Risalire la china del sessantotto per uscire dalla rilassatezza e dalla superficialità usando determinatezza e...impopolarità
Persa l’autorevolezza della scuola
Non abbiamo mai pensato che col cambio di Governo – dal sinistra-centro al destra-centro – in Italia potessero sparire certi andazzi, radicalmente correggersi storture. La società italiana è talmente permeata, stratificata da e in certi suoi comportamenti che, per modificarla, occorrono decenni, tanti quanti sono stati necessari a renderla quella attuale, che a noi non piace.
A mutare, per esempio, ci piacerebbe fosse la Scuola, a tutti i livelli, sprofondata nella rilassatezza e nella superficialità. La Scuola ha perso ogni prestigio e chi vi opera in essa si comporta, ad essere benevoli, peggio di come avviene in altri settori, in altri campi. Ciò è altamente dannoso, perché la Scuola è formazione, educazione e, di conseguenza, correzione, termine che oggi fa paura anche a pronunciarlo. Ha voglia il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, in questi giorni di calura e di allievi in vacanza, a dire che gli insegnanti debbano ritornare autorevoli! Ci siamo mai domandati, abbiamo mai avuto il coraggio di chiederci: Perché oggi non lo sono?
In passato, gli insegnanti erano molto di meno e nel reclutarli si faceva, anche non volendo, una scelta; più che una professione, quella d’insegnare era considerata missione e quindi la loro, nel bene e nel male, era una vera e propria casta, non un qualunque mestiere, così come è ritenuta ai giorni nostri.
Oggi gli insegnanti sono una pletora, in tanti laureati con preparazione scadente; gli asini o similari non sono mancati in passato (ricordiamo il volume “Scuola sotto zero” di Luigi Volpicelli), ma oggi abbondano di troppo, perché nel corso degli anni si è enormemente abbassato il livello di studio, prima nelle università e poi, di conseguenza, nei licei, nelle medie inferiori (negli anni cinquanta, per esempio, si studiava persino il latino!), nelle elementari, nelle materne: basta ricordare gli esami di gruppo, il sei proletario. Gli insegnanti di oggi sono retaggio del sessantotto e per loro continua ad essere diseducativo mettere un brutto voto, effettuare un richiamo, stilare una nota negativa per un comportamento sbagliato. Sbagliato correggere. Eppure la scienza, l’altare e il contraltare continuano ad affermare che fino a oltre vent’anni l’essere umano è in formazione, ha bisogno che venga stimolato, ma anche che gli vengano posti dei paletti.
In passato era assurdo che un genitore prendesse le difese del figlio a scapito del docente; se il figlio riceveva un cattivo voto o una punizione a scuola, altre e più pesanti punizioni riceveva una volta a casa. Nessuno pensa che si debba fare come allora, ritornare a quei tempi, ma quel che avviene oggi è disastroso. Oggi, se il docente si azzarda a richiamare o a sgridare un allievo deve, come minimo, temere l’intervento dei genitori a difesa del figlio, col rischio di ricevere non solo rimbrotti ma pestaggi veri e propri.
La Scuola di oggi è frutto di riforme balzane (basta ricordare quella a dir poco strampalata di Luigi Berlinguer!) e di lassismo imposto. Ancora nei primi anni sessanta (abbiamo iniziato a insegnare nell’ottobre del 1964) i nostri allievi diciottenni si alzavano in piedi all’entrata del docente per un saluto silenzioso; nessuno vuole ciò anche oggi, ma è assurdo che oggi ci sia solo indifferenza e sfottò. Gli insegnanti han paura; deboli e indifesi, meritevoli o non, si sono adeguati all’andazzo, intruppati nei partiti e nei sindacati di sinistra; anziché innalzarli al loro si sono abbassati al livello dei discoli e dei loro protettori, genitori e politici; si son fatti dare del tu dagli allievi non solo universitari, ma delle superiori, delle medie inferiori e persino delle elementari; qualcuno si è visto pure seduto sui gradini della scuola a fumarsi coi discepoli una canna.
Questa paura è frutto, spesso, della loro scarsa preparazione. Un docente meno preparato è un docente meno capace di imporsi; ha timore, terrore di allievi e genitori, anche perché gli allievi, oggi, imbevuti di internet e cinetici, hanno mezzi e strumenti per evidenziare le scarse conoscenze dei loro docenti; le paure, oggi, non ce le ha tanto l’allievo, come nel passato, ma chi dovrebbe educarlo e preparare. Così, tra docente e allievo si scende a compromessi sempre più meschini e degradati.
La Scuola è prona e scadenti e lassisti sono anche dirigenti e amministrativi, spesso dipendenti da genitori e allievi. I genitori bisogna tenerseli buoni, altrimenti portano i loro figli altrove; bisogna tenersi buoni gli allievi, per averne sempre tanti e ad ogni costo, altrimenti si rischia la chiusura dei plessi, la perdita del posto, il trasferimento in sedi più disagiate, lontane dalla loro residenza. Così, quando un docente mette un voto scadente, o rimprovera un allievo, o gli appioppa una nota, il dirigente si schiera con genitori e allievi, mai col dicente (è il cliente che ha sempre ragione!). La Scuola non è, né dev’essere trattata come una qualunque azienda.
C’è, poi, il timore che i genitori decidano di ricorrere al TAR, fare intervenire la Magistratura, la quale, con la docenza, ha poco da spartire e anch’essa, quasi sempre, dà torto proprio ai docenti.
Attanagliati dalla paura, per cercare di difendersi, quasi tutti i docenti si son politicizzati, schierandosi, però, come accennato, in maggioranza a sinistra, dalla parte finora più forte, cioè con coloro che nella Scuola, per decenni e decenni, hanno fatto il buono e il cattivo tempo – più il cattivo che il buono, viste le condizioni in cui l’hanno ridotta.
Ci sarebbe da dire ancora tanto. La Scuola, insomma, è caduta nell’abisso della ingovernabilità e del lassismo a partire dagli anni sessanta - dal sessantotto, come già accennato - e a spingerla è stata la Sinistra. Noi che abbiamo trascorso tanti anni nella Scuola, non abbiamo timore di affermarlo. Farle risalire la china non è facile, ci vorranno coraggio in chi ci governa, determinazione, impopolarità, perdita di consensi e voti e tanto, tanto tempo, almeno quanto ce n’è voluto a dissestarla.
Domenico Defelice