La tragedia dell’Afganistan è stata spacciata per transizione politica
Tagliagole in doppiopetto
Non occorre essere esperti in scienze militari e nemmeno analisti politici per decretare, in modo irrevocabile, che l’immagine degli Stati Uniti, come guardiano della pace e della democrazia nel mondo, si è definitivamente sgretolata insieme a quella parvenza di esercito che hanno impiegato venti anni a costruire in Afganistan. Quell’immagine granitica che gli “Americani” si sono ritagliati a partire dall’intervento nella seconda guerra mondiale. Certo è che a quell’intervento gli USA ne hanno fatti seguire o ne hanno provocati altri, piccoli e grandi ed ovunque nel mondo e non tutti in nome del diritto e della democrazia; fino al disimpegno nazionalista del Presidente Trump ed al ritorno all’atlantismo annunciato da Biden. Il Presidente Biden porta certamente il peso di un fallimento politico assoluto perché se è vero che è stato il suo predecessore a mettere le basi del ritiro, le modalità e l’ordine di abbandono dell’Afganistan sono sue dirette responsabilità e dichiarazioni del tipo “l’esercito Afgano che abbiamo addestrato ed equipaggiato è di circa 300.000 unità e fermerà le milizie talebane composte da circa 70.000 uomini” sono la misura del fallimento del Governo Americano, della sua politica, della sua intelligence, della sua diplomazia e forse anche della sua struttura militare che ha provveduto all’addestramento di un esercito di carta. Il tono celebrativo del completamento del ritiro per il giorno del ventennale e la sua inopinata anticipazione al 31 agosto sono solo aspetti secondari ma significativi di una politica schizofrenica ed autolesionista. Un generale Afgano che è stato evacuato da Kabul con la sua famiglia e che si trova attualmente in Italia in una struttura dell’Esercito, lancia un J’accuse nei confronti degli USA , “hanno trattato direttamente con i Talebani per garantire il salvataggio degli Americani e poi ci hanno abbandonati senza un adeguato coordinamento e togliendoci quella copertura dell’aeronautica indispensabile per pensare ad un confronto militare vincente”. Ma la responsabilità non è solo degli Stati Uniti ma anche della NATO, si potrebbe obiettare. In teoria, ma non nella realtà dei fatti. La NATO, sul piano della struttura militare, è praticamente una cosa degli Americani, che ne esprimono sempre il comandante supremo. Sul piano politico la preminenza Anglo-Americana è consistente e l’evoluzione del trattato per adeguarlo agli sviluppi storici ed alla graduale trasformazione della minaccia ha, in via prioritaria, essenzialmente risentito delle esigenze dei due paesi alleati. Il trattato dell’Alleanza nasce in chiave anti-Sovietica per stabilire regole di solidarietà, innanzi tutto militare, da parte dei suoi membri nel caso che uno di essi fosse stato attaccato dall’esterno. Dopo il crollo del muro la NATO ha cercato di aggiornare la minaccia secondo uno scenario mondiale caratterizzato fortemente dall’integralismo islamico nelle sue manifestazioni più estreme. E certamente nazioni come l’Italia, con un peso politico ridotto al lumicino, hanno inciso ben poco a ridefinire le strategie dell’Alleanza. Non è un’affermazione azzardata dire che l’intervento in Afganistan è una decisione esclusiva degli USA presa per dare un’ orgogliosa risposta all’attacco delle torri gemelle e che il coinvolgimento della NATO, in uno scenario del genere, rappresenta un evento ben lontano dallo spirito del trattato originale dell’Alleanza e dagli interessi degli altri alleati. Venti anni, centinaia di morti, migliaia di miliardi di dollari spesi per esportare il modello occidentale e cristiano in un contesto sociale a struttura tribale che certamente non sentiva la necessità di un tipo di democrazia che prevede niente meno che la parità fra uomo e donna. Un contesto in cui azioni militari del genere richiamano alla mente dei popoli musulmani le tanto deprecate Crociate medioevali. Dieci anni di guerra URSS-Afganistan non sono serviti a nulla e gli USA hanno trascinato in un altro Vietnam tutti gli alleati. Lo scenario, a cui il mondo occidentale, ormai del tutto inerme, sta assistendo è una tragedia con le sembianze di una farsa. Un esercito di codardi equipaggiato con il meglio dell’armento moderno, compresi carri armati, aerei leggeri, elicotteri, droni, migliaia di veicoli corrazzati ed armi e munizioni di ogni tipo non ha sparato un colpo per fermare un nemico numericamente inferiore ed armato essenzialmente di armi ed artiglieria leggere. Un esercito di uomini vigliacchi che ha lasciato il passo ad una milizia composta da uomini esaltati. La farsa è quella che mostra rappresentanti dei Talebani che vendono in tv un’immagine di ragionevolezza mentre, di fatto, la stretta è cominciata con le proibizioni e le epurazioni nelle case di giornalisti, di collaborazionisti e di donne coraggiose che non hanno voluto correre ad indossare il burka. I Talebani che, dobbiamo ricordarlo, possono essere considerati la versione tribale delle milizie dell’ISIS, hanno la stessa matrice ideologica e religiosa e gli stessi principi per quanto attiene alla struttura sociale perché ambedue basate sulla Sharia. L’approccio ragionevole dei capi Talebani, nei contatti con le controparti sbaragliate sul campo, servono solo a preservare, dopo l’acquisizione dell’arsenale militare, anche tutta la struttura produttiva e quel livello di benessere economico e di professionalità che venti anni e migliaia di miliardi hanno costruito nel paese. Il Califfato islamico tanto sognato dall’ISIS e tentato senza successo in diverse occasioni è ora, di fatto, servito su di un piatto d’argento dall’idiozia occidentale; senza colpo ferire, con un’organizzazione economica strutturata, con una struttura militare ben equipaggiata e nel paese che produce 5.300 tonnellate di oppio ogni anno, 2.700 delle quali sono trasformate in eroina.
Nonostante l’attentato all’aeroporto attribuito all’ISIS, ma che giova essenzialmente ai Talebani che hanno fretta di chiudere l’emorragia dei cittadini e delle professionalità che fuggono dal paese, una inevitabile convergenza di fatto fra i gruppi islamici in Afganistan costituirà una miscela detonante che farà sentire i sui effetti su tutto il globo. La reazione USA con l’eliminazione di due semi-sconosciuti membri dell’ISIS è solo cibo per americani indignati per la catastrofe generata da un presidente che sempre più vacilla.
L’errore storico commesso in Afganistan è un preziosissimo regalo fatto alla Cina ed al Pakistan. A parte le dichiarazioni di dilettanti della politica come il Capo del M5S Conte, che lo vedono allineato proprio alle politiche del Pakistan e della Cina, i paesi occidentali devono prendere atto della debacle, devono definire una comune e possente strategia umanitaria rivolta principalmente alla tutela dei diritti civili ed all’accoglienza e poi definire un’azione di controllo, anche attraverso l’ONU, per tentare di limitare gli effetti prevedibili a livello terroristico nel resto del mondo. E’ un dato certo che tra i tantissimi profughi trasferiti in occidente si celano terroristi pronti a uccidere nel nome di Allah.
Lo deve fare il mondo civile, lo deve fare l’Europa, lo si deve fare anche a prescindere dall’egemonia degli Stati Uniti che, giova ricordare, vantano nell’area alleanze con paesi arabi che, in fatto di diritti civili e di democrazia, non sono certamente diversi dall’Afganistan Talebano.
Sergio Franchi