Dal libro “Pomezia Origini Genti e Personaggi” del professor Antonio Sessa, edito dalla Angelo Capriotti Editore nel 1990
Don Giuseppe Fabrizi, il prete socialista
All’inizio del secolo Ardea, frazione di Genzano, aveva sul suo territorio 435 abitanti: di questi, i due terzi vivevano sul pianoro della rocca ed erano i discendenti delle antiche famiglie ardeatine. Vivevano in casupole, circa una quindicina; tutti gli altri abitavano alla meno peggio in capanne. La popolazione aumentava sensibilmente nei casali in autunno, quando era possibile lavorare nelle tenute agricole che ospitavano migliaia di pecore, le quali svernavano per risalire poi alla fine della primavera verso i pascoli alti abruzzesi. Ad Ardea, come in tutto il territorio, le condizioni di vita non erano delle migliori. Quelli che stavano, per cosi dire, meglio erano i signori “cittadini”, discendenti delle antiche famiglie che usufruivano degli usi civici nelle tenute intorno ad Ardea, prima fra tutte la Banditella. Erano appunto gli appartenenti alle famiglie: Attenni, Belardi, Climati, Di Fiori, Faticanti, Leofreddi, Santini, Scarioli, Tovalieri, Torti, che vivevano in case in muratura. Queste, comunque, risultavano prive di tutte quelle primarie necessità (luce elettrica, servizi igienici, acqua corrente) che in quegli anni stavano ormai diventando comuni in altre parti d’Italia, anche nelle case cosiddette popolari. La promiscuità con gli animali era scontata e non solo i cani, ma anche i maiali e gli animali da cortile, allevati da tutti, vivevano tranquillamente in casa e fuori, rendendo l’aria irrespirabile. La strada, poiché mancavano i servizi igienici, diventava lo scarico naturale di escrementi umani e animali. La stazione sanitaria, diretta in quegli anni dal dott. Pastore, poteva fare ben poco. Le condizioni igieniche pessime e la vita di duro lavoro sterminavano i più deboli. Gli ardeatini non godevano di buona fama. Andare ad Ardea era pericoloso e più di un forestiero era stato accoltellato per futili motivi. Il salto dalla rupe, “lo zompo dalla ripe”, era l’unica via di scampo per qualche forestiero che aveva commesso uno sgarro all’osteria, unico svago degli ardeatini, o molestato una donna. Ne sapranno qualcosa, anche dopo, i coloni trentini-slavi, che spesso ingaggiarono parecchie risse con gli abitanti della rocca.
Ad aggravare la situazione vi era anche una condizione di isolamento. Solo nella prima vera del 1920 venne realizzato il primo servizio automobilistico giornaliero Roma-Pratica- Ardea, come abbiamo riportato nel paragrafo precedente.
Un prete socialista
Un evento importante fu, in quell’inizio del secolo, l’arrivo come parroco di don Giuseppe Fabrizi. Per più di un ventennio i destini di Ardea e la sua stessa storia camminarono parallelamente alla vita di questo prete che dedica parte della sua esistenza a migliorare le condizioni di vita dei suoi parrocchiani.
Appena insediatosi, avvia tutta una serie di pressanti richieste: case per i meno abbienti e l’abbattimento delle capanne nel centro urbano; un servizio di pubblica sicurezza; un ufficio postale; il potenziamento dell’istruzione elementare; una fontana nel centro del paese; la pulizia e il mantenimento delle strade interne; la sistemazione della strada che collegava la frazione di Ardea con il comune di Genzano; dare in affitto a famiglie bisognose piccoli lotti degli sterminati latifondi intorno ad Ardea, tenuti a pascolo. Non venne ascoltato e alle richieste seguirono proteste pubbliche e denunce. E’ facile capire che questo prete diventa scomodo a molti. L’autorità ecclesiastica dette credito alle accuse dei suoi denigratori e lo obbligo a rinunciare al suo posto di parroco di Ardea. Fabrizi fu pertanto costretto a cedere e ottenne di fare il prete in una parrocchia di New York. Si imbarca per gli Stati Uniti nel 1906; ma le promesse fatte non vennero mantenute. Per quattro anni, per sopravvivere, si sobbarca a lavori umili; nel frattempo tempesta di lettere il cardinale Agliardi di Albano chiedendo quei documenti che gli avrebbero permesso di esercitare il suo apostolato. Stanco di attendere, nel 1911, decise di rientrare in Italia, al fine di prendere personalmente questa “autorizzazione”. Appena sbarcato venne per˜ prima arrestato e poi internato in manicomio. E fu solo grazie a una pubblica denuncia dell’incredibile caso da parte del giornale “Il Messaggero” che venne dimesso e giudicato sano di mente. I suoi avversari di sempre, malgrado un suo appello al Papa, gli impedirono di essere riabilitato come sacerdote. Abbandonata la tonaca rientra ad Ardea come semplice cittadino nel 1918; qui trova una situazione politica più favorevole. Genzano risultava infatti amministrata da una giunta social-comunista e nuovi fermenti animavano tutto il Comune. Riprese quindi il suo impegno sociale, facendosi promotore fra l’altro della Cooperativa Ardeatina. Le richieste furono sempre le stesse, tese al miglioramento delle condizioni di vita degli ardeatini. Il successo dell’iniziativa fu enorme; ma questo vento nuovo venne subito arrestato dall’avvento del fascismo che non dette molto spazio a cooperative e ad altre organizzazioni autonome di contadini. Anche a livello locale la situazione cambi˜ radicalmente nel giugno del 1923 la giunta di sinistra di Genzano venne cacciata dai fascisti. Nel dicembre dello stesso anno il Fabrizi venne trovato pesto e sanguinante da un pecoraio in una scarpata. Si rimise presto e riprese con vigore il suo impegno. Poco dopo, nell’agosto del 1926 il suo corpo venne trovato, alla foce dell’Incastro, privo di vita. L’autopsia accerta che si era trattato di suicidio. Il suo corpo è sepolto nel cimitero S. Marina di Ardea. Giuseppe Fabrizi è stato un autentico benefattore del popolo ardeatino; non resta che augurarci che questa comunità non dimentichi mai il suo impegno morale e civile e ne tragga i dovuti insegnamenti.
Antonio Sessa