SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
La bellezza
“È vero, trasmettere la bellezza non solo estetica ma nei suoi molteplici aspetti, quella del cuore, dell’anima, della giustizia, del rispetto, dell’amore ecc.. ecc.. dovrebbe entrare nel vivere quotidiano di tutti come mangiare bere respirare... e forse saremmo tutti un poco migliori”(M.L.Petroni).
Ma la Bellezza, quella «che salverà il mondo», che cos’è oggi? Una parola diventata banale, usata a sproposito, inflazionata, difficile da comprendere nel suo profondo significato. Già nella nostra lingua, questo termine assume sfumature, se non vere e proprie valenze semantiche, differenti rispetto ad altre lingue. E, come sottolinea l’amica Maria Luisa, la bellezza non è solo quella estetica oggi fraintesa, o che ci obbliga a seguire pedissequamente modelli precostituiti spersonalizzando gli individui del loro “particolare”, ma anche quella dei nostri comportamenti e di tutto ciò che ci circonda nelle sue molteplici manifestazioni umane e della natura. Un problema e tante domande che ci siamo posti in svariate occasioni di confronto al Simposio. (vedi quaderno numero 13).
Giuliana
“note ed emozioni”
al Policlinico di Tor Vergata
Un seme di generosità germoglia un evento di bellezza da condividere
L’Università di Roma Tor Vergata, l’Associazione Musicale Roma Sinfonietta, Il Policlinico di Tor Vergata in collaborazione con il Simposio Giovani di Anzio all’interno della terza edizione di “Pillole Musicali” hanno organizzato il secondo incontro che si è tenuto lunedì 22 Aprile 2024.
Alessandro Marini al violino e Silvia D’Augello al piano
hanno portato note ed emozioni all’interno del Pronto Soccorso e della Terapia Intensiva DEA del Policlinico interpretando brani di Morricone, Mozart e Schubert. L’ iniziativa che ha riscosso il plauso dei pazienti e del personale medico e sanitario del Policlinico, ha evidenziato l’importanza che la musica può avere in un luogo di sofferenza, aiutando e contribuendo con il potere delle emozioni e dei suoni, a favorire l’efficacia delle terapie medico sanitarie.
SUL PRINCIPIO
DELLE COSE
Spazio aperto alle
riflessioni di tutti.
a cura di Adriana Cosma
NIETZSCHE ECCE HOMO
una pia illusione
«Diventa ciò che sei». Ma cosa siamo?
Avete mai riflettuto sul fatto che...
L’uomo con i suoi occhi può guardare il mondo ma non se stesso se non davanti ad uno specchio?
Solo gli altri ci vedono ed ognuno di loro dà una diversa interpretazione di ciò che vede in noi. Di fatto, oggettivamente parlando, non esiste alcuna possibilità di avere una descrizione realistica di sapere come siamo, ma solo interpretazioni altrui e supposizioni nostre. Anche davanti ad uno specchio non vediamo le nostre schiene a meno di non adoperare un gioco di specchi.
Al di là di essere credenti o meno è quantomeno curiosa questa realtà.
E questo fatto apre una altra domanda
Che speranze abbiamo di riuscire a fare ciò che Eraclito e Socrate ci chiedono: “Conosci te stesso”, addirittura conoscere dentro di noi?
La mia risposta: non abbiamo nessuna speranza. Per questo per comprendere l’identità di un uomo servono le tradizioni, conoscere gli usi, i costumi, le religioni e le filosofie del gruppo sociale cui appartiene. Non limitandoci a una conoscenza individuale presupposta che rischia di essere condizionata anche da involontari pregiudizi.
L’altra risposta è: Solo tramite gli altri, l’uomo può conoscere se stesso.
Ed è per questo che nonostante la conflittualità dei suoi istinti per adattarsi di volta in volta alle varie circostanze l’uomo non può vivere da solo. L’uomo è un animale necessariamente sociale.
I RACCONTI DAL FARO
L’EPOPEA VICHINGA
Parte Seconda
VERSO IL NORD ATLANTICO
Dal IX al X Secolo i vichinghi norvegesi esplorarono l’Alto Atlantico navigando verso Occidente alla ricerca di nuove terre. Scoprirono le Isole Fær Øer (inizio 800), l’Islanda (a. 870) e la Groenlandia (a. 982), e - primi europei - approdarono nel 1001 nell’America settentrionale, sull’odierna isola canadese di Terranova, che chiamarono Vinland (Terra del Vino). Attraversavano l’Atlantico utilizzando la tecnica della “navigazione di latitudine” (partendo dalla latitudine corrispondente al punto di arrivo) e - non avendo la bussola (ndr: sarebbe stata inventata ad Amalfi alla fine del XII Secolo) – si orientavano di notte con la Stella Polare e di giorno con l’osservazione del Sole. I Norvegesi di quei lunghi viaggi di scoperta non avevano lo spirito dei vichinghi predoni e pirati, che con le lunghe navi (drakkar) assalivano in quegli stessi anni le coste dell’Europa, ma quello di esploratori, commercianti e contadini. Usavano un altro tipo di nave, la tonda knarr, nave da carico, senza la testa di drago a prua, con maggior pescaggio, più larga, con un mezzo ponte e un piccolo cassero a poppa, con una vela quadra, capace di trasportare molti capi di bestiame e circa trenta persone. Non avevano né l’aspetto né gli abiti dei terribili guerrieri vichinghi, ma erano vestiti di tuniche di lana, lunghe alla caviglia e con un cappuccio.
AMERICA!
Due saghe (racconti epici nordici) islandesi, la Saga di Erik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi, manoscritte nel 1205 in lingua norrena riprendendo fonti orali, narravano che i Norvegesi erano approdati nell’anno 1001 su una terra incognita all’estremo Nord-Ovest dell’Oceano Atlantico, dove maturavano viti selvatiche. Ma, prima di proseguire, è necessaria una premessa. Secondo le saghe, il norvegese Erik Thorvaldsson, detto “il Rosso” dal colore di capelli e barba, a vent’anni era stato esiliato dalla Norvegia per un delitto commesso e si era rifugiato in Islanda. Qui, fu protagonista di un altro fatto di sangue. Condannato a tre anni di esilio, si mise a navigare verso Occidente scoprendo nel 982 una terra (una grande isola) coperta di ghiacci, che chiamò Groenlandia (Terra Verde) per invogliare a una futura colonizzazione. Scontata la pena, tornò in Islanda e nel 985 ripartì per la Groenlandia con 25 navi cariche di coloni, riuscendo a fondarvi due insediamenti (a Sud-Est e a Nord-Ovest) in aree adatte all’agricoltura. Aveva con sé tre figli e una figlia.
Premesso ciò, riprendiamo con quanto scrivono le saghe: “Nell’anno 1001, Leif, figlio di Erik il Rosso, equipaggiò (ndr, in Groenlandia) una nave con 35 uomini per un viaggio di scoperta, con l’intento di esaminare più accuratamente la nuova terra (del cui avvistamento aveva avuto notizia). Arrivarono ad una terra ove non vi era erba, ma solo vaste distese di ghiaccio ovunque, e dove lo spazio tra le montagne di ghiaccio e la riva era una ininterrotta distesa di piatte rocce di ardesia. Chiamarono questa terra Helluland (Terra delle Pietre Piatte) (ndr, l’odierna Isola di Baffin). Poi si rimisero in mare e raggiunsero (verso Sud) una terra pianeggiante e ricca di foreste, con colline e sabbia bianca della riva. Chiamarono questa seconda terra Markland (Terra delle Foreste) (ndr, era l’odierna costa del Labrador). Presero di nuovo il mare e dopo due giorni di navigazione nella stessa direzione raggiunsero un’isola (ndr, era l’odierna Isola canadese di Terranova) ad Est della terraferma. Passarono nello stretto tra quest’isola e la terraferma e, dopo aver navigato verso Ovest, approdarono in un posto (dell’isola) ove un fiume che scendeva da un lago sfociava nel mare. Passarono qui l’Inverno e costruirono delle case. Chiamarono quell’insediamento Leifsbudir (Le Capanne di Leif) (ndr: probabilmente, il sito de L’Anse-aux-Meadows, di cui appresso). Durante la loro permanenza, uno di loro […] si era allontanato ad una certa distanza dall’insediamento e, al ritorno, aveva trovato viti ed uva (selvatica) in abbondanza. Leif chiamò allora quella terra Vinland (Terra del Vino)”.
SCOPERTA ARCHEOLOGICA
Come sappiamo, i racconti “epici” non sempre sono ritenuti attendibili, ma nel nostro caso avevano un fondo di verità. Infatti, una campagna di scavi archeologici iniziata nel 1960 dai coniugi norvegesi Helge Ingstad e Anne Stine Ingstad portò alla luce sulla punta Nord dell’Isola di Terranova, presso la baia de L’Anse-aux-Meadows (La Baia delle Meduse), proprio un antico sito vichingo risalente all’inizio dell’XI Secolo - Furono trovati i resti di un villaggio (forse il Leifsbudir), con abitazioni, oggetti e utensili di civiltà vichingo-norvegese (otto edifici, tra cui una fucina e una segheria per un cantiere navale). Era quella la conferma che nel 1001 i norvegesi avevano raggiunto il Continente americano, dove - dicono ancora le saghe - nell’Autunno 1010 nacque Snorri, il primo bambino europeo-americano. Dopo Leif, altri due suoi fratelli e un islandese condussero avanti la colonia, che arrivò ad avere sino a 180 componenti. Tuttavia, nel 1013 i coloni dovettero abbandonarla per l’aggressività dei nativi Mi‘kmaq, da loro chiamati skraelings (selvaggi), non avendo una superiorità in fatto di armi (asce e lance contro archi e frecce) ed essendo in numero esiguo rispetto ai nativi stessi. Dal 1020 nelle cronache islandesi non troviamo più notizie di viaggi dalla Groenlandia alla Vinland.
OBLIO
L’approdo americano del 1001 dei vichinghi norvegesi non sarebbe stato mai definito “scoperta”, perché non ne arrivò notizia in Europa e perché non ebbe alcuna conseguenza storica. I coloni della Vinland avevano avuto rapporti solo con la Groenlandia e, abbandonato il loro insediamento, quando anche la Groenlandia fu anch’essa abbandonata nel Secolo XV dagli ultimi coloni vichinghi, di quell’evento non rimase memoria. Solo nel 1492 colombiano - dopo 491 anni - altri europei approdarono al Nuovo Mondo. E, fu allora che la storia del mondo cambiò.
Guardiano del Faro