SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
LA NARRAZIONE DELLA NATIVITÀ,
tramandata dai Vangeli di Matteo e Giovanni, e da Giacomo nei Vangeli apocrifi, porta con sé l'indefinibile veridicità di episodi redatti in momenti differenti.
Possiamo credere reale il prodigio di quel sacro evento, oppure immaginarlo come il racconto di una cronaca fiabesca. Sentimenti, emozioni, mistero, che ognuno di noi può percepire in modi diversi. Ma per tutti il Natale è l'attesa gioiosa, pura e di ritorno all'infanzia, di una festa intima che vive nel desiderio di serenità. L'attesa magica vissuta con gli occhi di un bambino, che attende un Gesù Bambino a portare doni ed esultanza.
E la guerra? Se sarà possibile trovare il senso di umanità, nella tregua di almeno un giorno, cosa impedisce di fermarla per sempre?
Giuliana
IL PRIMO PRESEPE
Nel 1223, per la prima volta l’evento della Natività diventa Sacra rappresentazione ideata da Frate Francesco a tre anni della sua morte. Così documentano le “Fonti Francescane” (capitolo XXX).
Per Francesco, «la sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo. […]
‘Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello.’ - per realizzarlo chiede aiuto a Giovanni Valita un amico a lui molto caro, perché - Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne».
Nella notte di Natale dell’anno 1223 il primo Presepe nella storia nel piccolo borgo di Greccio sulle colline laziali si anima di vita.
«E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello.
In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. […]
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».
FRANCESCO D’ASSISI
e il suo secolo
di Francesco Bonanni
Della vita del Santo non si conosce molto in quanto purtroppo la sua biografia è stata piuttosto controversa.
Difatti subito dopo la sua morte avvenuta nel 1226 ad un suo giovane confratello, Tommaso da Celano che aveva avuto appena il tempo di conoscerlo,fu affidato dal Papa Gregorio IX l’incarico di scrivere la sua biografia.
Tommaso redasse una prima versione che fu però rifiutata dall’Ordine Francescano per cui ne scrisse una seconda versione ma anch’essa rifiutata.
Allora fu affidato l’incarico ad un altro confratello che per ragioni anagrafiche non aveva avuto occasione di conoscerlo personalmente per cui si dovette accontentare di raccogliere testimonianze e ricordi di coloro che invece lo avevano frequentato.
Si trattava di San Bonaventura da Bagnoregio, conosciuto come “Doctor Seraficus”, docente alla Sorbona e nel 1588 canonizzato da Sisto IV.
Per comprendere compiutamente la vita di Francesco d’Assisi è necessario inquadrarlo nella sua epoca, il XIII secolo.
Fu questo un secolo importante non solo per la Storia della Chiesa ma anche di quella della Società Civile in quanto pose le basi della Modernità.
Questo secolo godette di un “Optimum Climatico” (iniziato nel IX secolo e terminato alla fine del XIV secolo) caratterizzato da temperature piuttosto elevate che consentirono abbondanti raccolti e quindi un sensibile miglioramento delle condizioni di vita anche delle Classi più umili.
Fu l’epoca della rinascita delle città e di notevoli cambiamenti sociali soprattutto a causa del notevole sviluppo del Ceto Mercantile e ciò comportò lo sfaldamento della medievale Società Trifarica composta da Oratores, Bellatores e Laboratores.
In Italia nacque la Banca moderna e si sviluppano i Commerci, gestiti da una nuova Contabilità ideata dal frate matematico ed astronomo Luca Paciolo e dal mercante Benedetto Cotrugli (la Partita Doppia) e favorita dall’introduzione dei cosiddetti Numeri Arabi, in verità provenienti dall’India, da parte del matematico Leonardo Fibonacci detto “il Pisano”.
In questo contesto la Chiesa svolse un ruolo rilevante in quanto con la sua numerosa Gerarchia occupava gran parte della Società Civile dell’Epoca.
Il Clero, pur composto da pochi Presbiteri (Sacerdoti), era tuttavia molto numeroso e così ripartito: Ostiari, Lettori, Esorcisti, Accoliti, Suddiaconi, Diaconi e Presbiteri.
Un fanciullo che entrava in una Scuola Vescovile acquisiva lo Status di Ostiario.
