Apro il giornale e mi balzano agli occhi vicende indicibili: mariti che ammazzano le mogli e le fanno a pezzettini, mettendole nel surgelatore o spedendole a Timbuctù per eliminare il corpo del reato (vale anche viceversa: mogli che ammazzano i mariti, ecc.). A tinte meno fosche: dimostranti che vengono presi a manganellate o respinti con gli idranti o gas vari (per fortuna non gas nervini, almeno per ora). Meno fosche, ho detto, ma in ogni caso cruente nonché preoccupanti per la tenuta della coesione sociale.
Poi ci sono gli attacchi personali fra politici, persone in vista, influencer, attori e cantanti. Spesso i loro firmatari sono costretti a chiedere scusa, come nel recente caso di Liliana Segre (accusata di avere a cuore i bambini ebrei e non quelli palestinesi) o di Jannik Sinner, il tennista che vince ovunque (accusato di prendersela comoda fra un incontro e l’altro). D’accordo, hanno chiesto scusa ma una persona che conta migliaia di followers dovrebbe almeno leggere uno straccio di curriculum o pianificazione prima di uscirsene con accuse infamanti… e poi ritrattarle.
E qui entrano in gioco gli eredi di Mitridate: non ci meravigliamo più di questi fatti sanguinosi o queste maldicenze. Ci siamo abituati alla loro frequenza e gravità, siamo ormai mitridatizzati.
Ovviamente assassinii cruenti sono avvenuti in tutte le ere, dai Cro-Magnon, sterminati dai nostri predecessori sapiens (si fa per dire), passando per le Idi di Marzo, John Kennedy e i dissidenti russi.
Queste uccisioni sono avvenute in tutti i tempi, ma ai giorni nostri vengono portate alla ribalta, spinte sotto i riflettori della cronaca in un’affannosa ricerca di audience e in nome della libertà di stampa (il Primo Emendamento della Costituzione USA istituisce la terzietà della legge rispetto alla religione e al pensiero ma non sopprime la legge: i reati vanno comunque perseguiti).
E di fronte alla legge restano lettera morta affermazioni del tipo “Toh, non ci avevo pensato, non ho letto bene, è stata una reazione istintiva,impulsiva, scusate”.
Esattamente come Mitridate abbiamo alzato il livello di tolleranza ai veleni: queste notizie e queste aggressioni non ci sorprendono più. Ci siamo abituati, ci abbiamo “fatto il callo” e non ci meravigliamo più di delitti efferati o, parallelamente, di denunce infamanti che vivono per poche ore e poi vengono cancellate nei blog… come se nulla fosse.
Siamo diventati insensibili alla povertà altrui, ai disagi, alle malattie e alle morti. Tornano in mente le parole nel discorso di investitura del presidente Kennedy: “Dobbiamo assumerci un fardello contro i comuni nemici dell’uomo: povertà, fame, malattie e perfino la guerra”. Chi vuole più raccogliere questa sfida? Gaza e Israele sono lontani, Kiev ancora di più. Siamo più interessati agli scontrini estivi gonfiati che alle morti dei nostri simili.
Ci facciamo suggestionare dalle vicende mediche di personaggi eccellenti e dimentichiamo le loro colpe nei confronti dello Stato e della società.
Ma attenzione, Signori “mitridatini”: l’assuefazione ai veleni comporta gravi rischi. Tradito dai suoi figli e dai suoi sodali, Mitridate aveva deciso di suicidarsi ma era ormai talmente avvezzo ai veleni che non ne moriva e dovette ricorrere all’aiuto di un generale nemico per trafiggersi con la propria spada. Spero che nessuno dei miei lettori mediti il suicidio, voglio soltanto rendervi attenti al degrado morale che ci circonda. Amen.
I RACCONTI DAL FARO
L’ESTATE INDIANA DEI
VICERÉ BRITANNICI
DALL’ALBA AL TRAMONTO
La presenza strategica britannica nel subcontinente indiano perdurò per quasi tre secoli e mezzo. Ebbe inizio nel 1608 quando la Compagnia Britannica delle Indie Orientali (British East India Company), una società privata inglese, aprì un punto di commercio sulla costa indiana nord-occidentale. Ebbe un apice nel 1858 con la creazione da parte del Regno Unito dell’Impero Anglo-Indiano (British Raj), uno Stato coloniale - dipendente dalla Corona - con a capo un Viceré, che comprendeva i territori dell’India Britannica (British India) governati direttamente, e i c.d. Stati Principeschi (Princely States), governati da regnanti indiani, ma sottoposti al protettorato britannico. Ebbe infine un tramonto alla mezzanotte tra il 14 e il 15 Agosto 1947 quando fu proclamata l’indipendenza dei due Stati, India e Pakistan, nei quali era stata divisa la citata India Britannica, sul cui territorio, quella notte, fu ammainata per l’ultima volta l’Union Jack, la bandiera del Regno Unito.
