Duo chitarra e contrabbasso
Incontro in Via Venezia, 16 – Lido di Cincinnato ANZIO
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Sincronico e diacronico-
Saussure rivisitato
di Giancarlo Marchesini
Il grande linguista svizzero Ferdinand de Saussure è noto per la sua concezione diadica (parola pretenziosa per indicare qualcosa che si sviluppa in due tempi o presenta due facce): significante e significato, lingua e parola e, per quanto oggi ci riguarda, sincronico e diacronico.
Una partita a scacchi.
L’esempio che Saussure fornisce nel Corso di linguistica generale è illuminante: immaginiamo di trovarci ad un torneo di scacchi e di seguire le mosse di due concorrenti. Se cercassimo di ricostruire le vari fasi della partita fino al punto in cui siamo entrati nella sala, faremmo un’analisi diacronica (alla lettera: attraverso il tempo). Se invece prendessimo in considerazione il momento attuale e cercassimo di prevedere l’esito della partita faremmo un’analisi sincronica.
Analisi diacronica.
La lingua può essere studiata in modo diacronico o sincronico. Quanti di noi ricordano che una volta le ASL si chiamavano USL? Il cambiamento è avvenuto nel dicembre del 1992, quando le Unità Sanitarie Locali (USL) vennero trasformate in Aziende Sanitarie Locali (ASL),dotate di autonomia operativa,dipendenti dalle regioni e non più dallo Stato. Per anni abbiamo seguito la regola per cui il pronome riflessivo sé si scrive senza accento quando è seguito dalle parole stesso o medesimo. Regola assurda, a ben pensare, perché non c’è nessuna ragione valida per togliere l’accento al povero sé. E difatti sempre più nella prosa moderna il pronome riflessivo viene scritto con accento anche se seguito dalla parola stesso (a proposito, chi dice più medesimo?).
Do di matto.
Secondo alcuni grammatici (parrucconi) la prima persona del presente indicativo del verbo dare si deve scrivere dò (con l’accento) per evitare di confonderla con la nota musicale. Ma mi chiedo, cari lettori, in quale ipotetico dettato musicale (è un esame che si sostiene al terzo anno di conservatorio)il professore dice all’allievo “ti do il do e tu procedi nell’analisi”? Come diceva uno dei miei insegnanti, “questi casi si possono contare sulle punte delle dita di una mano monca”!
Queste osservazioni sull’evoluzione della lingua fanno riferimento a un’analisi diacronica. Quest’ultima, in fondo, è semplice perché disponiamo di elementi storici e statistici per avvalorare l’una o l’altra tesi.
Analisi sincronica.
Il problema nasce invece quando vogliamo fare un’analisi sincronica. Qui ci troviamo di fronte a un’istantanea dell’italiano di oggi (cangiante, sfumato, talvolta incerto) e ci diciamo: “Dove andremo a finire? Come evolverà questa regola?
A lungo andare mi convincerò che invece di dire “Ho detto loro” dovrò dire “Gli ho detto”. Questo costrutto è giustificato da un’eccezione alla regola perché stando alle più ferree leggi della grammatica è legittima la forma enclitica “gliene ho parlato” riferita a più persone. Da gliene ho parlato a gli ho parlato il passo è breve.
Gomme e copertoni.
A forza di leggerlo mi convincerò che bisogna scrivere gli pneumatici ma ho ancora i miei dubbi. L’articolo gli è il plurale di lo. Quindi è logico dire gli specchi, gli gnomi, ecc. Ma la mia sensibilità di parlante italiano mi spinge a dire “il pneumatico” e quindi i pneumatici. (Curiosamente il correttore di Word è un doppiopesista perché rifiuta il pneumatico ma accetta i pneumatici.) Stando a un “parere” dell’Accademia della Crusca il pneumatico corrisponde a un registro più “familiare” mentre lo pneumatico rispecchia un registro della lingua più “sorvegliato”. Chi segue i miei articoli sa quante volte mi sono espresso contro il modo stravagante con cui la Crusca “sorveglia” la nostra lingua.
Ho citato intenzionalmente le parole dell’Accademia, mettendole fra virgolette, per evidenziare una lacuna, per non dire un’ignoranza. La parola familiare viene dal latino familiaris e indica qualcosa che mi è vicina, che appartiene al mio mondo. La parola famigliare, invece, deriva dall’italiano famiglia: assegni famigliari, rapporti famigliari. A stretto rigore, l’estensore del parere della Crusca si serve del termine “familiare” nella doppia accezione “appartenente al mio mondo – appartenente alla famiglia”. Ma io personalmente sono convinto che il prode letterato sia uno di quelli che ancora scrivono “se stesso” senza accento!