SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
14 febbraio
Ciò che amor mi ditta dentro io vo significando
(Purg. XXIV, vv. 55-57)
Quanti modi per scrivere, per dire, per cantare, per gridare l’amore. In quanti silenzi ci siamo detti l’amore. Eppure i modi non finiscono mai, ognuno è a suo modo differente e uguale all’altro. Storie che tutti possono vivere in un incontro fortuito che può durare un giorno, un breve periodo o tutta la vita. E così ogni anno gli innamorati hanno un giorno speciale per ricordarlo o dimenticarsene per dimostrarlo, non fa differenza. Perché per loro il tempo non è quello del calendario.
Da questi amori nascono capolavori nell’arte, nella letteratura, nella musica. E quanti capolavori della cinematografia hanno emozionato il nostro cuore… ma anche tra noi amici che condividiamo queste emozioni ci sono tanti innamorati e forse, proprio da loro, giunge un messaggio meraviglioso da quel giorno in cui Ettore volle battezzare “Simposio” i nostri incontri, pensando a ciò che animò Platone intorno al significato di Amore, che nella sua massima espressione arriva al sommo Bene.
Giuliana
I RACCONTI DAL FARO
“LE ROCCE SPOSATE”
NEL MARE DEL GIAPPONE
Nelle acque della Baia giapponese di Ise vi è una formazione naturale chiamata Meoto Iwa, nota come “Le Rocce Sposate”. È costituita da due rocce emergenti dal mare che - secondo il pensiero shintoista - rappresentano l’una il dio Izanagi e l’altra la dea-consorte Izanami, i quali - in principio - avrebbero creato le isole dell’arcipelago del Giappone, le altre divinità e gli esseri viventi. Per ciò, sono considerati protettori del matrimonio, della fertilità, della famiglia.
In Giappone la religione Shintō, autoctona, è tramandata da molti secoli ed è anteriore alla diffusione del Buddhismo. Di caratteristica animista, riconosce che anche oggetti, luoghi e realtà fisiche abbiano uno spirito divino (ne è un esempio la sacralità del Monte Fuji), e, per questo, è anche politeista e le sue divinità (“kami”) sono numerose.
“LE ROCCE SPOSATE”
Sul lato dell’Oceano Pacifico dell’isola di Honsū, la maggiore dell’arcipelago giapponese, vi è la vasta area del Santuario di Ise (Ise-jingū), shintoista, dedicato alla dèa del Sole, Amaterasu Omikami, progenitrice della stirpe imperiale. Il comprensorio sacro di Ise è un complesso di circa un centinaio di santuari e la dèa Amaterasu è specificamente adorata in uno di questi, il Naiku-jinja, Ma, per il nostro articolo, dovremmo soffermarci su di un altro santuario, il Futami Okitama-jinja, immerso in una pineta scoscesa verso il mare e caratterizzato dalla presenza di numerose statue e statuette di rane (offerte votive lasciate dai fedeli). Infatti, proprio al suo recinto religioso appartiene la formazione rocciosa di Meoto Iwa, di cui abbiamo accennato in apertura: due rocce vicine l’una all’altra nel mare durante l’alta marea, di diversa grandezza, a pochi metri dalla riva. Quelle rocce sono un luogo di adorazione del Sole (all’alba del Solstizio d’Estate il Sole sorge esattamente tra di loro), ma soprattutto sono - in quanto “abitate” da divinità protettrici del vincolo coniugale - il simbolo dell’amore indivisibile, espresso visivamente dalla fune sacra che le unisce. Coppie di fedeli vi giungono a pregare e a chiedere la benedizione per un matrimonio duraturo e felice.
IL LEGAME MATERIALE
Una pesante corda rituale di canapa e paglia-di-riso intrecciate di circa 35 metri léga i due scogli, dei quali il più alto (che rappresenta Izanagi) raggiunge circa i 9 metri di altezza, mentre il più basso (che rappresenta Izanami) circa i 4 metri. Un piccolo torii (porta sacra) si erge sulla cima del più alto e attraverso di esso le preghiere dei fedeli giungono al cielo divino.
IL SANTUARIO SHINTŌ
Un santuario shintoista si riconosce immediatamente rispetto ad un tempio buddhista per la presenza all’ingresso del tipico portale “torii” (alta porta stilizzata, spesso in legno) oltrepassato il quale i fedeli e i visitatori dal mondo materiale entrano in quello consacrato. Prima di varcare il torii, è buona regola effettuare un inchino. Si percorre poi un lungo viale (metafora del “sentiero dell’esistenza umana”) circondato da una foresta sacra, che conduce al luogo di culto.
I fedeli vi camminano sui lati esterni per non ostacolare il passaggio delle divinità, che transitano al centro. In fondo al viale, una fonte d’acqua permette di purificare le mani e la bocca prima di rivolgersi alle divinità. Comunemente, il centro del santuario è diviso in due zone: la struttura in cui è custodito il simulacro della divinità (“honden”), nella quale non possono accedere i fedeli e il pubblico; e, di fronte, il luogo di preghiera (“haiden”) al quale i fedeli e il pubblico sono invece ammessi e possono fare offerte. Le strutture sono costruite in solido legno di cipresso senza utilizzare chiodi per adattare le travi, ma semplici legature.
