SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
LA GRANDE FAMIGLIA
Ormai tutti sono tornati alle proprie case. La famiglia di ogni giorno, più o meno numerosa, si ricompone. L’autunno è alle porte e sono già un ricordo le lunghe e calde, forse troppo calde, giornate dell’estate. La grande famiglia, quella che si riunisce durante le vacanze, si è sciolta. Come ogni anno, più generazioni si sono ritrovate: figli, nipoti, pronipoti, zii e cugini. Ora la casa dei nonni è tornata silenziosa, l’atmosfera festosa e rumorosa della piazza ha lasciato il posto ad una tranquilla, quasi monotona, vita di tutti i giorni. Il lungomare non è più affollato e la spiaggia perde, di giorno in giorno, i colori sgargianti dell'estate, per lasciare il posto ai più morbidi e contemplativi colori autunnali. Una generazione di parenti, di amici dei parenti, di bambini, ragazzi, signore e signorine, che di anno in anno si ritrovano, si sono già dati appuntamento alla prossima stagione.
L’autunno apre le porte ad un’altra famiglia, che attende di ritrovarsi per riprendere le attività sospese e nuovi programmi. È quella dei luoghi di lavoro, delle attività quotidiane e, naturalmente, anche quella del Simposio. GIULIANA
Domenica 29 settembre - ore 16.30
Apertura della stagione del
Simposio ’24/’25
SIAMO SOLI
nell’UNIVERSO?
1° incontro con Domenico D’Amato
COSA È LA VITA
La ricerca della vita nell’Universo non è quella
di trovare ET od Ominidi Verdi ma esseri sotto qualsiasi forma, anche microrganismi,
in grado di replicarsi.
In questa presentazione inizio il percorso
illustrando i concetti base di ciò che
consideriamo vita e gli ambienti in cui essa si possa sviluppare sulla Terra ed anche nello
spazio, per ora limitatamente
all’ambiente della stazione spaziale ISS
Simposio in Via Venezia, 19 – Lido di Cincinnato - ANZIO
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Italiano sì, ma quale
di Giancarlo Marchesini
Quale italiano?
Se uno straniero mi chiedesse gentilmente “Scusi, parla italiano?” gli risponderei senza ombra di dubbio “Sì, certo, io sono italiano”. Ma fra me e me mediterei un’altra risposta: “Sì, ma quale italiano”?
Dai tempi di Dante, che scelse il volgare per comporre un incredibile e grandioso poema in tre cantiche, a Manzoni, che scelse l’italiano corrente, e non quello del dilavato manoscritto del ‘600, per proporre un romanzo avvincente (questa è un’opinione personale, ma non andate a chiederlo ai liceali), l’italiano si è evoluto in qualcosa di profondamente diverso da quello che pensavano i due padri della nostra lingua.
Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani, aveva affermato Massimo d’Azeglio. Ma l’italiano di oggi, chi l’ha fatto? L’unica risposta possibile è: si è fatto da solo, con il concorso, beninteso, dei parlanti.
Un po’ di storia.
Alla prima seduta del parlamento italo-sabaudo alcuni deputati si chiedevano: “Dobbiamo parlare francese o italiano”?
Dopo la monarchia, l’organizzazione della Repubblica ha inciso profondamente sull’evoluzione dell’italiano. Roma capitale assegnava funzionari a sedi diverse da quelle di residenza e, come sede del governo, attirava italiani di tutte le regioni. Si sono così attivati quegli interscambi che a livello embrionale si erano già verificati con la prima e la seconda guerra mondiale. Roma capitale è stata un crogiuolo di lingue e di espressioni regionali. Dal “caput mundi” questa nuova lingua ripartiva, diffondendosi da Bolzano a Capo Passero, in una versione unificata e uniforme: leggi, regolamenti, prescrizioni, divieti: tutto in una lingua che è stata definita italiano standard.
Ma questo “standard”, almeno quello della burocrazia, era una lingua farraginosa complessa e in parte incomprensibile ai “comuni mortali”.
Sarebbe intervenuto un cambiamento successivo, uno snellimento, una rinuncia a forme complesse e difficili da gestire (voi come plurale di lei, lui e lei al posto di egli/ella, l’uso sempre più raro di alcuni tempi verbali, la nascita delle espressioni polirematiche).
Dallo standard al neostandard: cosa è cambiato?
Questo italiano rinnovato è stato definito da Gaetano Berruto, neostandard. In questo contesto vorrei segnalare due eventi estremamente significativi. 1) La comparsa dei mezzi di comunicazione di massa e, poco più tardi, l’avvento di Internet e compagnia cantando di influencers e presenzialisti. 2) L’influsso delle lingue straniere: non penso tanto all’introduzione di parole straniere (ibridazione) quanto piuttosto alla presenza di descrizioni tecniche e commerciali, pubblicità e modi di dire che caratterizzano altre lingue (l’espressione “chi fa cosa”, ad esempio, l’abbiamo mutuata dall’inglese). I traduttori italiani hanno dovuto adottare formule più dirette, più snelle, più esplicite. Il “lei”, o il voi massificante, si sono trasformati in “tu”, la pubblicità tende a generare sorpresa, nuove parole vengono usate per descrivere situazioni della vita di tutti i giorni (narrazione, meme, tanto per fare due esempi).
L’influsso delle lingue straniere.
Un tempo, quando non esisteva il web, i traduttori si arrabattavano su enciclopedie, manuali e documenti scritti per trovare una soluzione soddisfacente. Ora esistono le memorie di traduzione. O, con un semplice clic, il traduttore può trovare la soluzione ricercata: targeted si traduce con mirato, la parola processare (inglese to process) indica l’insieme delle operazioni destinate a lavorare e finalizzare un prodotto. Talvolta le soluzioni estemporanee dei traduttori si rivelano inefficaci ma poi è il consenso dei parlanti a trovare la scelta migliore: ormai nessuno più dice elaboratore, tutti parliamo di computer. Le prime traduzioni di hardware e software, fatte da tecnici, erano “componenti fisiche/componenti elettroniche”. Oggi tutti diciamo hard e soft. Semplicità e immediatezza.
Una lingua più agile e immediata.
Grazie alla diffusione istantanea garantita da Internet e dalla necessità di tradurre espressioni che ci vengono da altre lingue l’italiano è diventato più agile, più snello, meno artificioso. Ho accennato alle espressioni polirematiche (sala parto, involtino primavera, agenzia viaggi) l’elisione della preposizione “di” ci ha resi perfino più sintetici degli anglo-americani: punto vendita, invece del “prolisso” Point of Sale.
Un aneddoto.
Per concludere, vi racconterò un aneddoto sulle velleità di Marchesini-traduttore.
Alla Sapienza di Roma sostenni l’esame di linguistica con il compianto Tullio de Mauro. Evidentemente si parlò anche del Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure. Per descrivere le caratteristiche dei segni linguistici Saussure si serviva del termine “foglio”: su un lato significante, sull’altro significato.
Io, parlando di questo benedetto foglio, continuavo a dire FOGLIA. De Mauro mi interruppe con un gesto di divertito fastidio, chiedendomi se avessi letto il Corso di linguistica generale in francese. Io candidamente risposi di sì perché era l’unica copia disponibile nella biblioteca della mia ragazza (feuille in francese significa tanto foglio che foglia).
Con un sorriso a questo punto divertito de Mauro mi disse: “Se lei avesse letto la MIA TRADUZIONE del testo di Saussure mi avrebbe parlato di foglio e non di foglia. Foglio mi è sembrato più pertinente. Lei che ne dice? Mi diede comunque la lode.