La politica arruffona degli ultimi anni ha fatto escludere l’Italia dalle decisioni che contano sia per l’influenza nel Mediterraneo che in Europa
Siamo fuori gioco, segno di un fallimento palese
Il nostro Paese, per dimensioni, per consistenza economica e per storia non ha mai avuto un peso molto rilevante nello scacchiere mondiale, almeno dopo una guerra tragicamente perduta. Il merito della politica passata e mi riferisco a quella della famigerata prima Repubblica, è stato però quello di riuscire a collocare l’Italia nei contesti che contano e quelli che la storia ha confermato essere vincenti come l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea. Sul piano economico l’Italia è entrata a far parte del gruppo prestigioso del G8 mentre sul piano della politica estera, in seno alle Nazioni Unite, l’Italia ha accumulato un prestigio con la partecipazione a numerose missioni di Peace-Keeping, programma a cui il nostro Paese partecipa come terzo contributore in termini economici. Negli anni passati, dunque, il nostro peso nella politica internazionale è stato esercitato ed anche con qualche successo dall’interno dei contesti multinazionali di cui l’Italia fa parte. L’unica area in cui all’Italia è stata concessa qualche autonomia operativa è stata quella “regionale” e cioè quell’ambito in cui il nostro Paese è inserito geograficamente: i Balcani ed il Maghreb libico. In Libia, sin dai tempi di Mattei, l’Italia concentrava la gran parte delle sue attività in ambito petrolifero ed è in Libia che l’Italia, anche attraverso l’ENI, ha esercitato un’influenza predominante rispetto a quella degli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Questo fino alla tragica fine di Gheddafi, voluta dai Francesi.
La Libia è stata e resta il Paese che, per ragioni di migrazione clandestina e per ragioni economiche rappresenta un partner vitale della nostra politica estera. Nel recente passato, dopo il disastro causato dalla morte del Rais, l’Italia ha cercato di mantenere rapporti con il variegato scenario politico che pretenderebbe di governare il paese e quindi con i due uomini forti del potere libico Khalifa Belqasi Haftar, che controlla alcune tribu della Cirenaica e F?yez Mu??af? al-Sarr?j, riconosciuto dall’ONU come Presidente della Libia a seguito dell’accordo di pace del 17/12/2015. Il recente riaccendersi di una guerra fra fazioni, peraltro mai sopita, ha trovato il nostro Paese, la cui politica estera si muove sulle idee di un ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, del tutto impreparato per il compito che ha preteso di ricoprire all’atto della formazione del Governo. Impreparato fino alla gaffe internazionale dell’invito annullato all’ultimo momento dal Presidente Al-SarraJ.
Questo evento ha messo nel ridicolo il nostro Paese ed ha fatto sorridere l’ambiente diplomatico di mezzo mondo. Poi, mentre il nostro governo continua con il mantra del “ci vuole una decisione diplomatica” e “l’Europa delle far sentire una sola voce”, i giochi vengono fatti sui tavoli in cui l’Italia non solo non siede in posizione di leader regionale ma non viene nemmeno invitata a partecipare. E il nostro Ministro degli Esteri fa il vertice con Josep Borrell che, tanto per capire quanto conta, basta ricordare che ricopre il posto lasciato da Federica Mogherini nell’ambito della Commissione Europea. Davanti a tanto disastro si mette in moto un meccanismo di incontri, del tipo di quelli “facimm ‘a mmoina”, non per trattare sul futuro della Libia e dei nostri interessi in quel paese ma per incontrare quelli stanno facendo la politica nel Maghreb e cioè la Turchia e la Federazione Russa.
Il Capo del Governo Italiano è ridotto al rango di Sherpa della politica mediterranea nel tentativo ridicolo di influenzare Turchia, Egitto e Tunisia a lasciare qualche briciola al nostro Paese che è egemonicamente presente in Libia da oltre un secolo, dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano. Ma chi faceva politica estera per l’Italia era Giolitti, e poi Bonomi e poi Mussolini e poi de Gasperi, Nenni, Sforza, Fanfani, Segni, Saragat, Moro, Andreotti, e più recentemente Colombo, Andreatta, Martino e poi Emma Bonino e poi giù giù a calare fino a Gentiloni, Alfano e Luigi di Maio, che di politica estera non ha nessuna esperienza di nessun genere e non solo di politica estera. Quindi la colpa di un fallimento palese, generalizzato ed annunciato di quanto sta succedendo nel cortile di casa nostra non può essere data all’ambizioso rappresentante della politica del “Vaffa” ma a coloro che hanno creduto che Luigi DI Maio potesse ricoprire la responsabilità politica piu pesante in un mondo globale e cioè quella degli Affari Esteri. Responsabilità di un fallimento che va quindi distribuita fra coloro che hanno permesso che ciò accadesse.
La sintesi plastica di quanto conta la nostra politica nel “Mare Nostrum” emerge dalle risoluzioni della Conferenza di Berlino dove, oltre che concordare una pseudo tregua mal digerita dai contendenti, si è parlato di riattivare la “Missione Sophia” o qualche altra missione del genere che, con l’intento di facciata di controllare i confini ed il traffico delle armi, diventerebbe il servizio taxi per l’immigrazione clandestina con destinazione Italia. Ma la goffaggine della nostra politica si può facilmente riassumere nell’atteggiamento fantozziano del Nostro Presidente del Consiglio che cerca inutilmente un posto in prima fila nella foto commemorativa della Conferenza di Berlino ma viene ricacciato in fondo al gruppo; la dove una politica incapace ha portato il nostro Paese. Mentre la politica estera italiana si dipana ai margini dei tavoli che decidono gli “Ottomani” tornano in Turchia e lo fanno schierando qualche centinaio di soldati a fianco del Governo costituito mentre Putin invia qualche compagnia di mercenari a fianco del Signore della Cirenaica. Tanto basta per intavolare un discorso a due per dividersi la Libia. E l’ENI ha dichiarato di voler lasciare il paese.
Sergio Franchi