assoluta libertà, ma loro hanno piccoli e grandi impedimenti che trasformano la loro giornata in una battaglia da vincere sempre, in ogni momento.
Allora rifletto che io, voi, siamo veramente fortunati! Si, io sono fortunata perchè posso correre sui prati erbosi, fioriti, profumati, posso scalare una montagna, posso salire una scalinata per visitare una cattedrale, un monumento, posso andare in palestra, guidare una moto, una macchina, posso fare (quasi) tutto! Ma vi giuro che ho visto bene in volto quella donna, ho visto i suoi occhi allegri, lucidi, pieni di vita e non mi è sembrato proprio che fosse sofferente! Forse ero io la sofferente mentre la guardavo!
Allora signori e signore brindiamo alla vita anche quando qualcosa non ci va bene, anche quando ci sembra di sprofondare perchè noi il “Peggio” non lo abbiamo mai conosciuto, credetemi la vita è bella.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
TITOLI DI TESTA E
TITOLI A MEZZO BUSTO
di Giancarlo Marchesini
C’erano una volta al cinema i cosiddetti “titoli di testa”: precedevano il film e ci annunciavano il titolo, gli attori principali (quelli secondari venivano elencati nella rubrica “e con la partecipazione di…”), seguivano poi il produttore, l’autore della colonna sonora e finalmente il regista. A quel punto iniziava il film. Per tutti gli altri (direttore della fotografia, produttore esecutivo, direttore di produzione, elettricisti, tecnici, truccatori, costumisti, addetti al catering e “compagnia filmando”) c’erano i cosiddetti “titoli di coda”.
Oggi non è più così: i titoli di testa vengono spalmati sulle prime scene del film. E non è solo l’antefatto, ma stiamo parlando del film vero e proprio. Talvolta dobbiamo aspettare fino a dieci minuti di proiezione prima che finalmente compaia il nome del regista con cui si conclude l’elenco delle persone notevoli. Questa è la ragione per cui propongo di introdurre la denominazione di “titoli a mezzo busto” (in gergo si parla di “mezzo primo piano”) perché scendono più in basso della testa e si appropriano di un’area che sarebbe riservata all’opera cinematografica. Personalmente trovo questa moderna abitudine estremamente noiosa, perfino straniante. Vorrei concentrarmi sulle scene ma sono costretto a sorbirmi informazioni che (a parte il titolo, i protagonisti il regista) non mi interessano assolutamente. Anzi posso dire che i titoli “a mezzo busto” mi stanno sullo “stomaco”.
Questa evidentemente è un’opinione personale, ma proviamo ad analizzare questotipo di presentazione sotto il profilo dell’estetica (intesa come scienza) e della filosofia del linguaggio.
Il grande linguista russo Jurij MichajlovičLotman afferma che il mezzo artistico consiste nell’evitare gli automatismi del discorso e nell’espansione della percezione del lettore (o spettatore). Gli automatismi del discorso sono quelle frasi che pronunciamo per abitudine inveterata (il buongiorno che auguriamo alla persona che scende con noi in ascensore: ci interessa veramente che quel vicino di casa passi una buona giornata?).
I linguisti anglo-americani definiscono queste espressioni desemantizzate “mantra”, riferendosi alle litanie che vengono recitate durante la meditazione trascendentale.
Questo modo di presentare i titoli di testa del film aveva probabilmente proprio la funzione di evitare l’automatismo “titolo-protagonisti-produttore-regista” ma è talmente pervasivo da divenire a sua volta un automatismo. Sembra che i montatori, che hanno una funzione importantissima nella presentazione finale nel film, non riescano a fare a meno di diluire queste informazioni frale sequenze inziali dell’opera. La concentrazione, almeno la mia, viene meno e per tutti i primi minuti di proiezione mi chiedo: “ma comincerà una volta il film vero e proprio”?
