21 marzo
Festa mondiale delle Poesia
La poesia è quel poco, che poco a poco, con poco o niente
migliora il peggio di me.
di Roberto Pedrona
La poesia: più ne parli e più la distruggi. Le parole distruggono tutto, perché cambiano il significato stesso. Ci allontanano dalla realtà del momento. Quando vedi un bel volto, quando vedi un bel fiore, desideri coglierlo, desideri togliere i suoi petali (m’ama non m’ama), desideri sezionarlo, desideri classificarlo.
Per essere colti, ci hanno insegnato i nomi dei fiori, degli alberi e non come entrare in comunicazione con loro, con la loro essenza, con il potere della loro essenza, in sintonia con l’esistenza.
L’esistenza è un mistero e non è accessibile a coloro che vogliono sempre analizzare, selezionare, ma solo a coloro che sono disposti ad innamorarsene, a danzare con lei. Lo stesso è con la poesia, perché è l’essenza di chi la scrive in quel momento, nel qui e ora. Con essa entri nel mondo del poeta in cui non esiste nessuna logica, perché scaturisce da un cuore che è volato per alcuni istanti nel mondo mistico e parallelo del mondo delle fate ("Sogno di una notte di mezza estate", W. Shakespeare). Il vero poeta esprime stati d'animo che sono tanti e mutano continuamente, perché intravede qualcosa nel mondo parallelo che esprime in versi, spesso carichi di mistero, anche in situazioni di alcuna cultura umanistica. Ma il poeta vero potrebbe non comporre nessun poema, perché tutto il suo essere è poesia: il suo modo di parlare, il suo modo di sedersi, il suo modo di guardare, il suo modo di camminare: tutto in lui è poesia. Esiste come poesia: potrebbe creare poemi oppure potrebbe non crearne: è irrilevante, è creativo comunque
« ...la musica, l'arte e la bellezza ed il mio tempo: una full immersion» (da Il mio tempo di Giorgio Giustiniani) perché la creatività non ha nulla a che vedere con qualche attività in particolare come danzare, dipingere, scrivere poesie, cantare. Ogni cosa può essere creativa dipende dalla qualità creativa che porti nelle cose che stai facendo, è un'attitudine, un approccio interiore. Puoi dipingere in modo non creativo come puoi cantare o recitare una poesia in modo non creativo mentre puoi pulire il pavimento, stendere o piegare i panni o cucinare in modo creativo. Quindi non dobbiamo confinare la creatività ad una attività in particolare.
Ogni essere umano è potenzialmente creativo e può esprimere la sua creatività, la sua poesia, in ogni circostanza persino quando siede in silenzio e non fa nulla, anche il non fare diventa un atto creativo, anche uno stato di non mente diventa un atto creativo: davanti un paesaggio, sotto un albero (gli alberi sacri dell'India) anche nel momento in cui sta salendo sul treno.
Qualsiasi cosa fai, se lo fai con gioia, se lo fai con amore, se il tuo modo di farlo non è soltanto convenienza, allora sei creativo. Se da quello che fai, qualcosa sta crescendo dentro te, se questo ti da crescita, allora è spirituale e creativo, è divino e sta migliorando la parte peggiore di te.
KATHERINE JOHNSON E I CALCOLI EULERIANI
di Sergio Bedeschi
Alla veneranda età di 102 anni, il 24 febbraio, se n’è andata Katherine Johnson. Ne avevamo parlato anche noi nei nostri Simposi. Io stesso, in particolare, l’avevo citata più volte, vuoi nelle non rare circostanze in cui mi ero inoltrato sui temi dei voli spaziali o della conquista della Luna, vuoi quando mi capitò di raccontare la vita del grande matematico svizzero Eulero. Un matematico del diciottesimo secolo e una donna di colore del nostro tempo, idealmente legati da una grande passione per la Matematica e dalla incredibile capacità di calcolo.
Su di lei è stato girato recentemente un film (“Il diritto di contare”, titolo originale: “Hidden figures”, uscito nel 2016), ispirato al libro omonimo. Non è un caso che in quel film, imperniato sulle attività spaziali della Nasa negli anni ’60, si accenni di come alcuni gravi problemi riguardanti le traiettorie balistiche delle astronavi siano stati risolti grazie ai sistemi di calcolo “euleriani” messi in campo proprio dalla giovane Katherine.
UN ENFANT PRODIGE
Ma chi era Katherine Johnson? Questa bimbetta, figlia di un boscaiolo della Virginia, rivelò fin da subito “l’enfant prodige” che era in lei. A 14 anni completa la High School, a 18 anni ha già ultimato gli studi al College e, successivamente, mentre si dedica all’insegnamento della matematica, si avvia a perfezionare sistemi di calcolo e materie ingegneristiche. Nel ’53 entra nella Nasa. Le barriere e i pregiudizi razziali ci sono, e come! Peraltro Katherine non è sola. Con lei sono state assunte altre due giovani donne di colore, Mary Jackson e Dorothy Vaughan, che non le sono da meno: c’è evidentemente chi ha saputo guardare al di là dell’ignoranza umana. Le “Coloured computers” (così venivano chiamate) padroneggiano Geometria Analitica Cartesiana e Sistemi di approssimazione di calcolo in modo sorprendente, gareggiando coi nascenti calcolatori IBM.