SHIMLA
Prima del 1858, per la tutela degli interessi britannici in India vi era un apparato amministrativo e militare che aveva sede a Calcutta, città dell’alto Golfo del Bengala, molto calda in Estate e piovosa nella stagione dei monsoni, da Marzo a Settembre. Gli amati sport, i passatempi e la vita all’aperto, con difficoltà potevano essere praticati dalla comunità britannica in quel periodo. A Nord di Calcutta, si estendeva in lontananza la Catena montuosa dell’Himalaya, con le vette più elevate del mondo. Due ufficiali inglesi si avventurarono in escursione sulle sue pendici di Nord-Ovest in tempi diversi, nel 1819 e nel 1822. A circa 2200 m di altitudine conobbero la zona montuosa di Shimla, che - densa di foreste di pini, di querce, di cedri himalayani - si apriva su sette colli. All’epoca, l’unico segno di civilizzazione che vi trovarono fu un piccolo tempio indù. Dei due ufficiali, l’uno vi costruì una capanna di tronchi come rifugio estivo e l’altro una abitazione più solida e permanente. L’esistenza di quel piacevole piccolo luogo venne a conoscenza dell’ambiente britannico, che iniziò a frequentarlo durante l’Estate indiana di Calcutta, e a costruirvi case. In pochi decenni sorse un centro abitato in stile tipicamente inglese, molto somigliante ad un villaggio del Sussex in miniatura. Fu in tal modo che sorse la cittadina di Shimla, ove in un particolare periodo dell’anno vi era un fiorire di balli, picnics, feste in giardino, giochi, battute di caccia, cocktail parties, gare sportive, tornei di polo e di cricket, e altri divertimenti, come nella patria lontana. La stessa Amministrazione britannica vi realizzò abitazioni e uffici. E, nel 1863 il Viceré del neo Impero Anglo-Indiano dispose in forma ufficiale - dall’anno successivo - lo spostamento da Aprile a Ottobre della Capitale da Calcutta a Shimla. La motivazione fu: “per sfuggire al caldo torrido dell’Estate indiana”. Sic!
IL TRASFERIMENTO
Il non facile spostamento coinvolgeva il Viceré, gli addetti militari e circa 5000 unità di personale, senza citare le loro mogli, i figli e i domestici. Dovevano essere percorsi più di 1500 km a dorso di cavallo, di elefante, su carri a trazione animale, su portantine. Occorrevano settimane e settimane per giungere a Shimla. Nel 1851 comunque era stata costruita una strada e alla fine del 1800 fu portato a termine un tracciato ferroviario. La distanza da Shimla si ridusse a circa 300 km quando nel 1912 la Capitale fu trasferita da Calcutta a Delhi.
L’ULTIMO VICERÉ
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel Febbraio 1947 il Governo del Regno Unito nominò l’ultimo Viceré dell’Impero Anglo-Indiano, Lord Louis Mountbatten, con l’incarico di negoziare l’indipendenza dell’India Britannica, e con la raccomandazione di mantenerne unito il territorio. Ma ciò non fu possibile, e il Parlamento di Londra, con l’assenso reale, emanò il 18 Luglio 1947 una la legge che prevedeva la divisione dell’India Britannica nei due Stati sovrani dell’India e del Pakistan. Il 13 Agosto 1947 il Viceré ne proclamò la istituzione. Come detto, la loro indipendenza fu dichiarata alla mezzanotte del giorno dopo, tra il 14 e il 15 Agosto 1947.
UN PIACEVOLE PICCOLO LUOGO
È Forse proprio in uno di quei difficili giorni del negoziato dell’Agosto 1947 che un esausto Lord Mountbatten è qui descritto nella quiete di Shimla: “Lord Mountbatten non aveva bisogno dell’aria condizionata ora. La sola veduta dalla finestra del suo studio era sufficiente a rinfrescarlo: le creste ammantate di neve della più alta catena di montagne al mondo, l’Himalaya […] Non più i suoi occhi potevano tornare alla visione dei desolati panorami che inaridivamo al caldo crudele dell’India. La visione di fronte a lui ora era di un incancellabile verde, di prati di color smeraldo, di schiere di alti abeti, di delicati cespugli di felci di montagna. Esausto per settimane di incessante tensione, Mountbatten aveva seguìto una tradizione introdotta dai suoi predecessori: aveva lasciato Delhi (ndr: la Capitale dal 1912) per il più bizzarro prodotto del British Raj, una anomala creazione tipicamente inglese posta alle pendici dell’Himalaya, la piccola città di Shimla”. (da: L. Collins - D. Lapierre, “Freedom at Midnight”, pag. 143, Avon Books, 1976, USA).
Il Guardiano del Faro
Luce, luce, luce
Su un arco di sabbia
pian piano cammino
e colgo dell’onda
l’accecante bagliore
che muta e ritorna
e presto si posa
su bordo di riva
che ansiosa...
l’attende.
Luce, luce, luce!...
riverbero acceso
talmente abbagliante
che l’occhio a fatica
riesce a guardare.
Incurante di questo,
lo sguardo rapito
quel tripudio di luce
continua a fissare,
per trarne un ricordo
nitido e puro...
che possa durare,
per sempre nel tempo.
Pino Pieri