In più, se si guarda un film in lingua straniera con i sottotitoli questi finiscono per oscillare fra l’alto e il basso dello schermo (perché non possono obliterare informazioni importanti: antefatto e collocazione geografica e temporale degli avvenimenti) creando un caleidoscopio insopportabile.
Per il desiderio di evitare una presentazione lineare e forse anonima si finisce per creare confusione e una rabbia repressa in uno spettatore afflitto da un background cartesiano.
Mi piacerebbe che qualcuno rispondesse a questo mio articolo dicendomi se sono l’unico a considerare i “titoli a mezzo busto” come un ostacolo ad una fruizione progressiva del film.
Ma c’è di più: quello che veramente viene meno è l’espansione della percezione: questo bombardamento di immagini e informazioni va a discapito della concentrazione e quindi dell’elaborazione personale dei contenuti. Perché il film effettivamente è già cominciato, gli attori si scambiano battute, avvengono fatti importanti che in alcuni casi sono la chiave per la comprensione di tutta l’opera, ma il tutto risulta frammisto con nomi e informazioni che sono del tutto ininfluenti per la comprensione. L’espansione diventa un’implosione, lo sviluppo è annichilito.
Il montatore pensa, forse in buona fede, di doverci stimolare con una presentazione quantica appartenente, cioè a universi paralleli, disposti su piani spazio-temporali diversi.
Questo modo di concepire i titoli di testa è indubbiamente apparentato con quella che viene definita “realtà aumentata”: informazioni supplementari che ci vengono fornite, ad esempio, quando scorriamo una pagina internet. Stiamo cercando un armadio o un capo di vestiario e immediatamente ci appare una foto dell’oggetto, che noi lo si voglia o no. Se sto leggendo una pagina di Wikipedia mi guardo bene dal far passare il pointer del mio mouse sulle parole in blu che spesso mi portano lontano dalla materia della mia ricerca e mi forniscono informazioni assolutamente inutili. È un po’ come quando chiedo a Google una cosa specifica (per esempio un canto della Divina Commedia) e il programma mi chiede accesso alla mia location. Mi viene voglia di rispondere: “Ma a te, che te ne frega”? E poi magari Google mi dice che Dante è sepolto a Ravenna mentre non sa che Petrarca è sepolto ad Arquà e che Carducci passò buona parte della sua infanzia a Castagneto.
I titoli a mezzo busto devono essere considerati una moda o una scelta definitiva? Nel nostro mondo dell’usa e getta mi piacerebbe optare per la prima soluzione, ma forse c’è qualcuno che apprezza questo modo di presentare un film. Tutti quelli che quando cercano un armadio sperano che Google tiri fuori dal suo cilindro magico tanti conigli in forma di armadio. Se io devo comprare un armadio me lo vado a guardare in negozio perché lo devo toccare, vedere con i miei occhi, magari annusare l’odore della lacca.
Forse Walter Benjamin avrebbe scritto un saggio sull’aura degli armadi!
PRIGIONE DEL CORPO
E DELLO SPIRITO
di Ivana d’Amore
La carcerazione altera
i ritmi vitali.
I polmoni si atrofizzano,
le braccia diventano molli,
le gambe cominciano a formicolare,
il respiro è affannoso,
le parole cambiano d’intensità i suoni,
il corpo vacilla,
il timore ti assale,
la mente a fatica elabora i pensieri.
Sei trascinato in uno stato vegetativo.
La speranza senza illusione
stenta a sorreggerti.
Può dirsi che è la sconfitta
di colui che ci ha chiamato alla vita.
da Sbarre di carta, 2021, p.42,
quaderno reso possibile dall’attività di sostegno ai
carcerati dei volontari.
Il diritto alla salute.
In carcere è uno dei problemi più insormontabili del sistema penitenziario. Negli Istituti manca il personale e le risorse non sono adeguate a garantire i servizi necessari.
