Museo Giacomo Manzù – ARDEA
Domenica 10 marzo 2024 - ore 18.00
Simposio fuori porta per ascoltare il Duo
Alessandro Marini violino
Silvia D'Augello pianoforte
Franz Schubert:
Sonata op.137 n.1 in Re Maggiore
Wolfgang Amadeus Mozart:
Sonata K454 in Si bemolle Maggiore
Edward Grieg:
Sonata op.45 n.3 in Do minore
***
Presentazione del loro CD recentemente pubblicato
Ingresso libero
YOUNG SOPHIA
Il pensiero dei giovani
Tempo
Tempo passa,
sentire i giorni trasformarsi in notti
e le notti in giorni.
Vedere il sole tramontare
solo per il sorgere della luna,
sentendo i mesi salire sugli anni
e passare, scappare.
Mucchi di foglie variano
intrinsecamente dall’ambra al ramato,
poi cambiano ancora
in un pallido mix di entrambi,
senza mai capire perché.
Senza mai capire quando.
Giulia Liceti Iach
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
A caccia di “falsi amici”
di Giancarlo Marchesini
In linguistica definiamo “falsi amici” quelle parole o locuzioni che, nonostante una somiglianza grafica o acustica, hanno significati diversi da una lingua all’altra.
La nostra “caccia” ci permetterà di identificare le modalità con cui ogni lingua attribuisce alla realtà “etichette” diverse. Queste divergenze semantiche possono indurre in errore proprio perché ci ostiniamo a considerare la nostra lingua come l’unico mezzo di comunicazione verbale. Ricordo di aver assistito a una conferenza in russo del grande regista Nikita Mikhalkov: al momento delle domande una signora dall’apparenza dimessa affermò che il russo è la lingua “migliore” (улучшать) di tutte. Il conferenziere le chiese perché e lei, serafica, disse: “Perché si capisce tutto” (risate del pubblico).
Noi ci riteniamo un po’ più colti di quella signora e mastichiamo più lingue: ma eccoci alle prese con i falsi amici. Cominciamo con l’inglese.
Eventually: non vuol dire eventualmente, ma alla fine. Etimologicamente l’inglese fa riferimento alla parola event (avvenimento) per indicare ciò che in realtà si verifica alla fine di una catena di azioni.
Apparent: nulla a che vedere (almeno nell’uso corrente) con il nostro “apparente”: significa chiaro, evidente, ovvio. L’inglese intende apparent come una realtà palmare, lampante (un’epifania). Il nostro apparente, invece, tende a sfumare il quadro cognitivo.
Delude (verbo) non vuol dire deludere (in inglese si direbbe disappoint) ma illudere, ingannare. La stessa radice latina si dirama in due significati diversi.
Casual non vuol dire casuale ma informale, ma appena si esce dall’ambito della moda (giacconi, calzoni e simili), molti si fanno trarre in inganno e non capiscono il vero significato del termine.
Commodity, Ormai dovrebbero averlo capito anche i non economisti, visto che la parola è entrata a far parte del gergo giornalistico: commodity non ha nulla a che vedere con la comodità ma significa merce.
Falsi amici francese/italiano.
Affolé non è un locale o un ambiente affollato, ma una persona sconvolta, in preda al panico.
Avant: non vuol dire avanti ma prima (che viene prima), Biche non è una biscia ma un cerbiatto, Bougie: non si tratta si menzogne, stiamo parlando di candele!
Aller à l’encontre: non significa andare incontro ma contrastare: quindi assolutamente il contrario!
Dépister: nulla a che vedere con il nostro trarre in inganno: in francese significa individuare, rintracciare (es.: dépistage précoce d’une maladie).
La parola al linguista. Sulla base di questi esempi, cerchiamo di capire come le diverse lingue descrivono la realtà. E descrivere è proprio il termine giusto, perché la realtà è una cosa a sé stante, le lingue non la posseggono, possono soltanto delinearne i contorni.
Ma la stessa realtà viene descritta in modo diverso da una lingua all’altra. Restiamo all’esempio macroscopico di dépister: tanto il francese che l’italiano partono dal termine piste/pista ma mentre il francese vede l’azione del verbo come “seguire una pista”, l’italiano fa assumere al termine il significato contrario, “mettere su una falsa pista”.