INGEGNIERE ALLA NASA
Siamo nel ’61, quando, in risposta all’impresa di Jurij Gagarin, la Nasa lancia nello spazio Alan Shepard, il suo primo astronauta per un volo suborbitale: è Katherine che ne disegna e ne calcola la traiettoria da seguire. Lei e le sue due amiche, chiuse in una stanzetta con a disposizione soltanto gomma e matita, lavagna e cancellino, stanno diventando un riferimento per molti operatori.
E’ così anche per il secondo lancio. L’episodio è noto: a fronte di qualche insorta discrepanza nella pianificazione, John Glenn, destinato al primo vero e proprio volo orbitale (sopra i 100 chilometri di altezza) pretende che, prima della partenza, i calcoli vengano controllati e revisionati proprio da lei e dalle sue compagne.
E non è tutto. Al momento del rientro, anticipato per un guasto tecnico e quindi reso molto critico, sarà proprio Katherine, grazie ai suoi studi sugli scudi termici, a suggerire, con prontezza e fantasia, la soluzione del problema. Ormai è a pieno titolo un ingegnere della Nasa.
UNA PROTAGONISTA DELLO SPAZIO
Nel ’69 sarà protagonista nel preparare e seguire l’Apollo 11 per il primo allunaggio della Storia, intervenendo in modo fatale su alcune necessarie varianti in corso d’opera. Superò qualunque computer, l’anno dopo, quando l’Apollo 13, a causa di un’esplosione, mentre era già ai due terzi del suo percorso, dovette rinunciare all’allunaggio. Si trattava, in quei drammatici momenti, di capire se si dovesse fare dietro-front oppure continuare secondo l’orbita balistica che portasse l’astronave a circumnavigare la Luna per poi tornare a casa, secondo il completamento di un’ellisse cartesiana calcolata e confermata dalle “coloured computers”. Fu attuata questa seconda opzione e tutto andò bene. Fu definito il fallimento di maggior successo della storia dell’astronautica! Negli ultimi anni Katherine ha avuto una vita serena, tra figli e nipoti. Nel 2016, il presidente Obama l’ha insignita della Medaglia Presidenziale della Libertà. Noi del Simposio ne parleremo ancora.
RINCHIUSI IN TEMPI di EMERGENZA
In questi giorni di emergenza, ma soprattutto di sofferenza, può sembrare quasi scontato che alcuni membri della collettività escano ancora più di scena: i detenuti. Persone, che non sono all’apice dei nostri pensieri ordinari, a maggior ragione scivolano in classifica in questi tempi problematici. I motivi possono essere svariati e non conta qui analizzarli.
Nei giorni scorsi poi, le rivolte in carcere hanno restituito un’immagine desolante delle patrie galere. I volontari penitenziari hanno dovuto necessariamente rallentare, o meglio sospendere, i loro accessi in carcere. Se dentro non possiamo andare, possiamo però continuare a fare sensibilizzazione sul tema. E proprio nell’ottica di rifarci ad una fonte competente e attendibile, desideriamo riportare alcune parole di Ornella Favero, Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, apparse sul sito www.ristretti.org (Tempi di virus: capire la sofferenza di chi è in carcere, sconfiggere ogni violenza per il periodico “Ristretti Orizzonti”).
«Provate a immaginare oggi, con questo bombardamento di notizie su un virus che fa paura a noi tutti, di essere rinchiusi in una galera sovraffollata, sentir parlare della necessità di stare almeno a un metro di distanza l’uno dall’altro e sapere che il tuo vicino di branda sta a pochi centimetri da te, in una pericolosa promiscuità dettata dagli spazi ristretti; sentir dire che è un virus che può diventare mortale se attacca persone indebolite dalla malattia e vedere che le persone che hai intorno sono spesso debilitate da un passato di tossicodipendenza e che altre e più gravi patologie coesistono con la detenzione; avere una vita povera di relazioni e vedere dapprima “sparire” tutti i volontari, di colpo non più autorizzati a entrare in carcere, e poi improvvisamente anche i famigliari. Veder sparire le già poche possibilità di formazione e istruzione e dover riempire le giornate con il nulla e la paura. C’è di che perdere davvero la testa.
Se c’è un valore di cui il Volontariato è portatore sempre è quello della non violenza, quindi niente si può giustificare di quello che sta accadendo in questi giorni nelle carceri, ma abbiamo anche il dovere di cercare di capire la disperazione che c’è dietro certi gesti: sette detenuti morti a Modena, forse per aver ingerito del metadone, sono comunque l’espressione della sofferenza e della solitudine che caratterizzano più che mai oggi la vita detentiva. Quando con una qualità della vita già così bassa interviene una catastrofe come quella del coronavirus, pensare che persone che la violenza l’hanno sperimentata spesso nel loro passato possano agire con ragionevolezza è solo un’illusione.
[…] Imparare a rifiutare qualsiasi violenza è un aspetto fondamentale della rieducazione, su cui noi volontari ci battiamo senza sosta con le persone detenute, ma sono percorsi lunghi e complessi, che comportano un'adeguata formazione/informazione e un confronto costante. Ed è per questo che capiamo anche quanto drammaticamente difficile sia per la Polizia penitenziaria affrontare conflitti violenti come quelli di questi giorni, e far fronte a questa emergenza spesso senza adeguate e dettagliate informazioni, e senza i prescritti dispositivi di protezione individuali. E quanto importante sia che quello che sta succedendo in questa tragica emergenza non interrompa, ma anzi sviluppi e rafforzi il dialogo che deve esserci sulla finalità rieducativa della pena».
Commissione Sensibilizzazione – Associazione Vol.A.Re.