Il Pd deve cambiare pelle per risolvere la crisi
Partito da rottamare
Persiste il marasma in casa PD; persiste perché l’approccio che porta al tanto agognato congresso sembra restare un approccio di potere, di valutazioni fra chi conta di più. Anche se, comunque, non può che essere il consenso a designare la leadership, sembra sfuggire il fatto che è la stessa concezione del partito che ha fallito; la concezione e la struttura pongono limiti e situazioni che il mondo che si evolve non può accettare ma, ancora più importante per un partito, non sono vincenti. Si sentono ancora frasi del tipo “da soli non si vince”, che resta la più ambigua delle affermazioni programmatiche che un leader di partito possa pronunciare. Questa Italia ne ha viste di coalizioni spurie, di aggregazioni legate con lo sputo, di governi che duravano un anno e quando duravano di più era solo per fare più danni al Paese.
In coalizione si può anche vincere ma poi, con connubi innaturali, non si governa o si sopravvive emanando leggi e provvedimenti sempre ambigui perché sempre figli di compromessi ideologici. E poi allearsi con chi? Con partiti alla sua sinistra, se sono su sponde opposte su politica esteri ed ambiente? Con Italia Viva ed Azione che sono due costole che hanno scelto il liberalismo? O con la setta di Giuseppe Conte che vive di populismo puro e di opportunismo letale? Il Partito Democratico già frammentato nel suo interno e con una storia di scissioni auspica alleanze per vincere e non lavora per ritrovare la propria anima e le tante ragioni di forza che potrebbe avere.
Il Congresso è solo accanimento terapeutico”, lo afferma Rosy Bindi che, dopo esserne stata Presidente, ora guarda al suo partito con la saggezza di chi è fuori della mischia. “Per risanare il Pd e farne il motore di un’alleanza progressista occorre essere tutti pronti a mettersi a disposizione, fino allo scioglimento dell’esistente, per costruire un campo progressista coinvolgendo quelle realtà sociali che già interpretano il cambiamento e non trovano rappresentanza politica”.
E’ questo il punto, la ricerca del consenso interno per eleggere un nuovo segretario, nel contesto ideologico di questo PD, è un approccio destinato a fallire, perché le due anime che hanno portato alla creazione del partito non hanno mai trovato una vera sintesi, quella sintesi che sembra invece essere più credibile nei partiti come Italia Viva e Azione che del PD rappresentano emanazioni e chiaro segno di dissenso: un dissenso proprio figlio di quella mancanza di sintesi tra le due anime che hanno dato vita al partito. Il PD è diventato il partito ZTL ed ha lasciato le periferie come terreno di conquista delle destre e del populismo grillino. E’ diventato un ibrido permeato di correnti le quali, più che rappresentare una diversità tra diverse sfumature ideologiche, sono e sono sempre state strumenti di gestione del potere, della distribuzione delle poltrone e degli incarichi.
AereaDem di Franceschini, Dems di Orlando, Base Riformista di Guerini, Giovani Turchi di Orfini e poi c’è il gruppo dei sindaci capitanato da Matteo Ricci, sindaco di Pesaro; più rimasugli e lasciti di chi è uscito dal PD, ma tiene ancora un piede dentro ed infine quelli che escono ma rimangono nei dintorni. Ma quando bisogna trovare un nuovo segretario i capi delle correnti non scendono in campo per cimentarsi nello sviluppo e nella gestione del partito ma telefonano ad uno che tiene corsi sull’Europa nella Grande Scuola delle Scienze di Parigi e lo supplicano di assumere la guida del partito. Tra la decina di grossi nomi che hanno guidato il PD dalla sua formazione e ne hanno creato lo sviluppo, nessuno era più capace di Enrico Letta di guidare il partito e, visti i risultati di quest’ultimo, molti sono i dubbi sulle capacità degli altri. E, dopo il plastico fallimento di Enrico Letta i capi delle correnti e gli altri grossi nomi che hanno costituito la storia, specialmente della componente progressista del partito, non si candidano ma restano a contare quanti sono i voti che riescono ad esprimere e lasciano l’incarico di cimentarsi, praticamente a due outsider Stefano Bonaccini ed Elly Schlein che, anche se con sfumature diverse, ripropongono le anime centrista e progressista del partito.
A livello di competizione politica il Partito Democratico ha perso buona parte del suo appeal di partito dei lavoratori, del partito di coloro che restano indietro, incapace di condurre grandi campagne di riscatto sociale relegando la proposta politica in difesa di istanze certamente meno essenziali, certamente meno urgenti e certamente meno popolari come lo jus scholae, i reati lgbt, l’eutanasia e la coltivazione della cannabis per uso domestico. I vetusti giocatori di tresette delle bettole della Romagna rossa e i pensionati delle fabbriche del nord che hanno dato l’anima per far crescere questa Italia, guardano dall’altra parte e non per votare a destra ma per votare Movimento 5 Stelle, oppure vanno a impinguire la lunga lista delle astensioni.