Realtà e segni linguistici. Non sono quindi le parole a descrivere la realtà, questa esiste di per sé e le parole cercano di individuarne degli aspetti. Esse sono segni linguistici all’interno di un sistema di segni, appunto una lingua. E cambiando il sistema, le parole assumono un significato diverso. Ferdinand de Saussure parla di significante e significato: il significante è un segno linguistico che identifica un significato, un aspetto della realtà. Ma, come abbiamo visto, proprio per il fatto che la realtà viene filtrata in modo diverso nelle diverse culture, i significanti non coincidono nel passaggio da una lingua all’altra.
Fiumi e corsi d’acqua. Ci sono addirittura casi in cui una lingua adotta distinzioni che per altre sono completamente irrilevanti: in francese esistono due termini per parlare di fiume: fleuve, un corso d’acqua che si getta nel mare e rivière, un corso d’acqua che si getta in un altro fiume (affluente). In altre lingue un fiume è sempre e solo un fiume, punto e basta.
Topi e ratti. Uno zoologo capisce perfettamente la distinzione fra topo e ratto, ma nel linguaggio parlato (a parte i dialetti, ad es. pantegana, sorcio), l’italiano tende a confondere (o piuttosto a unificare) le due specie. Roman Jakobson si è così espresso: “Le lingue non si distinguono per quello che possono esprimere ma per quello che devono esprimere”. Per un francese è assolutamente necessario sapere se il suo fiume si getta nel mare o se è un semplice affluente. Ma attenzione signori italiani: quando il dottor Rieux (La peste di Camus) esce sul pianerottolo e vede il corpo di un ratto non potremmo tradurre con il termine generico “topo” perché sono i ratti e non i topi che propagano la peste. Non facciamo di tutt’erba un topo!
COMPRENDERE
FUORI DAI CONFINI
Béla Bartòk e la ricerca
del patrimonio musicale popolare/5
di Antonio D’Augello
Malevich, Sportsmen (1930-1).
Coll. Courtesy State Russian Museum, St Petersburg
Un dialogo culturale per la democrazia
Un altro passo importante nella vita di Bela Bartok fu l’incontro con il filosofo Gyorgy Lukacs quando ancora era studente all’Accademia nazionale di musica di Budapest.
Lukacs assistette ammirato alle prime significative affermazioni del giovane musicista: il balletto Il principe di legno (1917) e l’opera Il castello del principe Barbablù (1918) opere tratte da un soggetto del poeta e drammaturgo Bela Balazs una sorta di fratello spirituale di Bartok.
Nel 1915 “Libera scuola per le scienze dello spirito”
promossa da Bartok, Lukacs, Balazs, un cenacolo di giovani intellettuali ungherese per ospitare conferenze e seminari rivolti a una ristretta elite, che si allargò in seguito con l’arrivo di Zoltan Kodaly e Erno Dohnanyi. Bartok di fatto era la guida spirituale. I suoi decreti, sostenuti da Lukacs chiaramente miravano a una democratizzazione della vita musicale ungherese, riguardarono tra l’altro: concerti gratuiti per i lavoratori; educazione musicale gratuita, con un programma speciale per giovani lavoratori; nazionalizzazione delle istituzioni e degli enti musicali.
Per Bartok fu un’esperienza di grande e consapevole responsabilità morale e civile: “La nostra linea era perfettamente democratica […]
E…, una nuova idea di musica di Bartok
soprattutto nel contesto pedagogico troverà massimo riscontro in Mikrokosmos, una grande opera didattica che egli definisce:
«Mikrokosmos può essere interpretato come una serie di pezzi in molti stili diversi, che rappresentano un piccolo mondo; oppure come mondo, un mondo musicale per i piccoli, i bambini»1.
I lunghi anni di gestazione dell’opera, dal 1926 al 1939, ne fanno un “cantiere aperto”, dove il compositore elabora e affina tutti quei principi che caratterizzano il suo pensiero musicale, predisponendoli a possibili sviluppi sotto il profilo pedagogico. Ma dopo molte controversie data la situazione politica solo nel corso del 1939 Mikrokosmos raggiunge la sua fisionomia definitiva e poté essere pubblicata con il suo assenso.
1 In Liebner (1976), p. 139.