Presentato il 16 febbraio nella sala delle Conchiglie il nuovo catalogo
Il Museo dello Sbarco di Anzio
E’ stato presentato il 16 febbraio, nella Sala delle Conchiglie di Villa Adele, alla presenza di tantissimi cittadini e delle Autorità Militari del territorio, il nuovo catalogo “Il Museo dello Sbarco di Anzio. Le collezioni di uniformi e cimeli della Battaglia di Anzio”, curato dal Presidente Patrizio Colantuono, in collaborazione con Giuseppe Tulli, Silvano Urbani e Marcello Benassai.
Durante la presentazione del volume, moderata dal direttore scientifico del Museo, Antonella Mosca, ha preso la parola il Presidente della Commissione Straordinaria, Antonella Scolamiero, che nella sua prima uscita pubblica ha voluto evidenziare la centralità del Museo dello Sbarco di Anzio, anche in vista del 22 gennaio 2024, giorno dell’80° Anniversario e l’importanza dell’opera dei volontari, “senza di voi il Museo non esisterebbe, grazie per tutto quello che fate”.
Il Prefetto Scolamiero ha sottolineato l’importanza di queste iniziative culturali per dare alla città un’impronta diversa, anche attraverso l’opera trainante dei musei che hanno necessità di ampliare i loro spazi espositivi.
Il Presidente del Museo dello Sbarco e della Battaglia di Anzio, Patrizio Colantuono, tornando indietro nel tempo, ha ripercorso la storia del museo e la spinta propulsiva per la sua istituzione nel lontano 1993, in occasione della programmazione delle iniziative per il cinquantesimo anniversario dello Sbarco.
Il Presidente ha poi commentato le proiezioni di due toccanti filmati, seguiti con straordinario coinvolgimento da tutti i presenti, uno sulla città e sulle sue antiche tradizioni marinare all’inizio del ‘900 e l’altro con immagini inedite dell’Operazione Shingle.
Con la consueta professionalità e conoscenza della materia, la professoressa Antonella Mosca, che ha lavorato all’accreditamento del Museo dello Sbarco nell’Organizzazione Museale Regionale (O.M.R.), ha illustrato il nuovo catalogo di 168 pagine, suddiviso in quattro sezioni tematiche dedicate agli italiani, americani, inglesi e tedeschi, che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale: si tratta di un vero e proprio viaggio della memoria, con documenti, fotografie, cenni storici ed eventi significativi, con in primo piano anche i cittadini di Anzio protagonisti di quegli anni drammatici ed in quelli della successiva ricostruzione.
Ufficio Comunicazione
Comune di Anzio
La tragedia dei migranti a Crotone
La tragedia dei migranti a Crotone, nella quale hanno perso la vita oltre 70 poveri esseri umani, induce a sfatare tanti luoghi comuni del tutto errati. Essi sbarcano sulle nostre coste perché il nostro Paese è la porta d’ingresso per l’Europa ma nessuno di loro intende stabilirsi in Italia. Noi non siamo un paese attrattivo, tutt’altro, siamo un paese in declino, siamo un paese di emigranti, gli italiani stessi fuggono dall’Italia. Siamo un paese di anziani non più in età lavorativa. Mancano medici, infermieri, vigili del fuoco, poliziotti, carabinieri, docenti scolastici, agricoltori ecc.
Noi abbiamo urgente bisogno di giovani, degli immigrati. I migranti, adulti, giovani, vecchi, donne, bambini, salgono a bordo di imbarcazioni malsicure e affrontano i rischi di una navigazione sul mare anche tempestoso non certo per spirito di avventura, ma perché costretti a tentare di sfuggire da situazioni tragiche. Nel fondo del mare Mediterraneo giacciono migliaia di corpi di poveri cristi, di naufraghi che cercavano di fuggire da terribili situazioni.
Sanno benissimo i rischi che corrono ma non hanno altra scelta che i viaggi della speranza. Aiutiamoli anziché dire stupidaggini. Emigrare è un sacrosanto diritto di tutti gli esseri umani sancito dalle leggi internazionali.
UDHR Universal Declaration Human Rights art.13.
Gli scafisti suppliscono alle inadempienze colpevoli delle istituzioni. In caso di naufragio gli scafisti perdono lo scafo e la vita. Ogni essere umano ha diritto ad emigrare e a stabilirsi a sua scelta ovunque.
Cesare Zaccaria
Il libro di Saraceno, Benassi e Morlicchio
La povertà in Italia
C. Saraceno, D. Benassi, E. Morlicchio, “La povertà in Italia”, Il Mulino, Bologna 2021, pp. 240, Euro 24,00
In Italia, 5,6 mln di persone sono in povertà assoluta (3 mln i nuclei famigliari) e 8,8 mln sono in povertà relativa. A questi dati assoluti e di partenza, si devono aggiungere poi i 4 mln di lavoratori che percepiscono non più di 1000 euro al mese, 400.000 di questi pur avendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato e full time: sono i working poor; vivono con meno di 12000 euro l’anno. Nel 2020, prima della attuale crisi energetica e recessiva, le imprese a rischio (soprattutto con meno di 10 dipendenti), costituivano il 16% del totale delle imprese; 3,2 mln sono i lavoratori irregolari, falsi autonomi, lavoratori su piattaforma. Questo è il quadro generale costituisce un po’ il perimetro entro il quale si muovono C. Saraceno e gli altri autori per analizzare la povertà italiana. La Saraceno è stata docente di Sociologia a Torino e presso una univ. berlinese, D. Benassi è doc. di Sociologia economica a Milano, ibidem E. Morlicchio alla Federico II di Napoli. Il taglio adottato è quello comparativo, strutturale multifattoriale, considerando al contempo “gli elementi macro e micro, che generano specifici rischi di povertà…che colpiscono specifici gruppi sociali e configurazioni famigliari” (p. 9).
