pensa e si preferisce l’argento all’oro perché il silenzio può significare rinuncia.
La figura retorica è un modo elegante per aggirare i nostri due proverbi e che in letteratura viene definita preterizione. Quando Petrarca (Italia mia) dice Cesare taccio che per ogni piaggia fece l’erbe sanguigne… in realtà “finge” di non voler parlare di Cesare, dedicando poi numerosi versi al personaggio storico e sceglie, “sotto mentite spoglie”, la via della parola.
Ma c’è chi sbotta perché non riesce a tenere a freno il proprio risentimento e la propria indignazione E talvolta le circostanze sono talmente gravi da giustificare l’opzione argento rispetto a quella oro. Uno splendido esempio ci è offerto dalla struggente canzone di Mario Merola, Zappatore. La scena si svolge in un “salotto bene” di Napoli. Il protagonista entra in un ambiente festoso di beautiful people dell’epoca e si scusa della sua apparenza umile e dimessa:
Felicissima sera
A tutte ‘sti signure ‘ncravattate
E a chesta cummitiva accussi allera
D’uommene scicche e femmene pittate
Chesta è ‘na festa ‘e ballo
Dapprima esitante poi sempre più sicuro di se stesso lo zappatore spiega alla comitiva di essere lì per redarguire suo figlio che avrebbe dovuto studiare con i soldi guadagnati con l’umile lavoro del padre e che invece ha tradito le aspettative famigliari scegliendo una vita dissoluta e ridanciana. La prima parte della canzone è un esempio di “silenzio d’oro”: lo zappatore chiede scusa per la sua presenza e forse, per un momento, medita di ritirarsi in buon ordine. Ma rievocando l’inganno capisce che è giunto il momento della condanna (d’argento sì ma altamente efficace) e mostrando al proprio figlio le mani indurite e deformate dall’uso della zappa sbotta in una frase durissima:
Addenocchiate e vaseme ‘sti mmane.
Chi se la sentirebbe di condannare lo zappatore per non aver scelto la via del silenzio d’oro? Nelle sue parole lapidarie c’è la ribellione contro l’inganno, la mistificazione, il parlare a vanvera che dovrebbero indurci a prendere posizione contro i “vati di internet”, i cosiddetti influencer o coloro che semplicemente si inventano competenze per potersi far strada a gomitate nelle affollatissime strade di internet. Mi accorgo che anch’io non faccio eccezione ma almeno sto parlando di cose che conosco, predico e insegno da più di 40 anni. A voi l’ardua sentenza: continuo a scrivere o imparo a tacere?
ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
21ª parte
di Francesco Bonanni
Quando nel 1377 Papa Gregorio XI fece ritorno a Roma lo Stato della Chiesa era ormai in grado di sostenere la competizione con gli altri Statarelli italiani per la supremazia della Penisola. Inoltre il ritorno dei Pontefici nella Sede di Roma fu contrassegnato dall’assunzione del ruolo di Principi Mecenati. Oltre naturalmente ad occuparsi delle questioni religiose si dedicarono con passione alla Cultura e all’Arte ma anche anumerosi intrighi della Politica e perfino alle stesse vicende belliche. Come ha scritto la Storica Maria Pia Alberzoni: “I Papi erano espressione della Nobiltà del tempo. Una Nobiltà che era Cappa e Spada e che aveva il potere e il dominio nel sangue”. A dimostrazione di tale descrizionesi possono citare alcuni esempi significativi.
La ribellione di Cesena
Come quando nel 1377 Cesena si ribellò al Potere Pontificio per cuifu inviato il Cardinale Roberto di Ginevra, definito il macellaio dei Cesenati, il quale ingaggiò il condottiero inglese John Hawkwood (alias Giovanni Acuto) con l’ordine di massacrare, per dare un esempio, la Popolazione della cittadina. E malgrado Cesena si fosse arresa, le truppe al comando di Hawkvood massacrarono migliaia di Cesenati.
