Domenica 6 ottobre
La STORIA e l’ARTE
con Francesco Bonanni e Antonio Silvestri
Simposio in Via Venezia, 19 – Lido di Cincinnato - ANZIO
CONFLITTI NELLA STORIA
Dalla guerra del Peloponneso
al XIV secolo
di Francesco Bonanni
Grecia - la Guerra del Peloponneso, combattuta dal 431 al 404 a.C. tra la Lega Peloponnesiaca, con a capo Sparta, e la Lega delio-attica, sotto la guida di Atene, fu la più sanguinosa mai combattuta fra i Popoli greci. All’epoca vi era una insanabile rivalità tra Atene e Sparta attribuibile all’odio e alla gelosia esistenti tra le due stirpi elleniche predominanti, la Dorica e la Ionica decisamente impegnate a contendersi il Primato sulla Grecia Antica. Lo scontro tra le due grandi Città Stato fu inevitabile in quanto i loro due Sistemi Politici e Sociali antitetici determinarono un irrimediabile contrasto di interessi. Dopo alterne vicende il conflitto si concluse con la schiacciante vittoria di Sparta che impose alla rivale pesanti condizioni di pace.
Della instabilità politica della Grecia, causata dalla insanabile rivalità delle sue “Poleis”, ne approfittò Filippo II, Sovrano di Macedonia, ideatore della famosa ed invincibile “Falange”, la più formidabile unità da battaglia dell’Antichità prima della Legione Romana.
La conquista della Grecia da parte di Filippo incominciò con l’aprirsi la via al mare spezzando il cerchio entro cui lo chiudevano le Colonie Greche e con l’intromettersi contemporaneamente nelle discordie che dividevano le Città greche. E, nonostante le strenue raccomandazioni dell’ateniese Demostene che con le sue celebri “Filippiche” ammoniva i greci a non prestarsi con i loro contrasti alle mire del Sovrano macedone.
Età Ellenistica. Con la sua potenza militare Filippo II riuscì a sconfiggere le Città Elleniche e ad imporre il suo Protettorato che ben presto si trasformò in un vero e proprio Dominio Politico. Così la Grecia Antica raggiunse l’unità politica, ma a prezzo della perdita della sua libertà. Erede e successore di Filippo fu il figlio ventenne Alessandro che schiuse per la storia dell’Oriente una nuova era. Il suo maggior merito consistette nel fatto che, dopo aver conquistato l’Asia con la potenza delle armi, volle anche dominarla con la forza dell’Arte e del Pensiero della Cultura greca.
Nacque in tal modo “l’Età Ellenistica o Alessandrina (da Alessandria, il centro culturale più importante) che vide infranta la barriera tra Occidente e Oriente grazie alla fusione della Civiltà greca con quella orientale.
Roma. Lo Stato Romano nasce da un processo di formazione diverso.
Una piccola comunità che, per esigenze legate agli scambi commerciali viveva sula sponda del Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina, con numerose guerre inizialmente condotte contro i suoi confinanti (i Latini e gli Etruschi) e successivamente contro i Galli e vari Popoli che abitavano i tre Continenti (Europa, Asia e Africa) divenne il più grande Impero dell’Antichità. Il segreto di tale successo è attribuibile a tre elementi peculiari della Società Romana. Il primo era costituito dall’Esercito: una formidabile ed invincibile “Macchina da Guerra”. La Legione Romana coniugava grandi Capacità Tattiche e Organizzative insieme ad una ingegnosa Tecnologia Bellica con una ferrea Disciplina.
Il secondo elemento era rappresentato da una solida Cultura Giuridica. Il Diritto Romano, caso unico all’epoca, era un solido pilastro della sua Civiltà.
Il terzo ed ultimo elemento consisteva nella grande capacità di assorbimento delle Culture degli stessi Popoli dominati soprattutto di quella estremamente raffinata greca.
Alla fine dell’Età Antica l’Impero Romano era diviso in due, con destini differenti.