L’iter congressuale che dovrebbe essere il palco sul quale si confrontano le idee, si scontrano le tesi; è diventato una noiosa tiritera di sondaggi, di pettegolezzi è: il tutto per eleggere un Segretario che è già eletto e che avrà, quanto meno, un merito immediato e cioè quello di aver restituito alla Francia un professore che in strategia politica non è una cima. Poi se non ci sarà una rifondazione non ci sarà una rinascita ed il rischio è quello di lasciare le tesi della sinistra nelle mani improvvide ed incapaci del Partito di Conte.
Sergio Franchi
Dopo i primi 100 giorni del governo Meloni possiamo tracciare un mini bilancio
Lasciamoli lavorare
Sono andato a rileggermi alcuni titoli di giornale pubblicati nel periodo pre-elettorale. “Il governo Meloni un pericolo per la Democrazia”, “Il Governo Meloni è reazionario”, “Meloni, i rischi con l’Europa”, “Vittoria di Meloni un rischio”, “Spread alle stelle col Governo Meloni” e la frase di Letta “Pericolo Meloni, l’Italia deve stare al centro dell’Europa e non verso Budapest”. Previsioni catastrofiche e poi le allusioni agli ipotetici nonni politici di quella che i sondaggi davano in vantaggio, i pericoli di involuzione fascista ed i mercati in crisi di fiducia verso l’Italia. Le elezioni sono finite, sono passati più dei cento giorni fatidici e non si sono viste camice nere scorrazzare per le strade e cantare inni alla nuova ducessa della Garbatella. L’Europa non ha cacciato la Presidente del Consiglio Italiana, i mercati non sono crollati e gli investitori continuano a comperare il debito italiano; anzi lo spread col Bund Tedesco è diminuito di circa il 25%, che significa miliardi di risparmio per il bilancio dello Stato. Il Partito Democratico, che il Segretario Letta ha lentamente portato ad una sterilità assoluta, è rimasto ingarbugliato nella rete di incongruenze di chi auspicava un campo largo con una visione molto ristretta del concetto di alleanza; di chi parlava di progressismo limitandosi alla denigrazione dell’avversario come ai tempi dell’anti-berlusconismo più becero. Insomma solo coloro che sono in malafede non riescono a riconoscere che il nuovo governo sta dando vita ad una rinascita concreta della politica estera italiana e non è un invito a cena di un Macron qualsiasi a limitare un successo ottenuto con l’incontro di 53 capi di stato in poco più di cento giorni. Una rinascita che Draghi, forte però di una notorietà e prestigio indiscutibili, aveva iniziato dopo la disastrosa esperienza dei Governi Conte, quando il presidente del Consiglio Italiano era diventato talmente famoso all’estero che il Presidente americano lo chiamava Giuseppi. Dopo Draghi, il diluvio; dopo Draghi il disastro e l’isolamento internazionale. Non è così; dopo lo zavorramento indiscutibile a guida Di Maio della politica estera italiana, la Presidente del Consiglio ha dato vita ad una vorticosa serie di incontri internazionali che nessun governo in precedenza aveva messo in campo in un periodo cosi ristretto. Il bilancio che, era impossibile approvare in tempo con le elezioni a settembre, è stato varato e, anche se limitato negli effetti per le note limitazioni economiche, è stato ritenuto molto equilibrato dall’Europa. che ha accolto senza remore il nuovo governo Italiano. Istanze come quella della revisione de PNRR che, secondo le cassandre storiche, avrebbe dovuto provocare la perdita dei finanziamenti è stata accolta, perché basata sulla logica di un’inflazione generalizzata dovuta ad una guerra che nessuno aveva potuto mettere in conto. Il problema della migrazione clandestina è passato da essere un “problema dello stato di primo approdo” al “problema dei confini esterni dell’Italia come i confini esterni dell’Europa”; ed un tavolo di discussione è stato aperto a livello comunitario. La dipendenza energetica dal gas russo è crollata dai 29 miliardi di mc a meno di 9 miliardi, anche a seguito dei nuovi accordi con l’Algeria, con l’Egitto e la Norvegia ed il potenziamento di fonti alternative come l’entrata in funzione di due rigassificatori e la riapertura delle piattaforme italiane in Adriatico. Il prezzo del gas in Italia è in ribasso ed è prevista una ulteriore riduzione delle bollette di circa il 35%. Non tutto merito del nuovo governo, ma il Governo Meloni si è posto l’obiettivo di trasformare l’Italia nell’hub di accesso energetico dei paesi importatori di gas in Europa. Nonostante la crisi energetica e una guerra latente, nonostante la norma iniqua del reddito di cittadinanza, il numero degli occupati continua salire ed il tasso generale della disoccupazione è ai minimi degli ultimi anni con il 7,8%. In un contesto internazionale ribassista, le agenzie di rating correggono al rialzo la crescita italiana per il 2023. La stampa internazionale che l’aveva sberleffata in modi spesso rozzi, ora la considera una leader seria ed affidabile. Il Sundat Times, che è stato sempre acido verso la “spaghetti politics”, ora titola “Meloni era definita un pericolo ora è il leader più popolare d’Europa”. Il Governo di centro destra è il primo, dopo anni, ad essere stato formato a seguito di prevalenza in elezioni nazionali e quindi è un governo “politico” ed un governo politico di “centro-destra”, con buona pace degli avversari, deve prendere provvedimenti di “centro-destra” e, se è un governo affidabile, deve mettere mano ai provvedimenti che sono funzionali alla realizzazione del programma su cui i cittadini lo hanno votato.