Lo studio prende in esame diversi fattori tipici del regime di povertà italiano, comparandolo a 5 aree europee: i fattori sono diversi, fra i quali, storicamente e attualmente, il grado di inclusione del mercato del lavoro, le diverse composizioni famigliari e il livello di solidarietà di queste, la presenza di minori e lo specifico della povertà minorile, l’immigrazione e l’accoglienza, l’efficacia delle politiche integrative e di welfare ecc. Le 5 aree di comparazione sono: il regime nordico, quello germanico (Germania e Francia), quello mediterraneo, quello orientale (Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Estonia e gli altri due paesi baltici, il regime orientale povero (Romania, Bulgaria) quello mediterraneo (Italia, Spagna, Portogallo, Cipro, Gracia, Malta) e poi quello britannico che non viene considerato nel testo (cfr. pp. 22, 23). Mettendo insieme dati ottenuti da diverse fonti (Istat, Eurosat, Ariope e altri), il regime di povertà italiano si evidenzia risultando nei fatti, dopo Romania, Bulgaria e Grecia il più problematico. Una povertà che colpisce anche chi lavora, i monoredditi di famiglie con figli minori o famiglie che non possono contare su una rete parentale, le donne più degli uomini, gli immigrati; colpisce inoltre aree geografiche più di altre, là dove c’è carenza di welfare e di terzo settore e là dove la povertà è sempre stata più presente che altrove. Infatti gli autori fanno risalire alcune caratteristiche della povertà attuale a precise e strutturali condizioni storiche (cfr. cap. III), addebitabili al processo stesso di unificazione dello Stato italiano. Esclusione, miseria, le carenze alimentari, analfabetismo, mortalità infantile, le condizioni lavorative scarse e precarie, le ingiustizie…Poi la guerra e il fascismo con i suoi tentativi di occultare -soprattutto dopo la grande crisi mondiale del 29- la povertà, colpevolizzandola, criminalizzandola e ‘premiando’ caritativamente i poveri ‘meritevoli’, esemplare è stato l’occultamento delle prime indagini sulla povertà di C. Gini, presidente della neonata Istat. Con il passaggio definitivo da una società rurale a una società industriale, una decina di anni dopo la fine della seconda guerra, arriviamo se non altro al riconoscimento della povertà nazionale.Si fanno indagini, commissioni, survey, ma poco viene fatto di concreto: la povertà viene affrontata sempre in maniera disorganica, ‘premiale’ per i poveri meritevoli (che sapevano per chi votare al momento giusto), l’assistenza diffusa a pioggia, come per esempio gli enti di assistenza comunale (eca). Una pletora di interventi spesso una tantum, senza criteri omogenei: sussidi, contributi, buono alloggio, buoni pasto, buoni libri elargiti da amministratori comunali a seconda le dinamiche politiche amministrative clientelari locali, a volte anche da Provincia e Regione: un costume che arriva fino alla metà degli aa 90.Aumenti dei livelli di povertà si registrano con le crisi energetiche degli aa 70. Aumento del debito pubblico, poi i tentativi di intervento degli anni novanta con la commissione di lotta alla povertà presieduta da E. Gorrieri, seguite dalle misure del governo Prodi, soprattutto la l.n.328 del 2000 e il Reddito Medio di Inclusione, stroncato l’anno successivo, dopo la vittoria, del 2001, della destra berlusconiana (cfr. da p. 169 a 171) e la ripresa delle famigerate politiche di austerity. Fino al reddito di cittadinanza: l’unico tentativo, dopo quello di Prodi, di intervento organico, non assistenzialistico, di ‘diritto’ in riferimento alla Costituzione, e subito contrastato da una campagna mediatica al limite della criminalizzazione nei confronti della legge stessa, dei beneficiari e dei ‘tutor’: il povero deve essere un ‘bisognoso’, assistito politicamente ‘manovrabile’e non un titolare di diritto. Con il Reddito di Cittadinanza la povertà, nonostante i devastanti prolungamenti delle crisi del 2008 e del 2011, la crisi pandemica e adesso gli effetti ‘collaterali’ della guerra, è aumentata al sud (dove più alta e la percentuale dei percettori di reddito), dello 0.8%, al nord del più 1,8% al centro del + 0,9, invertendo così una tendenza storica che vedeva la povertà aumentare più al sud che altrove (cfr. p. 112).
Comunque il regime di povertà italiano e i rischi di povertà (molte delle piccole aziende con meno di 10 dipendenti sono oggi a rischio), ha delle cause non solo occupazionali, ma sono la risultanza di un complesso convergere di fattori (non da ultima la crisi demografica delle nascite che genera insicurezza anche per quelle forme consolidate di welfare in campo previdenziale, sanitario e scolastico). Il solo aumento degli occupati non sarà sufficiente per una uscita, anche se non definitiva, dalla povertà.
Giuseppe Chitarrini