Normalmente accade che situazioni critiche, quale ad esempio un improvviso malessere di un detenuto, creino seri problemi. Purtroppo capita spesso di sentirsi male per crisi epilettiche e di non essere soccorsi, perché ritenuto una simulazione dagli agenti della Polizia Penitenziaria.
Se poi succede di sentirsi male durante la notte per problemi cardiaci, c’è poco da sperare. Il medico di guardia si trova, il più delle volte, da un’altra parte. Ma anche di giorno è meglio che il cuore non faccia brutti scherzi; non sempre nelle singole sezioni sono presenti defibrillatori cardiaci, e prima che arrivino i soccorsi dall’esterno, il cuore ha cessato di battere.
Se invece si sopravvive ad un suicidio, si viene puniti. Come accade per autolesionismo, tatuaggi e piercing, con l’esclusione dalle attività, all’isolamento o al trasferimento in altre strutture carcerarie.
In carcere i morti sono tanti e passano nel silenzio e nell’indifferenza. Per alcuni la morte arriva perché il fisico non ce la fa più, o per overdose; per molti, la morte, se la sono cercata. La condizione di detenzione rende, di fatto, il diritto alla salute assai difficoltoso.
Secondo gli ultimi dati del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) concessi ad Antigone, il 70% dei detenuti ha almeno una malattia, il 45% è obeso o in sovrappeso, oltre il 40% è affetto da almeno una patologia psichiatrica, Il 70% fuma, il 14,5% ha malattie dell’apparato gastrointestinale, l’11,5% ha malattie infettive e parassitarie, circa il 53% dei nuovi detenuti è valutato a rischio suicidio (ci si uccide venti volte in più che nel mondo libero).
Telemedicina “Liberi@mo la salute”.
Solo osservando questi dati allarmanti, si comprende la necessità di intervenire concretamente, con l’obiettivo di migliorare l’assistenza sanitaria ai pazienti detenuti degli Istituti Penitenziari Italiani.
È recente la notizia che al carcere di Rebibbia, alla presenza della ministra Marta Cartabia, è stato illustrato dal direttore sanitario della ASL Roma 2 e dal DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), in un breve video, un nuovo progetto di telemedicina “Liberi@mo la salute”.
Collegando telematicamente due postazioni sanitarie, tramite un audio o video, il medico all’interno del penitenziario acquisisce, ed esamina gli esami diagnostici effettuati in carcere, per condividerli con il reparto ospedaliero specialistico dell’ospedale Pertini di Roma (Il tutto in trasmissione protetta e criptata). Successivamente attraverso l’utilizzo di un apparato di videoconferenza, lo specialista supporta il collega da remoto nella formulazione della diagnosi, nelle scelte terapeutiche e nell’eventuale trasporto in ospedale.
La telemedicina, diventa così uno strumento utilissimo per la cura di un ammalato ristretto, atta a determinare in tempo reale le diverse problematiche di salute.
I vantaggi di una medicina svolta da remoto risolverebbe diverse problematiche quali la penuria di personale sanitario all’interno degli Istituti Penitenziari, il trasporto dei detenuti all’esterno da parte degli agenti della Polizia Penitenziaria, l’omogeneità nelle cure, la riduzione del rischio di diffusione di malattie infettive.
Ed anche risparmiare sui costi sanitari, vorrebbe dire poter investire su altri ambiti che ancora oggi appaiono estremamente critici.
Il progetto innovativo,di telemedicina “Liberi@mo la salute”, partirà dal Polo Penitenziario di Rebibbia e rappresenterà un nuovo modello di sanità, promosso dalla regione Lazio. Nel caso avesse impatti positivi nella gestione dei problemi di salute dei pazienti ristretti, sarà possibile replicarlo in altre strutture detentive del Lazio.
Sta per nascere un nuovo modello della sanità Italiana, in grado di garantire il diritto alla salute dei pazienti detenuti, esso rappresenta la volontà di un cambiamento che assolve la funzione di rieducazione di chi vive in carcere come dettato negli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione.