NON SOLO L’8 MARZO…
di Raffaela Mascolo
Il Fattore di ogni bene è per me il Creatore del mondo inteso in tutti i sensi: la Terra, il mare, i fiumi, i monti maestosi e salutari per noi fragili uomini e donne, le piante di ogni specie che bisbigliano tra di loro e per noi mortali producono la frutta dalle multiformi specie, e non c’è da osannare questo o quel frutto, poiché è tutto bello e buono.
Ma il Creatore del Mondo volle pure arricchire questa Terra creando l’uomo e la donna perché la riempissero con il loro amore fecondo.
Ebbene siamo in prossimità del giorno 8 marzo, fissato per festeggiare ogni donna, spesso con il rituale di mandare a ciascuna di noi un mazzetto di mimose volendo così gli uomini manifestare il loro pensiero per noi.
A questo proposito, quando esercitavo il mio lavoro, puntualmente l’8 marzo di ogni anno mi veniva recapitato il suddetto mazzetto al quale non davo il valore di un pensiero carino da parte del mittente ma solo quello di un’altra burla a carico di noi donne, e ciò a causa di quello che vedevo, sentivo, percepivo intorno a me e che purtroppo non pare esser diminuito nel tempo.
Mi spiego… La donna fu voluta dal Creatore perché l’uomo non vivesse da solo ed insieme alla compagna avessero il compito di riempire la Terra. Questo era il progetto del Sommo Bene, il Creatore, ma fin da subito il loro rapporto cominciò a scricchiolare. Tutti sanno che, per l’intervento del demone, il progetto di Dio fu sconvolto e per ripristinare l’intesa tra l’uomo e la donna altro che un mazzetto di mimose ci vuole! Ci vuole l’Amore, ma ancor prima ci vuole il Rispetto, la ricerca e la valorizzazione delle affinità elettive, la pazienzae la comunione di ogni pensiero, persino provare gioia nel vedere l’altro progredire nella sua crescita spirituale e intellettuale.
E invece a cosa assistiamo ogni giorno? Alle guerre quotidiane, alle bufere, e spesso alla fine all’omicidio di chi è comunemente considerato più “debole”, cioè la donna, o alla sua scomparsa nel nulla.
Il Rispetto non deve essere esercitato solo l’8 marzo con il dono di un fiore, ma tutto l’anno, tutti i giorni dell’anno.
Quando raggiungeremo questa utopia? Spero presto.
SCRITTURA AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
QUERELLE DES FEMMES
La misoginia
viene da lontano
di Ivana MoserLa Querelle des Femmes
Il dibattito/polemica legato alla dignità delle donne, anima il periodo approssimativamente compreso fra l’inizio del XV e l’inizio del XVIII secolo, sullo sfondo di una tematica che è andata ben oltre “il tema della donna” e che si è svolta di riflesso anche “intorno agli uomini”.
La misoginia alle origini della nostra cultura: la Civiltà greca
La tradizione europea e occidentale affonda le proprie radici nel pensiero greco e greco è il percorso che dalla differenza sessuale porta alla differenza di genere.
La polis greca per eccellenza, Atene, costruisce i meccanismi istituzionali che determineranno per buona parte della storia greca la condizione della donna: oggetto di scambio fra due cittadini (dal padre al marito), che non gode del diritto di cittadinanza e la cui principale funzione è quella di generare figli e di gestire la casa.
Un caso eccezionale pare rappresentato dalle donne di Sparta, che – secondo molte fonti – trascorrevano la maggior parte del loro tempo all’aria aperta, impegnate in esercizi ginnici che ne assimilavano l’educazione a quella dei maschi. Tale pratica, per esplicita testimonianza, aveva come fine riconosciuto la generazione di figli più forti e più sani, futuri validi guerrieri. La differenza di genere è un dato naturale, originario e immodificabile e la specificità delle donne dipende dalle caratteristiche biologiche che gli dei hanno loro attributo, ci dicono gli antichi greci. Il maschio, rispetto alla femmina è tale per natura, l’uno è migliore, l’altra peggiore, e l’uno comanda, l’altra è comandata. (Aristotele)
Tradizione filosofica
Se non sono certo filosofi e letterati a prescrivere l’atteggiamento prevalente di una data società nei confronti di un determinato oggetto o tematica, essi ne sono però, quasi sempre, un riflesso e un elemento di misurazione. Socrate riconosceva alla donna solo una uguaglianza morale. Ambigua e ambivalente è la posizione di Platone, che, se da un lato afferma l’uguaglianza fra uomini e donne in termini di intelligenza e la possibilità di queste ultime di contribuire alla vita della comunità politica e di entrare a far parte del ceto dirigente (Repubblica) nel Timeo afferma che gli uomini codardi e pigri per tutta la vita, sarebbero rinati donne. E, nonostante l’apertura alle donne nella sua scuola, sembra riconfermare Pitagora quando diceva: C’è un principio buono che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, e un principio cattivo che ha creato il caos, le tenebre e la donna.
Ma è proprio con Aristotele che l’inferiorità femminile viene codificata con maggior ampiezza e sistematicità.
La femmina è femmina in virtù di una certa assenza di qualità e di un carattere naturalmente difettoso e manchevole, sentenzia Aristotele che, affermando come la donna non sia che una sorta di uomo mutilato dal punto di vista biologico, ne legittima di fatto la subordinazione e l’esclusione politica e formula una teoria della differenza tra generi, destinata a durare per secoli, che traduce la «differenza» in inferiorità.
La Letteratura greca è lo specchio di una società gerarchica e rigidamente basata sul disprezzo verso le donne. Numerosi passi omerici attestano che la donna è mero strumento di alleanze tra famiglie e riproduttrice ubbidiente e viene guardata con diffidenza: persino Penelope, paradigma di fedeltà coniugale, non è esente dal sospetto di doppiezza. In Omero si dà già per codificata l’originaria divisione del lavoro che condizionerà a lungo la separazione dei sessi: all’uomo spetta la guerra, alla donna la filatura, la tessitura e la supervisione delle ancelle, come Ettore ricorda ad Andromaca e Telemaco alla madre Penelope. Esiodo non solo individua in tutte le donne la rovina degli uomini affermando che chi si affida ad una femmina si affida ai ladri, ma nel mito di Pandora attribuisce ad una donna, grande malanno per i mortali, la responsabilità per tutte le cose brutte che accadono sulla Terra.
Semonide di Amorgo scriverà violente satire del mondo femminile e dei suoi infiniti difetti (innanzitutto la pigrizia, l’incontinenza, la superbia, la stupidità) in quello che verrà definito un vero e proprio manifesto della misoginia: Satira delle donne o Biasimo delle donne.
La condizione della donna, già subordinata e ideologicamente segregata nella società omerica e nella polis aristocratica, con lo sviluppo della democrazia non cambia, rimane quella della relegata in casa ed esclusa dallo spazio civico. In parallelo, anche nelle rappresentazioni la sua disvalorizzazione si consolida e i topoi misogini fioriscono nella letteratura del V secolo, nella storiografia, nell’oratoria ed in particolare nel teatro.
Il Teatro ateniese
Scritto, diretto e interpretato da uomini e per una società maschilista. C’è quindi una forte contraddizione tra la posizione subalterna e spesso disprezzata della donna nell’Atene del V secolo a. C. e la presenza nel teatro greco di figure femminili cui sono affidati significati che incarnano valori assoluti, personaggi femminili che danno volto a tutte le sfaccettature dell’umano. È ipotizzabile che gli autori abbiano sentito, almeno nella finzione tragica, di poter lasciare che la psicologia femminile esplodesse in tutta la sua vitalistica espressività, esaltandone così l’accettazione o condannandone la fuoriuscita dal ruolo sociale imposto. Platone infligge una dura condanna all’arte teatrale, affermando che la rappresentazione di passioni indomabili avrebbe scatenato nell’animo degli spettatori comportamenti nocivi per la polis e l’interpretazione di psicologie femminili, inclini all’irrazionalità, avrebbe influito sul carattere morale degli attori.
Secondo Aristotele invece la denuncia scenica di fortissime inquietudini, della passionalità e dell’irrazionalità tipicamente femminili, aveva lo scopo di suscitare negli spettatori sentimenti di e, talvolta terrore e orrore, attivando la cosiddetta catarsi, la purificazione cioè da stati d’animo potenzialmente nocivi, che non potevano/dovevano appartenere al mondo maschile.
Al di là delle forzature che si sono operate in varie riletture, il confronto tra generi nella tragedia greca è un fatto indiscutibile, ma anche quando l’opera teatrale travalica il suo tempo e acquisisce un ruolo importante nella cultura universale, va sempre ricordata la realtà da cui origina, in questo caso in particolare le condizioni culturali e sociali delle donne nel V secolo a.C. in Grecia, in particolare ad Atene.
Nel prossimo articolo la figura della donna nell’antica Roma e nell’ambito della Chiesa.
CURIOSITÀ NELLA POESIA/14
di Sergio Bedeschi
Nella puntata precedente abbiamo raccontato l’insuperabile e sublime conclusione del Paradiso dantesco, laddove il Sommo poeta incontra (sarebbe meglio dire affronta) la visione di Dio. Lui, che è a immagine e somiglianza del divino (come tutti noi), tenta di identificarsi e di penetrare nella fantasmagoria di ciò che vede, ma subito si accorge che “non erano da ciò le proprie penne”. Lo sforzo è disperato e richiama alla mente i tentativi che i geomètri hanno compiuto fin dai tempi più antichi per “indovare” (cioè mettere dentro) un quadrato che abbia la stessa aerea di un cerchio assegnato. Questo grande sogno della Geometria dell’antica Grecia, chiamato Quadratura del Cerchio, mai realizzato e mai realizzabile con l’esclusivo uso della riga e del compasso come pretendevano i saggi di Atene, verrà sviscerato e risolto soltanto nel XVII secolo grazie però ai nuovi strumenti algebrico-matematici inventati da Isaac Newton (l’Analisi Infinitesimale). Beh, volete saperne una? Mi ci sono provato anch’io! In una poesia, s’intende. E come vedrete, ci sono riuscito benissimo! Anzi di più: oltre ad aver risolto lo straordinario enigma non ho mancato di esaltarlo come il più grande traguardo della mia vita. Mica poco, ragazzi! Bando agli scherzi: leggetevi la filastrocca e meditate, meditate...
La quadratura del cerchio
Tra libri e pagine ingiallite
ho trascorso tutta la mia vita
apprendista stregone il mio destino
scenario d’incanti che t’invita
errante tra curve gaussiane
spiando lo zero da vicino
inseguo d’appresso l’infinito
le forze umane paion vane
la mente corre verso il mito.
Mi sento così feroce e fiero
al pari d’un predone del deserto
ho scelto la sfida verso il vero
tra numeri io lotto in campo aperto
pensare è il solo mio destriero.
Ho rubato dai libri i lor segreti
decifrato i codici più oscuri
percorso i labirinti più sicuri
sfondato porte dure come abeti
ho penetrato come vile ladro
edifici d’incredibile bellezza
il cerchio tentando dentro il quadro
più avanzi e meno v’è certezza.
Ho frugato tra la spazzatura
lasciata sotto casa dai sapienti
raccolta da me con gran premura
pan duro sempre per i denti
son entrato furtivo nottetempo
come un topo d’albergo di nascosto
a rovistar tra splendidi gioielli
chiusi entro ermetici forzieri
che legan verità coi loro anelli,
aprendo la via dei miei misteri
oggi conosco, ma ignoravo ieri.
Solitario talvolta ho galoppato
praterie immense e desolate
come fossi bandito dal creato
lontano dalle cose mie bramate.
Dal tavolino della mia veranda
coperta di libri fino al cielo,
cercando arcana Samarcanda,
ho volato in alto tra le nubi
ho infranto degli enigmi il velo
calcolato diagonal di cubi,
di sfere il raggio ho ricercato
pigreco è ancor il gran mistero
che scienza ancor non ha trovato
mi pare di ruotar in buco nero.
Ho trovato palazzi di cristallo
con arabeschi pieni di magia
con leggi e formule più belle
avvolte sempre in gran malia
dai quali giù si vede il mondo
e par d’aver toccato il fondo
prima di salire tra le stelle.
Ho aperto stanze luminose
ho respirato tra le gran comete
tra profumi e odori di mimose
mi sono avvicinato a grandi mete.
Poi, amici, ho visto! Ho visto
bagliori grandi tra le fiamme
la luce viva oggi io conquisto
il senso che sta dentro alle cose
e più non appartengo al mondo
usando streghe e fate favolose
ho messo il quadro dentro il tondo.
Sono colpevole di aver scritto quello che ho scritto? Colpevole di essermi preso gioco di Dante? Di averlo sfidato? Colpevole di Lesa Maestà? Di essere riuscito dove lui ha “fallito”? Dai, non scherziamo. Lui è il gigante, noi siamo i nani. D’accordo. Tuttavia, per dirla tutta, non era mica proibito pronunciarsi personalmentesull’enigma della Quadratura del Cerchio. E allora, perché non provarci. Way not? D’altronde è sottinteso che io abbia giocato sporco. Io ho usato strumenti matematici che il ghibellin fuggiasco non poteva neanche sognarsi di avere a disposizione, vale a dire l’Analisi Infinitesimale di Newton. Mi riferisco a quella “roba” che il giovane inglese concepì nella quieta contrada di Woolsthorpe, mentre la peste infuriava in tutto il continente (1665). Proprio in quei giorni in cui, seduto sotto un albero, la mela gli cascava sul capoccione provocando quel che avrebbe provocato. Strumenti formidabili, il futuro di tutta la Matematica del mondo.E allora sì che tutto diventa uno scherzo. O quasi. Io ce l’ho fatta. Provateci un po’ voi!