Dopo l’8 settembre 1943, alcuni giovani anziati e nettunesi contrastarono i soldati tedeschi
I quattro giorni di Anzio e Nettuno raccontati in un fumetto
Nell’ambito delle celebrazioni per l’80° anniversario dello sbarco anglo-americano ad Anzio e Nettuno e della liberazione di Roma “I quattro giorni di Anzio e Nettuno 9 – 10 – 11 – 12 settembre ‘43” diventano un fumetto di 48 pagine a colori. Un racconto avvincente, anche se a volte, con sfumature di drammaticità.
Ottant’anni dopo perciò, in una situazione così critica delle Repubblica italiana colpita da scandali e tracolli che le impongo di rifondarsi con mani pulite, la rievocazione di quei disastrosi giorni di settembre in cui parve che il paese s’inabissasse per sempre come una barca senza timone e senza remi, è dettata da due doveri: quello di onorare la memoria di chi sacrificò la propria vita alla salvezza di tutti e quello di trame di pungolo per un impegno e una condizione morale che restituiscano certezza al nostro futuro di nazione, anche se si tratta di accostare alle vergogne del tempo la pace.
L’8 settembre 1943, con l’armistizio firmato a Cassibile all’insaputa dei tedeschi, con la fuga da Roma del Re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio, con gli italiani abbandonati a se stessi, divisi, costretti a riprendere le armi e combattere al fianco degli eserciti stranieri, fu appunto la maggiore vergogna della nostra storia, oltre la logica conclusione della guerra scatenata dal nazismo e dal fascismo.
Per noi deve valere l’esempio dei coraggiosi che nell’Italia abbandonata a se stessa, mentre i più si ritiravano, dopo aver esultato all’annuncio dell’armistizio che aveva dato l’illusione della guerra finita, non persero la loro dignità di fronte all’occupazione tedesca. Nell’elenco di quei coraggiosi – che, prima che si organizzassero la lotta clandestina e le formazioni partigiane, comprendeva i granatieri di Sardegna e i civili raccoltisi a Porta San Paolo nel tentativo di difendere Roma (episodio trascurato da Paolo Mieli nella punta del 3 giugno, di “Passato e Presente”, i martiri di Cefalonia, gli scugnizzi delle quattro giornate di Napoli – hanno trovato posto anche i giovani di Anzio e Nettuno che, uniti a un gruppo di militari, quasi interamente formato da artiglieri della Caserma Piave, ai quali si aggiunsero un distaccamento di fanti provenienti da Fogliano, insorsero contro i tedeschi.
La rivolta ebbe inizio a Nettuno il 9 settembre e ad Anzio il giorno dopo. La differente data dipese dall’azione dei tedeschi che, non del tutto impreparati all’armistizio italiano con gli anglo-americani, sapevano come e dove mettere le mani, e cominciarono da Nettuno che era sede del presidio militare, in piazza Mazzini ed un raggruppamento di caserme: la Piave, la Donati e la Tofano (all’interno del poligono di tiro).
Alle cinque del mattino, il reggimento d’artiglieria di stanza alla caserma Piave ebbe la sveglia da un reparto tedesco che con le mitragliatrici piazzate sulle terrazze e sui tetti delle case circostanti gli intimavano la resa. Due ore più tardi, a piazza Mazzini, puntato un cannoncino anticarro contro il palazzo del presidio, altri tedeschi gridavano da un megafono agli ufficiali italiani di venire fuori con le braccia alzate. I tedeschi non esitarono a far fuoco: tre colpi centrarono il palazzo con un rimbombo che chiamò a raccolta i nettunesi sospinti anche grazie alla partecipazione degli artiglieri, ribellatisi nel frattempo all’ordine di resa del loro comandante e riusciti a cacciare i tedeschi dalla caserma Piave.
Ad Anzio i tedeschi miravano a impadronirsi del porto. Due loro motozattere mitragliarono la gente sul molo. All’alba del 10 settembre una trentina di animosi si mise all’opera: civili e militari. Dai pescherecci vennero prelevate le mitragliatrici pesanti e qualche mitragliatrice leggera. A terra di utilizzò un vecchio cannone inglese, adibito alla difesa del porto. Quel cannone, verso le undici, diede il via alle ostilità, prendendo di mira un trattore cingolato, con sopra una decina di soldati che stava venendo giù da via Aldobrandini. Il trattore fu colpito. I tedeschi, sbalzati a terra, salirono sul campanile della chiesa di S. Antonio e per un po’ poterono agire come cecchini.
Vi fu un’incursione di aerei stukas tedeschi che bombardarono viale Mencacci, mentre una colonna dei camion, dopo aver mostrato di ritirarsi a Campoleone, tornava indietro più agguerrita con i carri armati.
Anzio e Nettuno si arresero tra la sera dell’11 e il mattino del 12 settembre, per effetto pure di trattative in cui i tedeschi promisero che non ci sarebbero state rappresaglie. Le rappresaglie, invece, furono tante. Sono queste le pagine più buie: quelle della caccia all’uomo, delle deportazioni, dei colpi alla nuca. Vanno però rilette con la consapevolezza delle responsabilità e soprattutto con i sentimenti che nel dopoguerra portarono Anzio e Nettuno ai gemellaggi con Bad Pyrmont (Anzio), Traunreut e Wehr (Nettuno). I nostri amici della Bassa Sassonia (Bad Pyrmont), della Baviera (Traunreut) e della Foresta Nera (Wehr), che ci accolgono a braccia aperte nelle loro modernissime cittadine e che ogni anno ci restituiscono la visita, rappresentano con noi la realtà della libertà e della pace conquistata col sangue.
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Silvano Casaldi