Quello di Occidente, soggetto a numerose migrazioni di popoli provenienti sia dal nord che dall’est dell’Europa (le cosiddette Invasioni Barbariche), fu frantumato in vari Regni le cui Culture si fusero con quella Romana dando luogo alla Civiltà Medievale nella quale il Cristianesimo rappresentò un forte Catalizzatore. Quello d’Oriente di lingua greca, che durò altri mille anni, a stretto contatto con i Popoli Slavi sviluppò una sua peculiare Cultura, quella conosciuta come Bizantina. Così le loro differenti vicende storiche incisero nella diversità delle loro Istituzioni sia Politiche che Religiose e nello stesso sviluppo testa Costantino.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Automatismi del
linguaggio
di Giancarlo Marchesini
Riflessi condizionati. Prendiamo il tema alla larga. La nostra vita è piena di automatismi, azioni che si ripetono e che, a tutti gli effetti, sono riflessi condizionati. Nessuno ha mai stabilito che in autobus o in metropolitana occorre far scendere prima quelli che vogliono uscire piuttosto che spingerli di prepotenza verso l’interno. Ma intuitivamente capiamo che questo comportamento è la soluzione migliorea questo “problema dei trasporti”.Altro esempio di riflesso condizionato èil fatto di tenere la porta alla persona che sta entrando dopo di noi in un negozio. Certo, questi atti convenzionali possono cambiare di paese in paese. In Russia, ad esempio, ho corso più volte il rischio di schiacciarmi il naso contro una porta vetrata perché nessuno la teneva aperta per me. Le convenzioni - il “colore locale” come si direbbe in letteratura -sono semplicemente diverse. La tecnologia non ci aiuta in queste manifestazioni di gentilezza: nei grandi magazzini le porte si aprono automaticamente al segnale di una fotocellula. Chi più fa il giro della macchina per aprire la portiera alla gentile accompagnatrice? Basta fare clic sul telecomando e tanti saluti alla cortesia.
Lingua e reazioni automatiche. Queste convenzioni, queste “abitudini sociali” si estendono anche al linguaggio. Basti un esempio per tutti: quel “buongiorno” che smozzichiamo in ascensore incontrando un vicino è veramente un augurio sentito? Gli stiamo forse augurando una splendida giornata? Parlando, obbediamo a convenzioni sociali. Un giorno ero in compagnia di una ragazza che fece un poderoso sternuto. Perduto fra i miei pensieri (accade spesso) non le dissi “salute”. Ma lei mi disse “grazie”. Io le feci notare che non le avevo fatto nessun augurio e insieme arrivammo alla conclusione che tutti rispettiamo dei modi di essere e di agire che ci vengono imposti o suggeriti dalla vita di tutti i giorni.
Parole vuote di contenuto. In linguistica queste formule di cortesia vengono considerate parole desemantizzate nel senso che sono puri suoni privi di contenuto reale e che non sono portatori di un’intenzione concreta. A questo si aggiungono le ripetizioni, le reiterazioni che si basano spesso su figure retoriche, modi di dire o proverbi: “Rosso di sera, buon tempo si spera” non è una legge assoluta. Ci sono certamente dei casi in cui la mattina dopo c’è stato un vero e proprio nubifragio.
“Tanto va la gatta al lardo…”. Io però ho conosciuto “gatte” che l’hanno fatta franca per tutta la vita.
L’arte contro l’ovvietà. L’arte si basa sulla creatività e in quanto tale rifiuta le espressioni ripetitive e desemantizzate. Il formalista russo Viktor Šklovskij e piùtardiJurij Lotman hanno parlato di “mezzo artistico”, un artificio che permette all’autore di richiamare l’attenzione del lettore o dello spettatore su un fatto saliente presentandolo in modo inaspettato. La famosa ipallage carducciana “Nel divin del pian silenzio verde” ne è un formidabile esempio. Ma anche le affermazioni a sorpresa: “Quale crimine è più grave? Assalire una banca o fondare una banca”? (Bertolt Brecht). O anche, sempre Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati”. Immaginate quanto sarebbe prolisso spiegare perché il verde della natura silente è divino, oppure che, da un punto di vista marxista, l’accumulazione primitiva del capitale è di per sé un crimine o, ancora, che sono spesso i bastian contrari ad avere ragione.
Gli autori appena citati hanno racchiuso queste spiegazioni in formule superbamente artistiche che parlano al lettore e lo spingono a riflettere molto più di quanto potrebbe fare un trattato di botanica o Il capitale di Karl Marx. Se io declamo “Una granita di caffè con panna” sostenendo che sia un endecasillabo, ho certamente ragione perché c’è un accento che cadesulla 10ª sillaba e gli altri accenti sono situati correttamente, ma il potere evocativo della mia granita è nullo rispetto a “La bocca sollevò dal fiero pasto | quel peccator, forbendolaa’capelli | del capo ch’elliavea di retro guasto”. C’è un tempo per gustare granite e un tempo per leggere o rileggere Dante!
Domenica 13 ottobre
La STORIA e l’ARTE/2
con Francesco Bonanni e Antonio Silvestri
"DAL RINASCIMENTO
AL ROMANTICISMO"