I giovani del Rosselli hanno incontrato Agnese Moro, che ha raccontato la sua esperienza di giustizia riparativa e l’incontro con i capi delle BR
“Dalle loro parole ho scoperto un mondo”
Nell’ambito del Progetto “Un’esperienza di Giustizia Riparativa Sociale e di Comunità” l’IIS Rosselli di Aprilia ha accolto una testimone d’eccezione, la dott.ssa Agnese Moro, terzogenita dello statista della DC, Aldo Moro, rapito e ucciso dalle BR nel 1978, perché riferisse la sua esperienza di giustizia riparativa.
L’incontro si è aperto con le parole di alcuni ospiti illustri, fra cui la Garante dell’Infanzia e Adolescenza Regione Lazio, dott.ssa Monica Sansoni, il prof. Antonello Di Mario, docente LUMSA nonché studioso di A. Moro e in collegamento online il prof. Giovanni Lodigiani, docente di Giustizia Riparativa Università dell’Insubria- Como. Accolti dai saluti della DS, prof.ssa Antonietta De Luca, presentati dalla moderatrice e curatrice del Progetto, prof.ssa Maria Luisa Iorio, coadiuvata dalle prof. sse Carmela Longo e Tamara Olimpi, a beneficio dei numerosi studenti, docenti, delle rappresentanze presenti in aula magna e di tante classi collegate dalle proprie aule, gli interlocutori hanno inquadrato la figura di A. Moro, uomo e statista, e spiegato il significato della giustizia riparativa e dei valori ad essa direttamente collegati, quali, principalmente, verità e libertà.
La dott.ssa A. Moro ha iniziato il suo intervento riportando la sua esperienza di giustizia riparativa. “Io l’ho vissuta perché ho vissuto un grande torto”, ha riferito, spiegando che, al dolore iniziale provato dopo la morte del padre, era seguito il bisogno di colmare il silenzio con parole che l’aiutassero a capire; il successivo incontro e il confronto avuto con alcuni brigatisti, l’aver percepito il loro dolore, l’aver compreso che “si erano accorti che con la loro violenza avevano ucciso tante persone perbene”, sarebbero stati illuminanti per lei, che ha poi aggiunto “ascoltare le loro parole mi è servito a scoprire un mondo”.
“La giustizia riparativa - ha continuato A. Moro - mi ha insegnato a saper cosa fare di quel sangue” – quello degli uomini della scorta, trovato sulla borsa da lavoro del Presidente Moro, il giorno del rapimento [n.d.r.] perché ha smosso dei sentimenti, spostando l’attenzione alle persone, seppur artefici di un reato, come si legge nell’art. 27 della Costituzione, spesse volte menzionato dagli interlocutori.
L’incontro è poi continuato con le domande che alcuni studenti hanno voluto rivolgere alla dott.ssa Moro, dalle cui risposte sono emersi i sentimenti da lei provati in quei giorni terribili, le esperienze e le successive scelte di vita.
A. Moro ha detto di aver “imparato a vivere, non a sopravvivere” e, alla domanda sulle responsabilità della morte di Aldo Moro, ha precisato che, nelle lettere, suo padre aveva parlato di “responsabilità politica della DC”, perché quella reale resta sempre di chi preme il grilletto.
“Cosa avrebbe fatto Aldo Moro se fosse tornato vivo dal rapimento?” ha infine chiesto uno studente “Pur non potendoci essere delle certezze, conoscendo la sua caparbietà e il forte legame al suo Paese, forse si sarebbe rimesso al suo servizio, e la sua presenza avrebbe potuto facilitare, probabilmente, una spinta al cambiamento” ha risposto A. Moro.
Dopo l’incontro, lo studente L. M., della IV D BS, ha lasciato ad una sua insegnante la seguente riflessione: “Avere diciotto anni e potersi confrontare direttamente con una persona che testimonia una delle pagine più buie della storia italiana non può che essere un enorme privilegio.
Essere stato presente nella stessa aula in cui si trovava la signora Agnese Moro ha suscitato in me innumerevoli emozioni, soprattutto in merito ai ricordi personali che la figlia del grande statista aggiungeva al suo racconto.
La signora A. Moro è riuscita, in maniera molto delicata, non solo a narrarci eventi di cronaca vissuti in prima persona, ma a condividere con noi le sue emozioni, i suoi pensieri e le sue paure che, almeno personalmente, d’ora in poi mi faranno percepire la vicenda di Aldo Moro non più solo come memoria storica, che si dissolve piano piano negli anni, ma come la storia di un grande uomo e di un grande padre a me più vicino”.