IL DECAMERONE
100 novelle in 10 giorni inventate da una compagnia di giovani per far passare il tempo nell’isolamento in una villa sulle colline lontana dalla città contaminata: la peste a Firenze del 1348. La nostra sede pur essendo lontana dalla città è ugualmente come altro luogo, aperta ad ogni possibile contatto che la modernità ha agevolato negli spostamenti. Non possiamo incontrarci per scrivere un altro Decamerone. Boccaccio, con questa invenzione animata da uomini e donne raccontati nei loro aspetti più caratteristi e divertenti, oltre ad aver scritto il suo capolavoro, suggerisce un’alternativa alla pressante informativa sul contagio che ci riguarda. Laviamoci le mani, stiamo attenti ai contatti non indispensabili, evitiamo le effusioni troppo ravvicinate, ma poi … facciamo qualcos’altro, qualcosa che non riuscivamo a fare prima perché non avevamo tempo.
E, nel giusto rispetto alle norme precauzionali, i nostri incontri sono momentaneamente sospesi. C’erano tanti eventi da festeggiare, ma lo faremo quando sarà possibile. Intanto, continueremo a raccontare storie anche noi, quelle che scrivono per tutti voi i nostri amici creativi e volonterosi.
Giuliana
Un “Inno a Venere” per celebrare
l’inizio della Primavera
(da De rerum natura, di Lucrezio)
di Maria Grazia Vasta
Difficile inizio di primavera questo, in cui la specie umana è minacciata da virus, armi nucleari e terrorismo, in un mondo dove a sua volta Madre Natura è continuamente danneggiata dall’essere umano. È arrivato il momento di riflettere sulle priorità che possano salvare l’intero genere umano, e a lungo termine. Cambiando punto di vista dovremmo difendere e non solo sfruttare le risorse del pianeta e il nostro habitat, tutelando in tal modo noi stessi e la nostra salute, e rafforzandoci contro malattie e inquinamento, che insidiano e indeboliscono la nostra salute e ci rendono fragili e spesso indifesi.
Tornare ad amare e rispettare la natura è anche rifarsi ai padri della nostra cultura occidentale.
Uno degli scrittori più importanti tra i classici è Tito Lucrezio Caro (98-53 circa a.C.), autore dell’opera in sei libri De rerum natura, tra i più grandi poemi didascalici della letteratura latina, col quale vuole divulgare il pensiero filosofico di Epicuro (342-270 a.C.). Egli adotta uno stile elegante e un linguaggio ispirato e immaginifico, ricco di perifrasi e similitudini, ammirato anche dai contemporanei come Cicerone, che di lui dirà in una lettera del 54 a.C.: «L'opera poetica di Lucrezio (…) rivela uno splendido ingegno, ma anche notevole abilità artistica».
V’illustra i principi della fisica degli atomi e del vuoto, e della combinazione tra loro che genera infiniti mondi. Invita poi il lettore a non temere la morte, perché cessa sia l’anima che la sofferenza (lo scopo è l’atarassìa, cioè l’assenza di turbamento e il controllo dei sentimenti). Spiega poi l’amore come interazione degli atomi degli organi di senso con ciò che li circonda, fenomeno che dà vita a pensieri e sogni (teoria dei simulacra rerum). Neanche il mondo è eterno e gli dei non interagiscono con gli esseri umani perché non ne sono interessati. Parla pure di alcuni eventi, come l’alternanza del giorno e della notte e il movimento dei corpi celesti, e anche della storia dell’umanità fino alla creazione delle società. Nell’ultimo libro descrive fenomeni naturali come il lampo, le tempeste, l’arcobaleno e il magnetismo. Per finire disserta sulle cause delle epidemie e ricorda la terribile peste di Atene del V sec. a.C.
La sua opera costituirà una fonte d’ispirazione per generazioni di poeti, letterati e artisti a venire.
L’Inno a Venere, posto come Proemio all’inizio del I Libro, celebra la dea come energia e forza ispiratrice e generatrice di quell’amore che permea tutto il creato, dando vita agli animali, che la seguono affascinati, e alla vegetazione, che ridiventa rigogliosa dopo l’inverno. La dea, analogamente alla Primavera, riporta la vita ovunque ella passi, fioriscono i boccioli sotto i suoi piedi, il mare si rasserena e si placa, il giorno è più luminoso. Lucrezio le chiede di assisterlo nel comporre questi versi sulla natura, da dedicare al suo colto amico e lettore ideale Memmio, e che siano meritevoli di fama eterna. La prega anche di portare pace per i popoli tra cui Marte, il suo amante, ha seminato discordia e guerra e infine invoca una “serena pace” specialmente per i Romani.
L’approccio di Lucrezio al mondo che lo circonda è sì materialistico, ma lo stile è altamente poetico e suggestivo, intriso di un profondo amore per la Natura e per l’Umanità intera.
Inno a Venere
Madre degli Eneadi, gioia degli uomini e degli dèi,
alma Venere, che sotto gli astri in tacita corsa per il cielo
désti la vita nel mare sparso di navi, nelle terre fertili di grano,
poiché per opera tua ogni specie di esseri animati
è concepita e vede, nascendo, la luce del sole:
te, dea, te fuggono i venti, te e il tuo giungere le nubi del cielo,
sotto i tuoi passi con mutevole grazia la terra
germina fiori soavi, a te ridono le pianure del mare
e il cielo rasserenato sfavilla di luce infinita.
Infatti appena si dischiude la vista primaverile del giorno
e disserrato prende forza il soffio del fecondo Zefiro,
prima gli uccelli del cielo te, o dea, e il tuo
arrivo annunciano colpiti nel cuore dalla tua forza.
Poi fiere e animali domestici balzano per i prati rigogliosi
e attraversano a nuoto rapidi fiumi:
così [ogni animale] conquistato dal tuo fascino
ti segue bramosamente ovunque tu voglia condurlo.
Infine verso mari e monti e fiumi impetuosi
e le frondose dimore degli uccelli e i campi verdeggianti,
a tutti ispirando nel petto carezzevole amore
fai sì che ardentemente propaghino le generazioni secondo le stirpi.
Poiché tu sola reggi la natura
e senza di te nulla nelle splendenti regioni della luce
nasce né si fa giocoso né nulla si fa amabile
(…).
Mi sono sentita diversi fiori, però il mio fiore preferito è quello del cactus, perché è un fiore stupendo che nasce una volta all’anno. Data la lunga attesa per vederlo, ti si dimostra nella grande immaginazione del suo carattere. Il cactus ha le spine che pungono chi le tocca: lui è molto timido e non vuole essere toccato. E poi lui è programmato per proteggere il suo magnifico fiore.
Il mio cactus, quando lo guardi, ha il potere di tranquillizzarti. Ti leva la tristezza. Se lo guardi bene il cactus ha tante spine e sembra pericoloso, invece no; lui ha una peluria giallina e molto morbida. Al di là delle spine lui è dolce come un bambino e così ti vengono pensieri allegri e ti senti molto sicura vicino a lui.
È buono il cactus. Quando io bevevo non curavo le piante e neanche il cactus. Non mi curavo di me stessa. Lui, il cactus, è sopravissuto nonostante io non lo curassi mentre le altre piante non ce l’hanno fatta. Alla fine è rimasto solo perché forse è innamorato di me come io di lui.
Tratto da “Almanacco delle tre A”
dal carcere di Rebibbia sguardi di donne,
a cura di Tiziana Bartolini e Paola Ortensi