Il sacco di Roma
Ci furono poi Papi guerrieri, come Giulio II, ed altri che si intromisero pesantemente nelle varie beghe della Politica Europea come, ad esempio, Innocenzo VII il quale per i suoi numerosi intrighi politici urtò talmente il Cattolicissimo Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V da indurlo ad inviare contro la città di Roma un esercito mercenario di Protestanti tedeschi, i famigerati Lanzichenecchi, che misero a ferro e a fuoco l’Urbe. Guidati da Georg von Frundsberg costoro erano esasperati dalla lunga spedizione contro la Lega degli Stati italiani (La lega di Cognac), alla quale si era associata la Francia, per la quale non erano stati pagati e inoltre erano ferocemente ostili alla Chiesa Cattolica. Dopo la conquista della Città si accanirono con estrema brutalità contro la Cittadinanza sottoponendola ad ogni sorta di violenza che nemmeno l’Imperatore fu in grado di impedire e dalla quale lo stesso Pontefice si salvò riuscendo a rifugiarsi a Castel Sant’Angelo. Si trattò del noto Sacco di Roma del 1927 che per danni e per vittime risultò il più devastante subito in tutti i tempi dalla Città Eterna.
Autonomia politica del Papato
Poi nella misura in cui il peso politico nel contesto internazionale dei vari Pontefici tendeva a diminuire, sia per la Riforma Protestante che per la diffusione e l’affermazione delle Idee Illuministe, il Papato si irrigidiva nella volontà di mantenere il Potere Temporale.
Come ebbe ad affermare la Storica Alberzoni: ”la conservazione delloStato Pontificio divenne per i Papi una questione vitale”. Il Papa Re, infatti, è la reazione ad una Modernità diventata estremamente pericolosa dopo la Rivoluzione Francese. Prima il possesso di uno Statogarantiva risorse e potere. Poi venne visto anche come garanzia di autonomia di fronte ad un Potere Laico sempre più invadente. Non dimentichiamo che Napoleone di fatto fece prigioniero il Papa e lo portò a Parigi per presenziare alla sua Incoronazione Imperiale”.
SCRITTURA AL FEMMINILE
Rubrica aperta a tutti
BREVE EXCURSUS SULLA POETICA FEMMINILE NELL’ANTICHITÀ
di Ivana Moser
Questa rubrica è aperta a tutti,
alla scrittura delle donne del presente che ci seguono e altresì ai nostri lettori maschi, se desiderosi di pubblicare uno scritto uscito dalla penna di una donna (con un loro commento). L’intento di questa rubrica non è quello di contrapporre la scrittura femminile alla scrittura maschile, ma restituire il giusto valore a una ricchezza letteraria a lungo sepolta e riemersa dall’oblio soprattutto grazie agli studi di genere. Prima di procedere con un nuovo articolo sulla Querelle des Femmes, di seguito una breve panoramica sui contenuti degli articoli fin qui pubblicati, una rapida ricostruzione della presenza poetica femminile nel passato.
Enheduanna 2300 a.C. Mesopotamia La prima poesia è donna
I primi versi in assoluto della storia dell’umanità e giunti fino a noi sono opera della principessa, sacerdotessa e poetessa sumera Enheduanna, vissuta negli anni attorno al 2300 a. C. in Mesopotamia. Nei suoi versi, dedicati alla dea Inanna (archetipo femminile e rappresentazione del potenziale femminile), la poetessa scrive di sentimenti, della vita e della religione, mostrando un profondo contatto con la realtà, l’interiorità e l’invisibile.
Saffo VII-VI sec. antica Grecia
La prima poetessa della letteratura occidentale è Saffo, universalmente riconosciuta capostipite della poesia al femminile. L’amore, dolceamara invincibile serpe, è stato il tema dominante della sua lirica, attraversata dal fil rouge dell’erotismo.
Saffo, le altre e le Poetesse vaganti
La Grecia antica non ha espresso solo Saffo anche se sono poche le poetesse delle quali ci è giunta testimonianza scritta, numerosi invece i semplici nomi.
Fra le prime Erinna di Telo (IV-III secolo a.C.), scomparsa a soli diciannove anni, la cui voce contiene due tra le novità fondanti che saranno alla base della poesia dell’età ellenistica: l’osservazione della natura e l’introspezione interiore.
