poteva, dormiva sulla terra, senza un riparo sopra la testa…”.
Ernie Pyle, parlava di questo anche con il generale Lucian K. Truscott (subentrato dal 23 febbraio 1944 al generale John P. Lucas, al comando del 6° corpo di sbarco), durante una cena che il colonnello Don Carleton, aveva organizzato nella nuova abitazione del comandante. È il caso di dare una sbirciatina a questa casa. Si trovava in via Romana, a Nettuno, nell’edificio che ospita attualmente il negozio di abbigliamento di Tassiello. Apparteneva al dottor Francesco Bartoli, il medico chirurgo che tentò il 5 luglio 1902, di salvare la giovane Maria Goretti con un intervento nella sala operatoria dell’ospedale Orsenigo, alla Divina Provvidenza. Come tutti i nettunesi anche il dottor Bartoli dovette sloggiare dopo l’ordine del comando tedesco che allontanò la popolazione a 5 chilometri dal paese. La casa era accogliente e attrezzata con una discreta provvista di bottiglie di vino Cacchione. Quella sera a cena c’era tutto lo staff del generale, curiosi di ascoltare il punto di vista di Ernie Pyle, c’erano: Harrel, Rosson, Bartash, Connor, Carleton e James M. Wilson che ci ha tramandato questo episodio. Raccontò Wilson che quella sera le discussioni furono animate per il fatto che si era creato uno stallo sulla testa di sbarco, dal quale sia il generale Mark W. Clark e il maresciallo Harold Alexander, sembrava che non sapessero uscirne fuori. Alla fine della cena, ma non delle discussioni, il colonnello Don Carleton volle accompagnare Ernie Pyle a casa. Il corrispondente di guerra abitava, come tutti gli altri corrispondenti americani, in un edificio di via Gramsci a Nettuno, al numero civico 35, vicino alla terrazza del Belvedere. Da via Romana dovevano compiere due passi.
Don Carleton prese una bottiglia di vino in mano e due bicchieri, poi disse ad Ernie Pyle: “Andiamo ti accompagno”, e s’avviarono. Dopo un quarto d’ora tornarono indietro e presero un’altra bottiglia di vino e s’avviarono di nuovo. Non passò molto tempo e i due erano di nuovo al cospetto di Truscott e degli altri.
“Scusate, prendiamo un’altra bottiglia”. Questo andirivieni continuò e dopo cinque o sei bottiglie di vino i due erano pressochè ubriachi. A riguardo del vino Cacchione, abbiamo un altro racconto tramandato dal maggiore Edward Thomas, della prima unità dei servizi speciali, definita La brigata del diavolo. Raccontò Thomas che durante il periodo di stallo alcuni soldati si stavano annoiando e girava voce che nelle grotte della cantina Osteria dell’Artigliere, che ospitava il quartier generale in via Romana, a Nettuno, c’erano botti in gran quantità piene di vino. Una notte, il sergente Burham fu svegliato dagli squilli del telefono. Era il generale Truscott che voleva parlare con il capitano Langly. Appena il capitano rispose al telefono, il generale gli disse che aveva tre uomini al quartier generale e che lui li lasciava tornare indietro per una punizione esemplare. Il capitano Langly chiese cosa era successo e il generale Truscott rispose che i tre uomini avevano furtivamente disarmato le sentinelle e le avevano minacciate di tagliargli la gola se avessero dato l’allarme, lasciando un uomo di guardia. Poi due uomini avevano fatto irruzione al posto di comando trovandovi lui stesso e il suo capo di stato maggiore. Per poco non li uccise, appena lo salutarono militarmente e balbettarono qualcosa a riguardo della cantina e del vino, lui gli aveva creduto. Il capitano Langly lo ringraziò e riattaccò il telefono scuotendo la testa. A metà marzo, Marianna Taurelli aveva chiesto autorizzazione al comando alleato di recarsi alla cantina, in via Volturno, n.6 per prendere un po’ di vino, quando arrivò trovò i soldati americani che con sventagliate di mitra foravano le botti. Un italo-americano gli spiegò che dovevano portarle al poligono a protezione degli aerei. A vedere tutto quel vino scorrere sul pavimento per poco svenne. Altro uso ne faceva invece James Ross, addetto al recupero salme che aveva trovato la cantina di Angelo Combi in via S. Maria, vicino al cimitero americano, piena di botti di vino e riempiendo taniche e damigiane le caricava sulla sua jeep e le portava ai soldati al fronte. Anche il carrista Red Foster non andava in nessun posto senza la sua tanica di venti litri piena di vino Cacchione legata al fianco del carro armato.
Silvano Casaldi