SIMPOSIO
NEBBIA
Il racconto che apre questo Numero sembra essere scritto appositamente per invitarci alla riflessione. Avvolti dalla nebbia, più o meno reale secondo le latitudini della nostra penisola, che s’addensa, ci confonde e ci lascia galleggiare nello spaesamento. Nebbia di naviganti in balìa di inquietudini e di incertezze, di un tempo storico tragico e poco rassicurante, nonostante il clima gioioso delle Feste. Mai come in questo momento, intravvedere una luce di speranza nel diradarsi della nebbia, ci sembra un faro che illumina la rotta da seguire. I sorrisi, la convivialità del buon cibo, la gioia dei regali che abbiamo fatto e ricevuto, sono l’espressione del nostro bisogno di affetto e di amicizia. Per noi, una fortuna e la dimostrazione del bisogno di essere Comunità responsabile, di ritrovarsi uniti e concordi, per non inquinare con le nostre scelte quei valori che rendono dignità all’essere umano.
Giuliana
I RACCONTI DAL FARO NEBBIA
UN’ALBA SULL’OCEANO – Prima dell’alba. Al Faro l’oscurità della notte è stata sostituita da un qualcosa di diverso, quasi tangibile. Il cielo sembra sceso giù sul mare per avvolgere tutto, in un umido e denso abbraccio di micro-pioggia: è la nebbia!
Nebbia, ancora al primo chiarore del giorno. Nebbia spessa, che rende incerti i contorni del Faro, facendone un bianco fantasma. Nebbia a banchi, che s’accende di sfumature di blu e di grigio, che si muove a folate. Nebbia densa, che spegne il rumore delle onde sugli scogli, che riduce la visibilità ad un miglio marino. Se a meno, nebbia pericolosa. Nebbia che fa sentire sperduto e in angoscia il navigante. Nebbia immobile, eppur pulsante e viva, che nasconde il mondo, nostro punto di riferimento.
LETTERATURA – In letteratura, la nebbia può assumere un forte significato simbolico: il confine tra illusione e realtà, una zona ferma tra il mondo reale e quello dell’immaginario, incertezza, mistero, oscurità, l’atmosfera del sogno. Gli scrittori spesso la portano nelle loro ambientazioni per dare pathos al racconto, per accentuare la sensazione di una situazione sospesa nello sviluppo della trama, creando un’area grigia, nella quale i personaggi appaiono muoversi confusi e sinistri.
Oltre che di scrittori, la nebbia è fonte di ispirazione di poeti, in quanto - come fenomeno naturale - è pur sempre un momento della bellezza del creato che è giusto fermare nella poesia.
È il caso del poeta statunitense Carl Sandburg (1878-1967). Il suo poemetto “Fog” (“Nebbia”, di sei versi, ventuno parole) è una piccola miniatura, che si legge quasi come un haiku giapponese. È una calma e giocosa metafora che rende la inquietante nebbia una affettuosa presenza nel testo, paragonando il suo avvicinarsi a quello felino di un altrettanto inquietante, ma pacifico gatto.
Fog
by Carl Sandburg (1916)
The fog comes
On little cat feet.
It sits looking
Over harbor and city
On silent haunches
And then moves on.
Nebbia
Trad. GdF, (2023)
Giunge la nebbia
A piccoli passi di gatto.
S’accuccia a fissare
Porto e città
Sui silenziosi fianchi
E poi se ne va.
Il Guardiano del Faro
I CONCERTI DI CAPODANNO
Golfi mistici a confronto
di Giancarlo Marchesini
La mattina del 1° gennaio
segna per me il classico appuntamento con i concerti di Capodanno del Musikverein di Vienna e de La Fenice di Venezia.
Diciamo subito che il mio titolo è improprio. L’espressione Golfo mistico (buca d’orchestra o fossa d’orchestra) si riferisce essenzialmente al teatro lirico ed è una traduzione del termine tedesco Mystischer Abgrund (abisso mistico) con cui Richard Wagner designò lo spazio riservato agli orchestrali nel SUO teatro dei Festspiele di Bayreuth. I musicisti sono ospitati in un piano più basso del palcoscenico e soltanto il direttore d’orchestra si trova più in altoper avere una facile visione dell’azione scenica.
Questo nel teatro lirico. Quando si tratta invece di concerti, i maggiori teatri del mondo dispongono di un piano motorizzato per poter elevare l’orchestra all’altezza del palcoscenicoperché sono proprio i musicisti chefanno il vero spettacolo. E questo è il caso nei due concerti di Capodanno. Ma l’espressione Golfo mistico è troppo bella e evocativa per non essere usata in questo mio articoletto.
Partiamo prima di tutto da considerazioni di prossemica (con questa parola la semiotica designa l’interazione degli esseri umani nello spazio).
Dopo anni di reclusione e divieto di assembramenti
è bello vedere musicisti e spettatoriseduti gli uni a fianco agli altri senza timore di contaminarsi a vicenda con un respiro “covidico”.
Inno alla libertà ritrovata
sono stati questi concerti, (forse a breve termine, viste le notizie allarmanti che ci vengono dalla Cina e dagli USA). La musica è libertà ed è stato durissimo vederla sacrificata in sale addobbate di tutto punto ma vuote (come nel 2021) o con qualche palliativo nel 2022: spettatori supervaccinati, ma con mascherina, e nessuna protezione per gli orchestrali a Vienna; direttore e solisti a viso scoperto, ma mascherine elegantissime – nere, con lo stemma della Fenice – per coro e orchestra della città lagunare.
Finalmente, due concerti di Capodanno come una volta, a viso aperto, una sfida al rischio di vivere nella nostra epoca.
Le similitudini finiscono qui.
A Vienna, Franz Welser-Möst
il direttore invitato per ben tre volte dal Musikverein e direttore musicale della Wiener Staatso per per il quadriennio 2010-2014, ha presentato al pubblico un programma il cui secondo nome era Strauss, in tutte le sue varianti: Eduard, Josef, Johann padre e Johann figlio.
Il tripudio finale, la Radetzky Marsch, (ultimo colpo di coda del reazionario Johann padre) per il quale il compassato e elegantissimo pubblico di Vienna si mette a battere mani e piedi a un ritmo incalzante (che un giorno mia figlia definì Zagadan – Zagadan) come se fosse un momento liberatorio prima di andare a mangiare, il tripudio finale – appunto – ha concluso un’accurata e magistrale esecuzione di walzer in parte mai presentati al Musikverein, scelta oculata e culturale di quel grande direttore che è Franz Welser-Möst.
A Venezia, Daniel Harding
Tessute le lodi degli austriaci, passiamo ai Veneti, senza dimenticare che una volta facevano parte dell’impero asburgico. Qui la compostezza (rigidità?) teutonica si diluisce in un’atmosfera di festa, ma al contempo di grande civiltà.
Il programma prevedeva in apertura la Quarta Sinfonia in la maggiore op. 90 L’italiana di Felix Mendelssohn Bartholdy.
Ma è stato sovvertito dall’esecuzione della Lacrimosa dal Requiem di Mozart, in memoria del papa emerito morto la mattina precedente. Si è visto benissimo che si trattava di una decisione dell’ultima ora: i cantanti del coro intonavano le rispettive melodie leggendo lo spartito contenuto in un’elegantissima cartellina nera, stile Fenice.