Tra le poetesse vaganti dell’epoca ellenistica Ànìte di Tegea (IV-III secolo a.C.), che, al di là della sua attenzione per il mondo femminile e le numerose innovazioni letterarie, ha anche il merito di composizioni dai toni epici, definita perciò “Omero donna”.
“Voce di donna” fu invece definita Nosside di Locri (inizio III sec. a.C.) per la sua totale dedizione all’universo femminile. Seguace della poetessa Saffo, cantò un amore più gioioso e meno angosciato e la sua poetica si distingue inoltre per la forte coscienza letteraria. Dopo Nosside l’antichità non ci ha lasciato molte altre tracce poetiche femminili ma soltanto nomi, ad indicare comunque che i germi gettati dalle precedenti poetesse hanno fruttificato.
Dalla Grecia a Roma
Sulpicia (I secolo a.C.), poetessa romana, pare l’unica di cui ci sia giunta voce e solo perché alcuni suoi componimenti confluirono nella raccolta del poeta romano Tibullo. Le sue elegie ripercorrono la sua storia amorosa non alimentata da amore platonico ma da amore in tutta la sua completezza ed espressione.
La tradizione letteraria femminile arabo-andalusa e quella provenzale X-XIII sec.
Fin qui voci isolate nella storia letteraria al femminile e un lungo periodo di silenzio, spezzato da una svolta rivoluzionaria nella poetica femminile, rappresentata dalle poetesse dell’al-Andalus, gruppo di autrici che composero versi nei secoli X, XI, inizio XII, durante il periodo in cui la penisola Iberica era sotto la giurisdizione araba. L’amore appare sì componente essenziale della loro poetica, ma vissuto e descritto in modo diverso si fa trampolino di lancio per più ampi spazi. All’interno delle loro composizioni emergono infatti alcuni dei temi che caratterizzeranno la Querelle de Femmes, ossia la consapevolezza femminile espressa nell’intraprendenza amorosa femminile, la difesa del ruolo della donna nella cultura, il confronto con gli uomini sul terreno letterario.
La rivoluzionaria svolta trova continuità nella tradizione provenzale delle Trobairitz, (le Trovatore) secoli XII e XIII. La trasgressione e l’intraprendenza femminile emergono chiaramente in molti dei testi di queste poetesse, a dimostrazione di una nuova maniera di vivere e scrivere la relazione amorosa e di come l’io femminile possa emergere in tutta la sua forza.
Le prime poetesse italiane XIII-XIV sec.
Difficile e raro trovare riscontri di queste antiche tradizioni letterarie femminili nei classici manuali di letteratura e fondamentali per l’inizio della tradizione letteraria femminile italiana. È infatti individuabile una sorta di continuità letteraria fra le due precedenti tradizioni letterarie e le prime Poetesse italiane: Compiuta Donzella (XIII sec.), Nina Siciliana (seconda metà del XIII sec.) e il Gruppo di petrarchiste marchigiane (XIV sec.).
Meno marcato è sicuramente il tono trasgressivo nella poetica italiana, ma ben individuabili sono la consapevolezza femminile, la ribellione all’autorità del padre, il tono di protesta, il confronto con gli uomini sul terreno letterario, la difesa del ruolo della donna nella cultura e società e la scrittura vista come strumento decisivo per una presa di coscienza della condizione femminile e una rivendicazione dei propri diritti.
Queste poetesse del Medioevo, raccogliendo la preziosa eredità letteraria anteriore e trapiantandola nel loro tempo, hanno permesso alla figura della donna di uscire dal ruolo di ispiratrice di amore e di oggetto letterario (l’amor cortese, la scuola siciliana, lo Stilnovo, Dante, Petrarca, Boccaccio, trattati singolarmente in questa rubrica) e hanno contribuito a documentare l’idea di un inizio anticipato in Italia della Querelle des Femmes (il dibattito/polemica legato ai meriti e alla dignità delle donne), ufficialmente datato secoli XV, XVI e XVII.
Querelle des Femmes
In questa rubrica sono già stati trattati origine e aspetti generali di questo fenomeno storico, delineando anche la figura di un’importante rappresentante italiana: Isotta Nogarola (1418-1466).