L’eliminazione del reddito di cittadinanza ai tanti baldi giovani, molti con accento napoletano, che hanno aggiunto alla devozione a san Gennaro quella a san Giuseppe Conte, era nel programma di governo e produrrà due effetti: la cancellazione di un obbrobrio legislativo e la distruzione di un giocattolo su cui il Movimento 5 Stelle ha basato la propria sopravvivenza. La sicurezza e la giustizia sono altri due capisaldi degli obiettivi programmatici del governo di centro destra. Sono passati poco più di 100 giorni e la polemica politica divampa sia per la bozza di riforma della giustizia, con alcune correzioni anticipate del provvedimento Cartabia per ristabilire la procedibilità d’ufficio in fragranza di reato, sia per alcuni provvedimenti sulla sicurezza come la normativa sui rave party che un’opposizione sterile ha voluto definire come legge per limitare la libertà di aggregazione dei giovani, dimenticando i danni ed i reati che questo tipo di aggregazioni, permesse solo in Italia, provocano alle persone ed alle cose degli altri. E poi, capita per caso che durante i primi 100 giorni viene catturato uno dei capi più sanguinari di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, latitante da 30 anni ed un altro pezzo da 90, pluri-condannato, Edgardo Greco latitante da 17 anni arrestato in Francia mentre faceva pizze napoletane. Un altro provvedimento bandiera è il presidenzialismo per cui sono già al lavoro coloro che ne dovranno organizzare il complesso dibattito. Non so fino a che punto si faccia politica utile se si nega tutto, se si afferma che l’avversario politico sbaglia anche quando propone provvedimenti che si sono votati e difesi quando si era al governo. Alla nostra politica manca quella credibilità che dovrebbe convincere i cittadini ad andare a votare, ma alla politica manca anche il benché minimo senso del fairplay. L’attacco all’avversario è immediato e spesso basato sull’aria fritta, come quello al capo gruppo parlamentare di FDI, Donzelli, per aver rivelato notizie cosi riservate che Repubblica le aveva già pubblicate ed argomentate il giorno precedente. Tanto rumore per coprire le ragioni di chi, come Andrea Orlando, era andato a visitare il pericoloso anarchico Cospito al 41 bis, dopo aver perorato per iscritto l’abolizione di tale regime carcerario, che tanto danneggia mafie e terroristi.
Attacchi e critiche sterili sono spesso segno di mancanza di capacità propositiva. Insomma mi trovai a scriverlo 10 anni fa quando un battaglione di grillini invase il Parlamento e quando diventarono forza di governo, “lasciamoli lavorare”. Dopo che per dieci anni che “hanno lavorato” i grillini e la loro rivoluzione si sono rivelati, purtroppo, un disastro. L’Italia ha bisogno di uno scossone che la svegli dal letargo di anni di mediocrità. Ben vengano i cambiamenti drastici, nel sistema di governo, nella gestione di una giustizia lenta e spesso iniqua ed asservita ad intenti di parte. Ben venga il ritorno a comportamenti e valori identitari che solo l’ideologia ha voluto ritenere politically incorrect, se la libertà permane per coloro che li rifiutano. Insomma, lo direi per qualsiasi altro governo: gli italiani si sono espressi, la campagna elettorale è finita, “lasciamoli lavorare”, vediamo quello che sapranno fare, “lasciamoli lavorare” nella speranza che questo mio invito abbia miglior esito di quello che feci nei confronti dei grillini e poi li giudicheremo per quanto saranno stati capaci di fare.
Sergio Franchi