Gli Studenti Universitari dell’Epoca, i noti Clerici Vagantes, erano considerati parte del Clero e quindi soggetti ai Tribunali Ecclesiastici.
La Chiesa del Medioevo era una Comunità che pervadeva pienamente la Società Civile per cui, come ribadisce lo Storico Franco Cardini, era difficile essere Cittadino senza essere un Membro della Chiesa.
Gli stessi Sovrani erano ordinati Diaconi, anche se godevano di particolari dispense.
Ma la Chiesa all’epoca di Francesco, a causa del suo notevole Potere, appariva lontana dalla gente e dai Principi del Vangelo.
Difatti con la Riforma di Gregorio VII, nel XII secolo, la Chiesa si era liberata dall’assoggettamento dalle Istituzioni Imperiali e la sua Gerarchia aveva acquisito un forte Potere Totalizzante.
Inoltre il Sacerdozio pesava potentemente sul Laicato: le Parrocchie gravano con l’esazione delle Decime.
Per conseguenza nacquero i Movimenti Ereticali i quali, a differenza di quelli del passato, non si limitavano a reinterpretazioni del Pensiero Teologico ma erano delle vere e proprie rivolte morali che contestavano lo stile di vita degli Ecclesiastici accusandoli di aver tradito lo spirito del Vangelo inseguendo Potere e Ricchezza.
Quando Francesco con i sui 11 Confratelli si presentarono a Roma dal Papa vestiti di stracci, oltre a creare scandalo e disprezzo, rischiarono di essere fraintesi anche se chiedevano semplicemente di vivere secondo i dettami del Vangelo in una Comunità che fosse riconosciuta dalla Chiesa, in quanto all’epoca qualsiasi Esperienza Spirituale si individuale che collettiva era concepibile solo dentro la Chiesa ed ogni esperienza fuori di essa sarebbe stata percepita contro di essa e quindi eretica.
Francesco ottenne una prima approvazione orale (Vivae vocis oraculo) da Innocenzo III e solo nel 1223 un riconoscimento scritto con la Bolla di Onorio III (Soletannuere)
Ma la scelta di povertà radicale ed assoluta rischiava di diventare indirettamente ed involontariamente un atto di accusa nei confronti della Ricchezza e del Potere della Chiesa per cui il Pontefice intervenne ripetutamente a frenare il Movimento Francescano e a costringerlo suo malgrado a mitigare la severità della sua Regola.
Inoltre Francesco anche all’interno del suo Ordine trovò alcune resistenze per quanto riguardava l’applicazione della sua Regola per cui visti traditi i suoi severi principi negli ultimi anni della sua vita abbandonò l’Ordine da lui stesso fondato e si ritirò alla Porziuncola, piccola chiesa dentro Santa Maria degli Angeli, ove morì nel 1226.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Esercizio di analisi testuale
di Giancarlo Marchesini
Esiste una locuzione tedesca che tradotta alla lettera recita: “Perché scegliere una soluzione semplice quando ce n’è una complicata?”In italiano certe volte ci esprimiamo col modo di dire (ironico evidentemente) “Ufficio complicazione affari semplici” riferendoci al bisogno intimo di non adagiarsi sulla prima soluzione che ci viene in mente o per prendere in giro la nostra burocrazia.
Perfezionismo o autocritica? Ma perché i tedeschi hanno inventato una locuzione del genere? Quali sono le motivazioni profonde che l’hanno prodotta e cosa vuol dire in realtà?
Ad un primo approccio potremmo pensare che si tratti di un’autocritica espressa con studiata ironia: la ricerca ossessiva di soluzioni perfette, tipica dell’animo tedesco, comporta un notevole dispendio di energie intellettuali (e risorse finanziarie) che finisce per ritardare o addirittura ostacolare soluzioni semplici e lineari.
Il paradosso della complicazione. Ma, d’altra parte, si potrebbe pensare che i tedeschi si divertano ad esprimere con un paradosso il fatto che le soluzioni immediate possono rivelarsi semplicistiche e che non tengano conto di tutti i dati del problema. E questo spiega, nella cultura germanica (letteratura, filosofia, musica, ecc.), la venerazione per la complessità, dall’estetica di Hegel e alle Critiche di Kant alle cattedrali armoniche di Beethoven.