RITUALE DELLA PREGHIERA SHINTŌ
“Delicatamente si versa l’offerta nella apposita cassetta di legno.
Si fa suonare la campana per scacciare le entità malvagie.
Si fa due volte un inchino profondo (con le mani sulla parte anteriore delle cosce, piegando in avanti il busto).
Rialzato il busto, si uniscono le mani all’altezza del petto in segno di preghiera.
Si fa scivolare la mano destra molto leggermente verso il basso.
Si aprono le mani lateralmente sino al termine delle spalle e le si battono due volte per richiamare l’attenzione della divinità.
Riunite le mani, si fa scivolare in alto la mano destra, a far combaciare di nuovo le dita.
Si offre la preghiera.
Conclusa la preghiera, un inchino ancora, ma leggero”.
HAIKU
Del poeta giapponese Matsuo Bashō (1644-1694, Periodo Edo), una suggestiva composizione haiku:
Tranquillità
Il verso di una cicala
Penetra la roccia.
Il Guardiano del Faro
Morire più tardi
Anni addietro ebbe la fortuna di conoscere quel che si dice un anonimo impiegato dell’ASL (allora denominata: INAM).
Scrivo e dico “fortuna” perché, successivamente, Michele scoprì che quell’anonimo impiegato era un ottimo pittore, colto, amante della musica classica e in particolare, fatto questo da non assolutamente sottovalutare, un uomo che amava bazzicare con rigattieri o girando per mercatini delle pulci, quei luoghi dove la memoria sta di casa e dove è possibile muoia più tardi.
Era caduto ‘o puorco mmiez ‘e mele! Quel giovane si era ritrovato, improvvisamente, a frequentare un maestro di vita che serenamente lo invitava a pranzo come se fosse uno di famiglia, oppure la sera in pizzeria, che con piacere gli permetteva di frequentare lo studio dove dipingeva e, insieme, ascoltare musica.
Sì, quell’uomo fu proprio una benedizione. Michele aveva trovato la strada per procedere lungo i suoi sogni, anzi: la possibilità che alcuni di essi stavano realizzandosi. E chi lo fermava la domenica quando il pittore Brulé, decideva di andare al mercatino!
Altro che Piedigrotta! Il cuore del giovane impazziva di gioia immaginandosi vagare nel mare magnum dell’impensabile, tra le milamila cose vecchie con un’anima ancora, che ancora bisbigliavano a chi s’approssimava, desideroso d’ascoltare…
Il giovane aveva un certo intuito e, ogni tanto, indicava qualche oggetto che, tra migliaia, agli occhi di Brulé era sfuggito ed ecco, allora, che il pittore lo prendeva tra le mani, lo guardava con attenzione e, da vero intenditore, ne spiegava la provenienza, la fattura, il valore anche commerciale, ma innanzitutto memoriale; quando, poi, riteneva che ne valeva la pena, richiamava l’attenzione del venditore e, in quel momento, cominciava il baratto, circostanza in cui Brulé confermava la sua maestria. Queste e tante tante altre esperienze furono fondamentali per Michele perché toccava con mano il sogno e lo conservava in cuore.
Brulé amava anche la poesia e Michele, un giorno, vincendo il pudore, gli portò a leggere i propri versi. Dopo qualche anno li vide raccolti in un libro il cui titolo, Occhi sospesi, ben comunicava la dimensione ancora incerta del suo sguardo sulla vita.
Altri e altri anni son trascorsi, Brulé ha lasciato questa terra ma Michele non ha mai smesso di vagare per mercatini; addirittura in Inghilterra, di domenica mattina lo puoi trovare col cognato in un mercatino delle pulci, alla ricerca del tesoro che, talvolta, è veramente un piccolo gioiello di Storia quotidiana, di cui la gente si disfa senza rimorso.
Qualche settimana fa, in città, Michele vide esposto nella vetrina di un negozio di piccolo antiquariato un cofanetto ambizioso che metteva in mostra, sul coperchietto, pietre colorate e armoniosamente incastonate.
Quant’è grazioso, pensò, sarebbe bello donarlo ad Alessandra inserendo nello scrigno un oggettino delicato, ad esempio un braccialetto seppure non pretenzioso. Potrebbe trovare nel cofanetto, addirittura e in segno di storica testimonianza, i giusti versi…
Entrò, domandò e con pochi euro e un po’ barattando acquistò il cofanetto e tre braccialetti tra il garbato e il vezzoso.
Uscì molto soddisfatto e avvertì già la mente andare in cerca di parole. Percepì che il forno era caldo, il lievito pronto, pronta la farina; doveva solo aggiungere acqua e cominciare a impastare… i giusti versi. Questi:
Lentamente
chiuse come sono
in questo scrigno
sbiadiranno le parole.
Duri come sono
l’osso e la pietra
ancor più tempo impiegheranno
a farsi polvere.
Dal primo giorno all’eterno invece
mai crebbero
mai conosceranno rughe
gl’innamorati sguardi
le mani
l’unica promessa.
Lello Agretti
il 20 dicembre 2024