Danilo Risi, in qualità di collaboratore parlamentare, ci racconta tutte le fasi che ha portato alla rielezione del presidente Mattarella
“Orgoglioso di sentirmi cittadino di un grande Paese”
Danilo Risi, collaboratore parlamentare e coordinatore della segreteria del Pd di Pomezia ha seguito da un osservatorio privilegiato, quello di Montecitorio, tutte le fasi che hanno portato alla rielezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Una eccezionale esperienza che ha deciso di condividere con i lettori del nostro giornale.
“L’Italia ha seguito con grande interesse i giorni che hanno accompagnato l’elezione del Presidente della Repubblica. Per ragioni lavorative ho avuto la fortuna di assistere in prima persona alla complessità di quello che è uno dei passaggi più belli e delicati della nostra Repubblica. E se scrivo questa riflessione è anche per restituire ad un pezzo della mia comunità l’esperienza vissuta a Montecitorio durante i sette giorni che hanno portato alla rielezione del Presidente Mattarella, nella speranza di dare dignità ad un passaggio che agli occhi dei cittadini è apparso alquanto controverso.
Non perché io non riconosca che la rielezione di Mattarella stoni quantomeno con la volontà del Presidente di voler terminare il suo settennato.
Piuttosto perché credo che, nonostante la fragilità dell’attuale quadro politico, il risultato conseguito (e il modo a cui ci si è arrivati) in verità altro non sia che la volontà dell’unico organo che rappresenta la volontà dei cittadini, cioè il Parlamento.
Questo aspetto dall’esterno si è percepito sicuramente meno: hanno infatti destato più scalpore e fatto più rabbia i voti a Trapattoni, i candidati lanciati e poi bruciati dai leader, il continuo rimbalzo di accuse tra le varie forze politiche. Nel mentre, però, con tutta la sua sacralità, il Parlamento giorno dopo giorno maturava la convinzione che per sbrogliare il bandolo della matassa bisognasse trovare un nome che mettesse d’accordo tutti.
La necessità di tale condivisione non era dettata tanto dalle convergenze politiche, quanto dalla matematica: nessuna forza politica aveva i numeri per scegliere da sola il proprio candidato ideale. La soluzione più semplice sarebbe potuta essere quella di “spostare” Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale.
Sulla carta non sarebbero nemmeno dovuti mancare la condivisione e i numeri, visto che il Governo da lui presieduto è sostenuto da tutte le forze politiche presenti in Parlamento (eccezion fatta per il partito di Giorgia Meloni). Ma se ciò non è avvenuto è proprio perché – per ragioni che qui non indago per motivi di spazio - quella platea di “grandi elettori” ha ritenuto che non fosse la scelta migliore. E per le stesse o per altre ragioni tale destino è toccato ai vari candidati su cui le forze politiche hanno cercato di far convergere invano una maggioranza. Tutto questo agli occhi dei cittadini è apparso come una inutile perdita di tempo della quale il sistema politico risulta essere l’unico e solo responsabile.
Mentre maturava questa convinzione, osservavo quello che succedeva nei corridoi di Montecitorio: parlamentari e delegati di ogni forza politica si confrontavano, scambiavano opinioni, idee, sensazioni, alla ricerca di una soluzione condivisa. So benissimo che tutto questo non è stato percepito come sto per descriverlo, ma lasciatemi dire che quello che accade in quei corridoi per me è il significato di ciò che chiamiamo “democrazia”.
Che è qualcosa di indubbiamente complesso e in quanto tale non ha soluzioni semplici, costa tempo e fatica, non mette mai tutti d’accordo. Chiunque abbia partecipato ad un’assemblea di condominio sa quanto sia difficile entrare con un’idea e farla approvare da una maggioranza senza scontentare nessun condomino. Immaginatevi cosa possa significare mettere d’accordo 1009 delegati provenienti da tutta Italia e con diverse idee politiche.
Provate per un attimo ad immaginare di essere tra quei 1009 e dover per forza andare d’accordo con le scelte – almeno – della maggioranza di essi. Un’operazione indubbiamente complessa, esattamente come una riunione fiume di condominio nella quale si è costretti a trovare a tutti i costi la soluzione. Alla fine i condomini hanno scelto di lasciare lo stesso amministratore. Addirittura coloro che non lo avevano votato 7 anni fa (M5S, Lega, FI) hanno progressivamente nel tempo cambiato idea e quindi hanno deciso di votarlo. Il Parlamento – inteso come istituzione - è volato più alto dell’incapacità della classe politica, dei leader (o almeno di alcuni di essi), dei litigi, dei disaccordi, delle diatribe interne ai partiti e ha deciso di riaffidare al Presidente Mattarella il compito che già gli aveva assegnato 7 anni prima. In tale modo, non solo non c’è stata prevaricazione di una parte politica sull’altra, non spaccando le forze politiche far vincitori e vinti, ma garantendo al Paese stabilità e autorevolezza, anche all’estero, grazie al consolidamento dell’apprezzato binomio Mattarella-Draghi.
Resterà per me una delle esperienze più belle mai vissute: l’emozione di vedere il Presidente entrare in Aula (come si vede dalla foto) per giurare sulla Costituzione, davanti al Parlamento riunito. Con quella stessa emozione quella sera sono ritornato a Pomezia, consapevole della difficoltà di spiegare la complessità di quanto vissuto, ma orgoglioso di sentirmi cittadino di un grande Paese come l’Italia, le cui istituzioni continuano a camminare sulle gambe di donne e uomini di valore”.
T.S.